Mario Trevi –
Augusto Romano
STUDI SULL'OMBRA
Raffaello Cortina
Editore
Capitolo 1
SUL PROBLEMA
DELL'OMBRA NELLA PSICOLOGIA ANALITICA
(Mario Trevi)
IL
CONCETTO DI OMBRA Nella
parola “Ombra” si annidano svariate accezioni strettamente congiunte l'una alle
altre, ma abbastanza differenziabili attraverso una paziente analisi
concettuale. Il concetto di Ombra ha una parte implicita in tutta
l'architettura dell'opera di Jung, le cui intuizioni fondamentali si
arricchiscono man mano indicando la complessità del problema e la continuità
del tema. Quando uno psicologo parla di Ombra può riferirsi almeno a uno dei
tre seguenti significati: a) Ombra come
parte della personalità b) Ombra come
archetipo c) Ombra come immagine
archetipica Nel primo caso si intende globalmente per Ombra il lato non
accettato della personalità (appunto ciò che anche nel linguaggio viene
definito il lato “oscuro” di un individuo): la somma delle tendenze,
caratteristiche, atteggiamenti, desideri inaccettabili da parte dell'Io, nonché
delle funzioni non sviluppate o scarsamente differenziate e, infine dei
contenuti dell'inconscio personale. Occorre ricordare che Jung parte da una visione
vasta e policentrica dell'inconscio personale, inteso come sede di innumerevoli
concrezioni a tonalità affettiva o “complessi”, dei quali uno avrà, nella
evoluzione dell'individuo, un destino particolare: il “complesso dell'Io”. Alla
nozione di Ombra non possiamo quindi dare alcuna collocazione precisa nella
struttura della psiche, al contrario essa descrive un rapporto funzionale (e
costantemente variabile) tra i contenuti della psiche. Secondo Jung l'Ombra non
si identifica con l'inconscio personale ma in qualche modo lo comprende, come
si può capire dalla seguente definizione tratta da “Psicologia
dell'inconscio”: Con Ombra intendo la
parte “negativa” della personalità, la somma cioè delle qualità svantaggiose
che sono tenute possibilmente nascoste e anche la somma delle funzioni
difettosamente sviluppate e dei contenuti dell'inconscio personale.
Da questo punto di
vista si potrebbe allora distinguere nell'Ombra, intesa come lato oscuro della
personalità, due aspetti: Ombra conscia e Ombra inconscia. Quest'ultima è
approssimativamente identificabile con la nozione psicoanalitica di inconscio
(personale) e si costituisce prevalentemente mediante i processi di rimozione
di tutte le pulsioni inaccettabili da parte dell'Io. Da un punto di vista della
terminologia classica, si potrà allora dire che i contenuti dell'Ombra
inconscia sono i prodotti della rimozione, mentre i contenuti dell'Ombra
conscia sono occasionalmente soggetti a repressione. Il primo significato è
quindi quello che considera l'Ombra come parte inferiore della personalità,
dunque una parte della totalità della psiche. La più coerente accezione
generale di archetipo nella psicologia analitica è quella che ne fa una
funzione o forma strutturante della psiche (si ricordi a tale proposito il
famoso esempio di Jung che paragona l'archetipo alle strutture secondo cui si
realizza un processo di cristallizzazione e le molecole dei sali si compongono
in architetture tipiche), quindi si potrebbe
definire l'archetipo come forma a priori dell'inconscio transpersonale,
ereditario o collettivo, o più semplicemente, struttura fondamentale della
parte collettiva dell'inconscio. Aggiungendo maggior luce alla questione,
Neumann (“Storia delle origini della coscienza”) definisce gli archetipi come
prodotto storico della millenaria lotta sostenuta dalla coscienza per
differenziarsi dall'inconscio primitivo, esprimendo le forme della dialettica
tra coscienza e inconscio, le strutture fondamentali dell'eterno dialogo che
caratterizza la natura dell'uomo. L'Ombra è una istanza psichica strettamente
collegata all'incontro-scontro tra inconscio e coscienza: dunque nella sua
accezione di archetipo essa non può significare che struttura trascendentale
del rapporto tra la coscienza continuamente emergente e la sua matrice
inconscia, in una dinamica di continuo rischio e di continuo riscatto. L'Ombra
è tale solo se rapportata a una qualche “luce”, è negatività in quanto c'è una
positività con la quale viene messa a confronto: sarà quindi struttura
categoriale del rapporto tra la coscienza e la parte inaccettabile o
scarsamente accettabile della psiche e, in un significato più ampio, del
rapporto tra coscienza e negatività etica. L'archetipo dell'Ombra viene
attivato ogni qualvolta, nell'individuo, si produce il confronto tra elementi
accettabili della psiche e il fondo inaccettabile di pulsioni istintive,
aspetti arcaici e indifferenziati, tendenze contrarie al canone culturale
storico. Il rapporto che esiste tra archetipo in sé e immagine archetipica può
essere paragonato, con buona approssimazione, al rapporto che intercorre tra
forma a priori e intuizione sensibile. Possiamo dunque considerare l'immagine
archetipica come il prodotto dell'attività dell'archetipo nella sua incessante
elaborazione del contenuto dell'immaginazione, o, nel campo pratico, nel suo
incessante condizionamento dell'azione. Il materiale impiegato dall'archetipo
nella formazione dell'immagine non può essere, in larga misura, che l'insieme
dei contenuti rimossi dall'inconscio personale e l'insieme dei contenuti
repressi, nonché tutto ciò che nel vasto repertorio dell'immaginazione può
“allegorizzare” tali contenuti. Così spesso il sogno contiene una classica
figurazione d'Ombra che dobbiamo considerare come il prodotto dell'attività
dell'archetipo in sé sul materiale rimosso o represso più o meno inconscio,
struttura che può essere universalmente indicata come “incontro con il
negativo” (alla stessa maniera nel mito si ha l'incontro con un compagno
ambiguo e spesso a contatto con forze oscure ma potenzialmente capace di
aiutare l'eroe). Le tre accezioni fondamentali del termine Ombra permettono di
cogliere il problema centrale connesso all'esperienza del negativo in noi.
Tutto ciò che è incompatibile con la forma di vita scelta, e talvolta imposta,
pur costituendo in sé una molteplicità, si fonde, nell'esperienza quotidiana,
in una vera e propria “personalità” dotata di relativa e talvolta altissima
autonomia. Il negativo in noi viene avvertito come realtà unitaria, e, anche
se, nella riflessione, siamo capaci di scinderlo nei suoi costituenti, aspetti
moralmente riprovevoli, funzioni non sviluppate o poco differenziate, elementi
infantili, aspetti irrazionali e distruttivi del destini individuale, la loro
fusione e la loro “personificazione” corrispondono a una precisa esperienza
universale, all'inconfondibile sentimento dell'”altro”in noi. Riassumendo
possiamo dire che con la prima accezione di Ombra ci viene semplicemente
offerta la molteplicità del negativo, ma che questa non si unificherebbe mai in
un'unità complessa senza la presenza dell'archetipo come funzione (seconda
accezione) e non si renderebbe percepibile nel sentimento comune quotidiano, né
nei sogni, né nei miti, senza il lavoro di simbolizzazione implicito nella
terza accezione.
ALCUNI
PROBLEMI CONNESSI AL CONCETTO DI OMBRA Proiezione
dell'Ombra Tutto ciò che è inconscio viene proiettato, e una delle più usuali e
facili proiezioni è proprio quella dell'Ombra. Le qualità inferiori e
inaccettabili, i pensieri rimossi, le pulsioni ostacolate, in generale tutti
gli aspetti non coscientemente vissuti dalla psiche vengono proiettati con
facilità su individui che per loro natura possono costellare tali proiezioni.
Le profonde antipatie ingiustificate, le idiosincrasie più irrazionali, le
“fughe” stizzose di fronte a un possibile incontro umano sono quasi sempre il
frutto della proiezione dell'Ombra. La “via regia” per la ricognizione della
propria Ombra è il riconoscimento della proiezione avvenuta, via senza dubbio
difficile e tormentosa: dalla biblica pagliuzza nell'occhio del fratello è
infinitamente difficile risalire alla trave nel nostro occhio. Per chi fa una
proiezione d'Ombra il problema consisterà nel riconoscere che le qualità
inaccettabili attribuite al suo prossimo in realtà appartengono alla propria
personalità. Il processo di ritiro dalla proiezione potrà essere senz'altro
lungo e doloroso ma non comporterà in sostanza altra fatica psicologica che
quella della ricognizione e dell'accettazione dell'Ombra proiettata. Dal punto
di vista invece del soggetto che riceve o sopporta una proiezione d'Ombra può
verificarsi una vera e propria distorsione della personalità, la quale può
comportare profondo disagio psichico o anche una vera e propria sindrome
nevrotica. Vi sono individui particolarmente deboli la cui “Persona” si
struttura esattamente in conformità dell'ambiente sociale che li circonda. Ciò
comporta un arresto del processo di maturazione e di individuazione: essi non
si identificano con la propria Ombra ma con l'Ombra che vien loro proiettata
addosso. Basta pensare alle difficoltà incontrate da talune personalità a
stabilire una valida difesa contro la pressione esercitata da personalità più
forti, in realtà umane più prossime come struttura familiare, scuola, ambiente
sociale. Un simile meccanismo può comportare un'erronea svalutazione delle
proprie funzioni naturalmente più differenziate e una corrispettiva erronea
valutazione delle proprie funzioni inferiori. Queste ultime vengono allora
assurdamente poste in luogo degli aspetti positivi della personalità e tale
capovolgimento dei valori individuali conduce a un'esistenza intimamente falsa
e a una sorta di atrofizzazione delle proprie funzioni psichiche. Solo quando
il soggetto si è liberato dalla distorcente proiezione d'Ombra su di lui
esercitata dall'esterno, egli sarà libero di iniziare la
ricognizione della
sua vera Ombra e di incamminarsi così sulla via dell'autentico processo di
individuazione.
Ricognizione
dell'Ombra Poiché gran parte dell'Ombra è inconscia, saranno l'analisi delle
proiezioni e del materiale onirico che porteranno a poco a poco in luce gli
aspetti inferiori della personalità e le funzioni scarsamente differenziate,
prodotti distorti come ad esempio i sentimentalismi al posto dei sentimenti,
gli intellettualismi al posto dei pensieri coerenti e responsabili, ecc. Per la
parte conscia dell'Ombra può rivelarsi utile quella che Jung chiama la
“confessione autentica, sgombra di ogni restrizione mentale”. La ricognizione
autentica dell'Ombra ha un indubitabile valore catartico, anche se non comporta
di per sé quell'”assunzione” dell'Ombra nella rinnovata dinamica psichica in
cui consiste propriamente solo l'”integrazione dell'Ombra”.
Scissione dell'Ombra
Si deve contemplare la possibilità negativa della ricognizione dell'Ombra: il
rifiuto più o meno totale dell'Ombra. In questo caso l'Io arretra spaventato di
fronte alla rivelazione della parte inferiore della personalità, non può
riconoscersi nelle proiezioni esercitate, né può ammettere che funzioni
fondamentali della psiche siano rimaste allo stato arcaico o si siano comunque
poco differenziate. Il soggetto allora, per così dire, amputa da sé la propria
Ombra, e si condanna a vivere una vita psichica parziale, forzatamente ridotta
alla parte in luce della personalità. L'Ombra viene abbandonata al negativo, ed
è forzata a vivere di una vita autonoma, senza relazione con il resto della
personalità. Ogni processo di maturazione è impedito. Un esempio famoso di
rifiuto e amputazione dell'Ombra viene fornito in sede letteraria dal popolare
racconto di Stevenson, Il dottor Jeckyll e Mr. Hyde, in cui il virtuosissimo
Dottor Jeckyll, nell'incapacità di riconoscere e integrare la parte inferiore
della personalità (vittorianamente intesa come somma di pulsioni istintive più
o meno bestiali), è costretto a vivere una doppia vita, duplicandosi nella sua
orribile Ombra, ormai autonomizzata e resa pertanto incontrollabile da parte
dell'Io.
Identificazione con
l'Ombra L'identificazione con l'Ombra è, in un certo senso, il calco negativo
del momento della scissione dell'Ombra. Il destino dell'uomo identificato con
la propria Ombra è un destino tragico, di una tragicità statica, non dinamica:
l'energia psichica è in lui bloccata o circola solo a livelli inferiori e
dinamizza solo le parti buie della personalità.
Integrazione
dell'Ombra L'integrazione dell'Ombra è un momento fondamentale del processo di
individuazione e la condizione di ogni ulteriore conquista sul terreno della
maturità psicologica. Il termine “integrazione” va qui inteso nell'accezione di
“includere, in modo organico, qualcosa in una più ampia entità”. L'inclusione
non deve essere intesa come una mera “aggiunta”, ma come un processo che
implica la necessità della ristrutturazione della più ampia entità nei
confronti della quale si opera l'aggregazione di una nuova parte, alla stessa
maniera in cui in fisica l'aggiunta di un nuovo magnete a un campo magnetico
comporterà il mutamento di tutte le linee di forza che costituivano il campo
stesso. Mentre la mera ricognizione dell'Ombra fornisce solo i dati cognitivi
del problema, l'integrazione comporta una radicale trasformazione del rapporto
Io-Ombra e la conquista di una nuova polarità dinamica e creativa tra il
conscio e la parte oscura della personalità. Jung fornisce un'immagine della
psiche come di una molteplice corrente energetica che in tanto può sussistere
in quanto esistono i poli o le differenze di potenziale entro cui l'energia
stessa si stabilisce. In quest'ottica l'integrazione dell'Ombra consiste
appunto nell'assunzione del negativo alla dignità di polo di un campo
energetico. Solo in tal modo l'energia che andava prima dispersa nell'Ombra non
riconosciuta o rifiutata diviene disponibile all'Io. L'Ombra è quello che in
noi non può essere risolto in valore collettivo: la vera individualità, la
singolarità irripetibile, i cui profeti moderni sono Kierkegaard e Dostoevskij,
risiede nell'Ombra. Nel momento in cui assume l'Ombra nella dinamica psichica,
l'uomo accetta di individuarsi, accetta di essere un “singolo”, assumendo
coraggiosamente la propria singolarità e innalzandola a strumento della vita
morale. L'Ombra, condizione dinamica continuamente da instaurare e recuperare,
è la vera porta di accesso a ogni processo di sviluppo psicologico. Potremmo
dire che il significato profondo di un'esistenza autentica sta nel continuo
riscatto dal rischio della perdita della polarità tra l'Io e l'Ombra, questo
rischio comportando da una parte la ridiscesa nell'Ombra e dall'altra la
banalizzazione e la sterilizzazione della vita morale che da esistenza
autentica e individuale si converte in mero accozzo di moralismi collettivi.
Ombra e male:
inesauribilità del tema Se nel suo aspetto personale l'Ombra può essere
considerata la somma del negativo nell'individuo, nel suo aspetto sovrapersonale
l'Ombra è il negativo tout court , è il male. Nell'opera di Jung si nota
appunto questo progressivo passaggio da una concezione personale dell'Ombra a
una concezione sovratemporale, universale della stessa. Non è possibile
esaurire sia pur sommariamente questo aspetto del problema dell'Ombra: come in
sede etica e metafisica il problema del male è in realtà il problema di fondo
se non il problema unico, così nella psicologia del profondo esso costituisce
un polo inevitabile di orientamento di ogni ricerca. Lo psicologo deve
ammettere che la totalità, cioè l'integrazione reciproca di tutti gli aspetti
della psiche, l'attivazione dei campi energetici tra conscio e inconscio, non è
raggiungibile se non attraverso la considerazione del male, la sua accettazione
e la sua integrazione. Qui si aprono i problemi fondamentali di Ombra come
“peccato” e di Ombra come aspetto negativo del destino. Nel primo caso si potrà
qui solo dire che il difficile sta nell'evitare, da una parte,
l'identificazione con il male, dall'altra, il diniego moralistico del
“peccato”. In entrambe le situazioni
viene persa di vista la via dell'individuazione e non si è capaci di innalzarsi
al livello di dialettica necessario, o si consuma ogni energia psichica nel
rifiuto moralistico del proprio “peccato”, senza rendersi conto che proprio in
questo si annida il senso dell'individualità profonda. Il processo di
individuazione vuol dire dialettica degli opposti e soluzione singolare, unica,
irripetibile del conflitto. Una frase di Jung è particolarmente significativa a
tale proposito: Si può mancare
non solo la propria felicità, ma anche la propria colpa decisiva senza la quale
un uomo non raggiungerà mai la propria totalità. Il problema dell'Ombra è anche
il problema della colpa: occorre solo saper distinguere tra colpa inautentica e
colpa autentica e “individuante”.
SOGNI Il materiale
onirico è, in genere, ricchissimo di figurazioni concernenti l'uno o l'altro
dei tipici atteggiamenti assunti dall'Io nei confronti dell'Ombra. Così si
possono facilmente rintracciare figurazioni oniriche relative a problemi di
proiezione dell'Ombra, oppure relative a problemi di ricognizione dell'Ombra,
agli atteggiamenti di scissione e di identificazione, e infine al problema
centrale dell'integrazione dell'Ombra. Per quanto si debba esser cauti
nell'interpretazione dei sogni, è spesso ipotizzabile con un largo margine di
sicurezza una utilizzazione di figurazioni a carattere archetipico.
ILLUSTRAZIONI
LETTERARIE Poiché
l'incontro, il conflitto, il rifiuto o l'integrazione dell'Ombra costituiscono
momenti eterni della dinamica psichica, la letteratura di tutti i tempi e di
tutte le lingue ha fornito abbondanti illustrazioni della fenomenologia
dell'Ombra. In una delle più antiche saghe dell'umanità, nelle tavole
babilonesi dell'Epopea di Gilgamesh, il cui nucleo centrale risale almeno al
terzo millennio, troviamo appunto una esemplificazione chiarissima della
problematica in questione. Per il problema dell'Ombra tanto Jung che i suoi
interpreti ricorrono spesso alle note esemplificazioni letterarie del
Mefistofele goethiano, del Peter Schlemihl di Chamisso, del Pescatore e la sua
ombra di Wilde, del dottor Jeckyll di Stevenson, della Donna senz'ombra di
Hofmannsthal, del Lupo della steppa di Hesse. Il tema della dualità tra l'Io e
la diabolica tenebrosità che gli é sottesa è così caro ai romantici che si può
dire che tutto un filone della loro poetica può essere riassunto
nell'appassionata ricerca del “fratello oscuro” in noi, o, per converso, del dramma
dell'insorgere improvviso e travolgente di questo ospite tenebroso e del
conseguente naufragio dell'Io. Il romanzo di Hoffman “Gli elisir del diavolo” è
particolarmente interessante per la rara evidenza delle situazioni archetipiche
e la straordinaria pertinenza del materiale simbolico impiegato. In questo racconto l'Ombra, l'oscuro alter
ego, è dotata di una immensa autonomia e può possedere completamente e
sommergere la parte conscia e responsabile del protagonista, Medardo. Costui è,
di volta in volta, o identificato demoniacamente con l'Ombra, o particolarmente
ignaro della sua parte abissale e pericolosa. La seduzione e, d'altra parte, il
limite della narrazione, consistono tutti in questa continua oscillazione di
Medardo tra una identificazione con gli aspetti positivi della personalità (e
conseguente amputazione radicale dell'Ombra) e l'annegamento dell'Io nella
parte oscura della personalità. Questo progenitore del dottor Jeckyll è in
realtà assai più sottile del suo epigono vittoriano. Il dottor Jeckyll conosce
solo l'amputazione e l'autonomizzazione dell'Ombra: di tanto in tanto questa,
scissa dall'Io, percorrerà i bassifondi di Londra seminando terrore sotto le
spoglie di Mr Hyde. L'eroe di Hoffmann dispone invece di una serie quasi
infinita di meccanismi di sostituzione, identificazione parziale o totale,
oblio e anamnesi del lato oscuro, fuga e contaminazione. Un personaggio
secondario che merita di essere segnalato in questo romanzo è il barbiere
Belcampo, che si presenta sempre come salvatore in situazioni che sarebbero
altrimenti inevitabilmente insolubili, e che pare conoscere profondamente
l'anima di Medardo: esso rappresenta il “trickster”, il dio briccone, mezzo
furfante e mezzo clown, paradossalmente vile e coraggioso insieme, furbo e ombroso,
capace di maledetti tiri birboni e al contempo vero e proprio salvatore, un dio
antichissimo che forse, secondo Radin (Radin, Jung, Kerényi, Il briccone
divino) è
la matrice
originaria di ogni aspetto del sacro. Gli etnologi hanno messo in rilievo la
complessità fenomenologica del trickster nei miti degli indiani Winnebago.
Kerényi ha mostrato che l'apparizione più pertinente di questo dio è da
ricercarsi in certi aspetti di Ermes, dio sorprendente per l'imprevedibilità
degli atteggiamenti e per l'innata disposizione allo scherzo, e insieme dio
guaritore e salvatore per eccellenza. Jung dimostra che il trickster altro non
è che un aspetto assai cospicuo della fenomenologia dell'Ombra e talvolta non
esita addirittura a porre la netta equazione trickster = Ombra. Esso può essere
inteso come il polo positivo e assimilabile dell'Ombra, o meglio come il punto
di accesso per mezzo del quale l'Io può iniziare il recupero e l'assimilazione
dell'Ombra. Rovesciato nel negativo, regredito agli aspetti più arcaici e meno
assimilabili, il trickster ricompare in certi paradossali personaggi kafkiani,
come i due inservienti nel Castello, le cui pazzie e disonestà fanno disperare
il protagonista, il quale, però, sembra essere consapevole che la loro presenza
disperante lo connette appunto al Castello. Anche la prosa di Conrad non può
esaurirsi in una lettura meramente realistica: nei suoi scritti s'intravvedono
ampie figurazioni simboliche, allusioni più o meno esplicite a grandi drammi
della vita psichica. Racconti notissimi come Tifone e Gioventù o come La linea
d'ombra e Il compagno segreto non fanno che sviluppare quel particolare momento
dell'esistenza in cui, al termine della propria giovinezza, l'individuo è
costretto a confrontarsi per la prima volta con l'impegno del vivere, con il
passaggio dallo stato di puer alla virilità responsabile. Il giovane eroe
conradiano si incontra con un aspetto paradossalmente negativo e creativo del
destino: la maturità che lo attende dipende in un certo senso dalla reazione del
giovane di fronte a questo aspetto della sorte personale, o, meglio, dalla sua
capacità di integrarlo. Può apparire curioso che Conrad abbia intitolato La
linea d'ombra quello che forse è il più suggestivo dei suoi racconti: tale
espressione intende quell'irrevocabile passaggio tra la prima giovinezza e la
maturità in cui appunto il negativo del destino ci si palesa come una forza
individuante di fronte alla quale l'unico nostro vero peccato sarebbe il
rifiuto e la fuga. Il racconto Il compagno segreto non è più che una novella
marinaresca animata da sapiente suspence poliziesca, ma chiunque si lasci
afferrare dalla narrazione percepisce l'inequivocabile allusività della pagina,
la sua capacità di riferirsi simbolicamente a una vicenda universale ed eterna:
appunto l'agnizione e l'integrazione dell'Ombra, l'intuizione e l'accettazione
profonda dell'”altro in noi”, dell'oscuro fratello.
Capitolo 2
TRE CONTRIBUTI ALLA
FENOMENOLOGIA DELL'OMBRA
(Augusto Romano)
INTRODUZIONE
L'Ombra
ontologica Generalmente umana è l'esperienza della bipolarità e del contrasto:
vi sono una destra e una sinistra, un
alto e un basso, e così via. Tale modo di sperimentare la realtà sembra
corrispondere all'esigenza di distinguere e separare, di “mettere ordine” nella
varietà indifferenziata dei fenomeni, portando a moti di attrazione o
repulsione che implicano un giudizio, un si o un no. La luce e l'ombra sono i
termini che esprimono meglio, riassuntivamente, questa ripartizione del reale
in due classi: ciò che è nostro e ciò che è alieno ma pure esiste ed,
esistendo, rappresenta l'ostacolo e il problema con cui siamo chiamati a
confrontarci. L'esperienza dell'Ombra è, in termini generali, l'esperienza del
diverso, del non familiare, nel senso di estraneo a ciò che comprendiamo e amiamo.
L'Ombra esprime la non onnipotenza e non onniscienza dell'uomo, e cioè la
resistenza offerta dalla realtà, il limite alla comprensione e all'azione,
tutto ciò che minaccia la consistenza dell'Io. Questa esperienza della
finitudine non riguarda solo ciò che proviene dall'esterno, ma passa anche
all'interno dell'individuo: è la finitudine di un uomo cosciente, che sente
come inammissibile ciò che è fuori dalla coscienza, l'inconscio nella sua
“indomita selvatichezza”. Il motivo del dualismo nella storia delle religioni
rappresenta la proiezione di questo problema: sebbene descritto come inferiore
al Dio buono, e per quanti i miti cerchino di liberare il Creatore dalla
responsabilità dell'origine del male, assai sovente il principio negativo viene
concepito come in grado di limitare positivamente il dominio di Dio, fino al
punto che questi risulta impotente a creare o a finire il mondo senza l'aiuto
del diavolo e costretto a venire a una divisione dei poteri con l'avversario.
E' comprensibile che in tale visione si faccia strada l'esigenza di recuperare
uno stato di non opposizione: è il mito del Paradiso terrestre che in forme
diverse continuamente emerge nella coscienza individuale e in quella
collettiva. La più diffusa versione mondana e nevrotica del mito paradisiaco
nasce dall'odio per la realtà e il presente e viene vissuta come ricerca di un
“altrove” che continuamente si consuma nell'insoddisfazione: è l'evasione
nevrotica, la fuga davanti a sé stessi, il vagheggiamento di paradisi
artificiali, realizzata attraverso l'immaginazione non disciplinata e il
travestimento. Ma gli opposti non si risolvono certo così, anzi la loro
tensione si acuisce, e il problema del confronto doloroso tra l'Io e ciò che
gli si oppone persiste in tutta la sua intensità. E' appunto questa esperienza
universale del dualismo il generale supporto archetipico dell'Ombra.
L'Ombra come
disvalore Accanto a un'immagine amabile, la divinità ne rivela una terribile:
entrambe le appartengono e non esiste una legge che regoli, e renda quindi
comprensibile, la loro alternanza. Nell'interpretazione psicologica di Jung, il
passaggio dal Vecchio al Nuovo Testamento, dal Dio della Bibbia al Dio del
Vangelo, è specchio di una progressiva e faticosa crescita e differenziazione
della coscienza, attraverso cui il Dio biblico assume consapevolezza delle
proprie contraddizioni e accetta di assoggettarsi a un codice morale.
Contemporaneamente Satana, il “figlio tenebroso”, perde il favore divino e
viene esiliato, cosa che suscita in lui la gelosia e il desiderio di incarnare
il “dio oscuro”. Il lato tenebroso della divinità inizia da questo momento una
vita autonoma. La lettura che Jung fa in questa chiave dell'Apocalisse rivela
“l'esplosione di sentimenti a lungo rimossi e accumulati”, non diversamente da
quello che può essere osservato molto sovente in persone che pretendono di
raggiungere la perfezione. Il dramma divino è la proiezione in una dimensione
atemporale della vicenda umana, del combattuto emergere della coscienza e della
formazione di un sistema di valori. Il problema del valore si pone infatti non
appena la psiche comincia a svincolarsi da un funzionamento puramente
istintivo. La necessità di una regola, di un sistema di comandi e proibizioni
che si oppone alle esigenze istintive, limitandole, è inerente al funzionamento
stesso della vita sociale, la quale, a sua volta, è indispensabile per la
sopravvivenza dell'uomo. Il contenuto delle norme può variare, è un fatto
storicamente e geograficamente condizionato, ma che una regola, quale che essa
sia, esista, appartiene propriamente alla natura dell'uomo. Darsi una regola
significa identificarsi con certi valori e rifiutarne altri, e significa anche
esporsi al senso di colpa, che è il costo dell'inosservanza e la cui funzione è
quella di mantenere viva la tensione verso il valore. A questo punto il
palcoscenico è pronto per l'apparizione dell'Ombra intesa come disvalore (“ciò
che l'Io non vorrebbe essere”). Nel dramma divino il demonio (Satana vuol dire
“nemico”, “colui che si oppone”) pur se rifiutato, persiste nella sua azione.
Analogamente occorre chiedersi cosa avvenga di tutte le tendenze incompatibili
con i valori accettati dall'Io (comprese le funzioni non sviluppate) e perciò
rifiutate, rimosse dalla coscienza. Esse vanno a costituire quello che Jung
chiama “inconscio personale” e rappresentano una costante provocazione nei
confronti dell'Io, cui spetta l'ingrata funzione di mediare le sollecitazioni
che provengono dal mondo dei valori collettivi con quelle che provengono dalla
parte “oscura” e inaccettabile.
La risposta
all'Ombra La responsabilità dell'Io è quella di prendersi carico della propria
Ombra, di “fare qualcosa” del negativo che è in lui senza pretendere
semplicemente di abolirlo. Ma prima di assumersi un compito così arduo, che richiede
un cambiamento dell'atteggiamento verso se stessi e verso il mondo e quindi una
trasformazione della personalità, l'io cerca le strade che possano offrire
minore resistenza, con conseguenti risposte parziali e inefficaci alla sfida
che dall'oscurità viene lanciata all'orgogliosa coscienza.
La perdita
dell'Ombra Ciò che “é rimosso ha le maggiori probabilità di continuare a
esistere”. Perdere l'Ombra significa appunto relegare nell'inconscio tutto ciò
che è incompatibile con l'insieme dei valori coscienti che l'individuo è andato
assumendo nella sua formazione. L'Ombra perduta non è più nostra: noi non la
vediamo più. Non essendo più nostra, essa diventa autonoma e si comporta come
un complesso inconscio. Se è vero che l'assunzione di una norma autolimitatrice
è fondamentale per lo sviluppo dell'individuo e della collettività, in quanto
constatazione che i beni possono essere acquisiti solo a prezzo di certe
rinunce, è altrettanto vero che privilegiare in modo esclusivo l'elemento
“spirituale” rende disfunzionale il sacrificio in quanto abbandona l'aspetto
“animale” a se stesso. Per legge di compensazione, quanto più è intensa
l'identificazione dell'Io con il mondo dei valori collettivi, tanto più il polo
opposto, divenuto inconscio, si carica di energia. Si determina allora una
dissociazione della personalità totale che dà luogo a fenomeni caratteristici.
Innanzitutto l'Ombra agisce ma non è percepita come tale dall'Io: agisce
attraverso l'Io ed è responsabile di comportamenti impulsivi che sono in contrasto
con i valori e i propositi dell'Io (questa opposizione Io-Ombra viene ben
espressa attraverso l'espediente dello sdoppiamento nel Sosia di Dostoevskij).
Al verificarsi di tali comportamenti, l'Io si difende di fronte alla dissonanza
che essi rappresentano sia mediante un disarmante stupore per ciò che viene
considerata come una semplice intermittenza nel regolato corso degli eventi,
sia con processi di razionalizzazione, sia infine con il rapido oblio. Dove
l'Ombra è molto attiva, essa è paragonabile a un folletto produttore di
equivoci. Difatti, da un lato il mancato riconoscimento dell'Io è responsabile
di una imperfetta conoscenza di se stessi, dall'altro l'azione dell'Io, cioè il suo
trasformarsi in comportamento, provoca una divergenza tra l'immagine che
l'individuo ha di se stesso e quella che di lui si forma l'ambiente
circostante. Infine un ulteriore equivoco nasce dalla differenza tra la
valutazione che di certe azioni altrui dà l'individuo proiettivo e quella che
ne viene data da chi le compie o da terzi. Tutto ciò determina una
straordinaria difficoltà di comunicazione interpersonale. Proiettare l'Ombra
significa attribuire ad altri caratteristiche che rifiutiamo in noi: é dunque
un modo per esorcizzare ciò che ci fa paura, ciò che ci tenta, separandolo da
noi, incarnandolo in altre persone e nei principi di cui facciamo portatori
queste persone, permettendoci così di odiare negli altri ciò che non potremmo
odiare in noi. Questo meccanismo si
presta a estensioni collettive, basti pensare alla nozione di capro espiatorio
e alle proiezioni del “male” su intere comunità e nazioni. Più è inconscia, più
l'Ombra diventa il nostro burattinaio. Nella proiezione tutto il male sta
fuori, ma la spia che questo male ci appartiene sta nella sua insopportabilità,
nella emozionalità con cui lo critichiamo negli altri, che assumono in questi
casi la qualità di specchi nei confronti dei nostri tratti negativi.
L'individuo proiettivo è un isolato, al quale è inibita la possibilità di un
rapporto autentico con l'altro, ed è un infelice, poiché a lui si applica il
ben noto principio della “profezia autoavverantesi”. Nella misura in cui ci
sentiamo perseguitati dall'ostilità esterna, e ce ne difendiamo, facilitiamo
l'emergenza negli altri di reali sentimenti di ostilità: alla fine la realtà
diventa ciò che noi vogliamo che sia.
L'inflazione da
Ombra La rimozione dell'Ombra comporta l'immersione nell'inconscio del polo
negativo, il disvalore, è cioè un tentativo di abolire la tensione tra le due
istanze psichiche: Un tentativo di segno opposto ma strutturalmente analogo è
quello di identificarsi con l'Io: i contenuti dell'Ombra diventano il valore.
L'atteggiamento luciferino, il disprezzo per le esigenze collettive,
l'individualismo estremo, la rivendicazione orgogliosa di una incondizionata
unicità sono segni di questo tentativo di evadere dalle responsabilità che
l'esistenza dei contrasti pone. Questo darsi al male può essere definito uno
scegliere sé stesso “nel senso del suo essere-fatto-così ed esser-diventato-così”.
Quando l'Ombra é in stato di rimozione l'individuo “cade” nel male; nel caso di
inflazione invece, incapace di sopportare la lacerazione inerente alla
condizione umana, bisognoso di conferme ininterrotte, l'individuo sfugge alla
dialettica degli opposti: decide che è possibile esser quello che si vuole e
volere quello che si è. Un esempio illustre di questa identificazione con
l'archetipo negativo è offerto dall'opera del marchese de Sade. L'ironia, il
sarcasmo, la riduzione sistematica di ogni tipo di comportamento a moventi
indegni sono gli strumenti di cui si avvale l'invasato. Del resto non a caso
l'ironia, o almeno un certo tipo di ironia, è un mezzo per evitare di prendere
contatto con il problema, abolendolo magicamente.
Il contatto con
l'Ombra Mediante l'analisi dei sogni (nei quali l'Ombra appare sovente come un
personaggio dello stesso sesso del sognatore) e l'analisi del transfert, è
possibile prendere coscienza, con stupore e disagio, dei contenuti dell'Ombra.
Quando l'Io comincia a fare esperienza di ciò che significa “sopportare” con
umiltà la propria Ombra, la strada si apre all'integrazione, consistente
nell'accettazione della bipolarità etica e quindi nella fondazione di una
morale personale. Occorre che l'Io cambi atteggiamento nei confronti delle
istanze contenute nell'Ombra: tale cambiamento consiste nell'accettazione della
stessa, la quale, da figura parassitaria, deve diventare interlocutrice nel
dialogo inesauribile tra esigenze del mondo collettivo ed esigenze individuali.
Come osserva Jung, occorre “accettare una buona volta il conflitto (la “croce”)
con tutte le sofferenze che inevitabilmente comporta; in caso contrario il
conflitto non potrà mai essere risolto”, ossia “un nemico visibile è sempre
preferibile a un nemico invisibile”. Porsi con serietà il problema dell'Ombra
significa passare da uno stato di non decisione, stretti fra gli imperativi
della moralità collettiva e gli assalti dell'inconscio, a una condizione in cui
la vita assume un significato individuale. A questo punto l'Ombra cambia
configurazione: se prima rappresentava il negativo, ciò era perché questo ruolo
le era stato attribuito dalla coscienza in un'obbligata divisione delle parti.
Essa non poteva pertanto che comportarsi negativamente, disturbando, imponendo
la propria presenza nei soli modi che le erano consentiti. Ma nel momento in
cui la coscienza si pone in ascolto, è la voce del creativo che si fa strada:
Quando l'Ombra viene accettata, l'energia sequestrata dall'inconscio viene
nuovamente resa disponibile per la coscienza e, sebbene non sia un processo
definitivo, può essere utilizzata per produrre nuovi valori, per ampliare la
personalità. L'Ombra non è più isolabile, non è più il negativo, anche se di
fatto, in molte occasioni, continua a rappresentarlo. Ciò che conta è la
relazione tra le due parti. Nella situazione precedente invece il rapporto
Io-Ombra era caratterizzato dalla staticità, entrambi recitavano parti non
coordinate. Ora il “male” acquista senso e può essere redento: è soltanto
attraverso l'esposizione al rischio di sbagliare e l'abbandono della
convinzione di sapere “cosa occorre fare” in ogni occasione che le tenebre
possono convertirsi in luce. In termini mitologici questo significa appunto
prendere su di sé l'ambivalenza della divinità, creativa e distruttiva,
terribile e amabile, e saper rinunciare a identificarsi con l'uno o l'altro
aspetto. Proprio la mitologia può aiutarci a vedere cosa c'è dentro l'Ombra, la
commistione di felicità creativa, di invenzione e naturalezza e al tempo stesso
quel tanto di sfuggente, di grezzo, di disturbante che le è proprio. Jung ha
dedicato a Ermes pagine di grande efficacia (Jung, Lo spirito mercurio):
fondamentalmente amorale, egli è però l'immagine di quella vitalità detta
“mercuriale” legata all'idea della fecondità naturale e possiede la “naturale
indivisibilità”. Gli etnologi hanno definito questa figura il “trickster”,
“colui che gioca dei tiri”. Il suo è un fare prima della coscienza,
contrassegnato da grande potenza, che si può anche tradurre in violenza,
crudeltà, inganno e furbizia (soprattutto quando si tratta di soddisfare i
bisogni primari: esuberanza sessuale e appetito famelico sono tipici del
trickster). Esso non conosce regole e appare impulsivo, sconsiderato, al di qua
del bene e del male, anche se la sua irreflessività lo rende goffo,
“infantile”, a tratti stupido e incapace (Radin, Jung, Kerényi, Il briccone
divino). Nell'Ombra c'è tutto questo, energia, collegamento con l'origine,
difficoltà di coordinamento con le regole della vita quotidiana, gioco e
avventura, invenzione, disordine, rischio della dismisura e del dissolvimento.
E' con questo eroe della bricconata, questa irritante mescolanza di divino e
animale, che occorre fare i conti, anche se saremmo portati a tentare di
ridurlo al silenzio. Certo non lo si può accettare così come si presenta, ma al
tempo stesso non si può non riconoscerlo e non dargli spazio: è nel rapporto
con l'Ombra-trickster, e dal conflitto che questo rapporto comporta, che può
iniziare la realizzazione autonoma dell'individuo. Testi segnalati sul tema
dell'Ombra sono “L'anima buona del Sezuan” di Bertolt Brecht, “Benito Cereno”
di Herman Melville e “Aspettando Godot” di Samuel Beckett.
Capitolo 3
OMBRA: METAFORA E SIMBOLO
(Mario Trevi)
LA
METAFORA DELL'OMBRA L'uso linguistico del termine ombra rimanda
a molteplici significati. Innanzitutto l'ombra è l'immagine oscura proiettata
da un corpo opaco che si ritrovi esposto alla luce: senza di questa l'ombra non
avrebbe esistenza. Per di più, in quanto “ombra proiettata”, l'ombra si
costituisce come ciò che toglie qualcosa allo spazio luminoso: prima
dell'astrazione razionale successiva all'intuizione sensibile che costituisce
l'ombra come appannaggio del corpo opaco esposto alla luce, l'ombra è una “luce
tolta” o un venir meno alla luce. Da qui il passaggio a un'altra accezione
dell'ombra, quella di zona di oscurità, mancanza di luce, tenebra. In questa
prospettiva, almeno per un momento, noi riusciamo a concepire una tenebra senza
dover per necessità pensare alla luce, anche se in realtà la dualità si
ricostituisce quasi immediatamente. Ombra è anche la parte di un corpo che non
è direttamente colpita dalla luce, inevitabile condizione di ogni cosa che è
nella luce. Nel campo della pittura l'ombra è il tono oscuro che sottolinea ed
esalta la parte non direttamente colpita dalla luce: qui l'ombra non è
privazione ma è il contrassegno che permette l'emergere della figura, della
corposità, dello spessore, del contrasto. In pittura l'ombra è indispensabile
quanto il silenzio nella musica: è l'intervallo che permette la lettura della
luce. Il campo della visione offre un'altra accezione dell'ombra: diciamo che
“nel buio possiamo vedere solo ombre” per indicare che scorgiamo solo la linea
che definisce e circonda le cose e le persone: la figura è ridotta al suo
profilo, tuttavia ancora differenziata dal resto del campo visivo. Siamo in
presenza dell'ombra che “definisce”, che delimitando permette di cogliere, di
differenziare. L'ombra è inoltre il luogo nascosto dove non si può gettare lo
sguardo: “si trama nell'ombra” o “si resta nell'ombra”. L'ombra ha un'ambigua
topografia morale: tanto il riserbo quanto il tradimento possono servirsi
dell'ombra, così come la fiducia e il sospetto, dando all'ombra l'accezione di
“riparo” in quanto luogo. Un uomo può vivere “all'ombra” della legge, della
fede, ma è proprio qui che l'interscambio tra ombra e luce si fa più sensibile,
poiché possiamo anche vivere “nella luce” di una fede, di una ideologia e via
dicendo.
LEGITTIMITA'
DI UNA METAFORA L'Ombra
è legata all'esperienza del valore, quest'ultimo con la sua relatività, il suo
perenne mutare nel corso della storia, delle culture, nell'arco delle singole
esistenze. Ogni mutamento del valore comporta un mutamento dell'Ombra, essi
sono come poli di un magnete: si ricostituiscono perfettamente integri a ogni
nostro tentativo inteso a separare l'Ombra dal resto, a “togliere via l'Ombra”.
L'Ombra rimarrà sempre ciò che può essere configurato solo con un'immagine,
essendo una metafora comprensiva gremita di contenuti e di riferimenti. Ridurre
l'Ombra a “male”, ad esempio, è identificarla con uno dei suoi contenuti, è
impoverirla come esperienza emotiva: essa è densità immaginale e corposa, è
peso, è presenza. Possiamo “riferirci” a un valore, al Vero, al Buono, ecc, ma
“abbiamo” un'Ombra.
Come già detto un
corpo “ha ombra” perché riceve luce da una sorgente di luce esterna a lui.
Possiamo anche dire che un corpo opaco ha parti “in” luce e parti “in” ombra:
“abbiamo” un'ombra, il resto “viene” illuminato. Non importa che la luce venga
da Dio, dalla società, dalla cultura o da una somma di valori, l'individuo deve
fare i conti solo con l'Ombra che deriva da quella luce non sua. Avere
esperienza di noi è esperirci con un'Ombra, sapendo che essa tende a
dissimularsi o a ingigantire fino ad annichilirci. La metafora dell'Ombra può
servire da fonte a molte esperienze o a prodotti culturali: oltre ai sogni,
anche fiabe, miti, racconti, romanzi e via dicendo, e sempre, in ogni caso, non
intacca la natura di ciò a cui si accosta. La metafora dell'Ombra ricerca un
punto nodale e nascosto dell'esperienza, e toccato quel punto essa si ritrae:
l'esperienza ora “riesce” a parlare.
OMBRA,
LIMITE, DEFINIZIONE Dal punto di vista della relazione con noi
stessi, l'Ombra si scinde in due aspetti complementari: da una parte è quel che
siamo e che non vorremmo essere, dall'altra ciò che non siamo e che vorremmo
essere. Essere coscienti di sé è vivere in questo duplice spiazzamento. Anche
dal punto di vista della relazione con gli altri l'Ombra si scinde in due: da
una parte è ciò che siamo e non vorremmo che apparisse, dall'altra è ciò che
non siamo e che vorremmo che in qualche modo apparisse. Va da sé che nel campo
delle amicizie e dell'amore, quando “non devo nascondermi”, la differenza
dell'essere e dell'apparire tende a ridursi al minimo e ad annullarsi. Il
nascondersi appartiene all'ordine del possesso: mi nascondo perché ho paura di
perdere l'altro. Ovunque il possesso si sostituisce all'amore siamo di nuovo
posti di fronte ai nostri limiti non accettati, ritorna l'esperienza del
rifiuto e della mancanza. Sia nel rapporto con noi stessi che con gli altri
l'Ombra è quindi allo stesso tempo peso e mancanza. Soffro dei difetti che non
posso togliermi, e soffro delle virtù che non ho. Non importa rispetto a quali
ideali e a quali valori difetti e virtù si costituiscano come tali, posso
sottrarmi a una cultura accettandone un'altra, non è mutando ideale che faccio
scomparire l'Ombra. Quello che è propriamente mio non sono i valori, ma è
l'Ombra, e su questa devo lavorare. Posso tentare di allontanarla, ma dovrò
presto fare i conti con lei, so perfettamente che non avere un'Ombra è un
ideale infantile. Perché qualcosa di me sia in luce devo accettare l'Ombra,
devo confrontarmi con questo nemico. Ho un solo mezzo per farlo: assumere
l'Ombra non come un limite ma come una “definizione”, non come ciò che manca ma
come il confine che mi definisce. Dove apparentemente “viene meno” la luce che
vorrei avere, proprio là io riconosco il mio confine e la mia definizione. Io
sono propriamente me stesso là dove incontro la mia Ombra e la assumo come ciò
che mi differenzia e mi definisce, da oscurità e mancanza devo farla diventare
profilo, linea di contorno, confine. In questo passaggio da limite a confine
l'Ombra non perde certo i suoi connotati, il suo peso rimane tale, ma ora tale
peso ha un senso. Assumo quindi i dati originari che mi sono stati consegnati
dall'esterno, quali il destino, il caso e anche il corpo, come ciò che,
nonostante tutto, mi è proprio, mi circoscrive e mi dà forma. O meglio, ciò che
mi fornisce quella forma sulla quale io posso lavorare plasmandola, ma senza la
quale ogni ulteriore forma sarebbe impossibile.
OMBRA,
OSTACOLO, TRASFORMAZIONE L'operazione che
permette di convertire l'Ombra da limite a definizione è una tipica operazione
simbolica: scopriamo il punto prospettico che ci permette di riconoscere
l'Ombra come forma, non
come corrosione
della forma. Ora l'Ombra non si limita a esserci, ma mi mette in moto, mi
spinge, mi pungola, mi “assilla”, ma non più perché vorrei che non ci fosse o
non si manifestasse, ma perché determina un movimento a cui non posso sfuggire.
La meta del movimento sono io stesso, qualcosa verso cui muovermi e verso cui
sento di trasformarmi. L'Ombra si pone, in questa prospettiva, come ostacolo da
superare, mai come peso o zavorra. Costante rimane la tentazione di perderla di
nuovo di vista, di farla tornare in quel buio totale che mi legittima a
ignorarla. Come ostacolo l'Ombra si ripropone incessantemente, la simbolica
onirica dell'Ombra è eloquentissima a questo proposito: devo accettare la lotta
con un compagno sconosciuto che non a caso ha molte delle mie caratteristiche.
La lotta può essere leale o sleale, giocosa o atroce, in ogni caso rivela
sempre qualcosa di me stesso, mi conduce dove non voglio andare e dove, al
contrario, io ho l'unica possibilità di riconoscermi per quello che sono. Le
fiabe sono ancora più esplicite in proposito. Apparentemente abbiamo due
visioni opposte e inconciliabili, una statica e una dinamica. Nella prima io
riconosco l'Ombra come costitutiva della mia stessa definizione e la accetto
come aspetto inevitabile della mia fora. Nell'altra io riconosco l'Ombra come
ciò che mi sospinge verso una meta tanto chiara quanto irraggiungibile, quel me
stesso che continua a spostarsi più lontano a ogni mio sforzo di raggiungerlo.
In realtà ricononosciamo che sono due modi di visualizzare una stessa realtà:
essere e diventare sono la traduzione in parole di immagini, il risultato di
nostri ineliminabili bisogni astrattivi. L'immagine che unifica i due opposti è
la primordiale e ricorrente esperienza dell'Ombra: è lei che ci fa essere ciò
che siamo e ci fa muovere verso ciò che saremo.
L'AGNIZIONE
DELL'OMBRA L'Ombra
può incombere opprimente e minacciosa sul nostro orizzonte, “togliendo” grande
spazio alla luce, “oscurandoci”, oppure può sottrarsi del tutto alla nostra
vista, ingannandoci col suo nascondimento. L'Ombra incombente e visibile può
infastidirci o paralizzarci, ma solo l'Ombra occultata rappresenta veramente un
pericolo. Dell'Ombra visibile possiamo fare un interlocutore, per trasformarla
da limite in confine, essa può diventare la “nostra” Ombra, costituirsi come
parte della personalità, prima come peso, zavorra, vergogna, ma poi, a poco a
poco, come forma, definizione, marcatura individuale. Con l'Ombra invisibile e
sfuggente non possiamo che avere un rapporto di timore. La tentazione di
scacciare l'ospite sgradito è sempre forte e la malafede sempre pronta ad
aiutarci nell'operazione di occultamento: non siamo noi ad avere un'Ombra, sono
gli altri. L'Ombra è sempre ben visibile negli altri, ci meravigliamo che gli
altri non se ne accorgano. Con un termine tratto dal linguaggio dell'oculistica,
possiamo dire che “scotomizziamo” l'Ombra, cioè perdiamo la vista in un'area
limitata del campo visivo, allontaniamo l'Ombra dalla nostra vista, non ci
riguarda, e in questo modo ogni possibilità di stabilire un'operazione
trasformatrice viene meno, risalta solo l'Ombra degli altri, e risultiamo
odiosi. Dunque l'Ombra va ricercata, va messa in rilievo, il limite deve essere
presente in tutte le sue forme: difetto, vizio, immaturità, mancanza, destino
miserabile. La pratica religiosa di tutti i tempi contempla molte “tecniche
schiedeliche”, cioè rivelatrici dell'Ombra, e tutte si riducono sostanzialmente
a un unico motivo: la tecnica della mortificazione. Questa però non permette
alcuna operazione successiva, poiché il negativo non viene assolto da me ma
dall'Altro, non sono io a caricarmi del peso dell'Ombra, ma l'Altro che,
redimendomi, annulla la mia responsabilità.
OMBRA
E ANAMORFOSI Possiamo
dire che l'Ombra si occulta anamorficamente dentro il visibile, occorre
raggiungere il punto prospettico dal quale si rende visibile ciò che si era
occultato. In realtà chi occulta è la nostra pigrizia: pretendiamo di usare
solo la visione frontale, che è la visione della “maschera”, del collettivo,
del conforme. Così facendo perdiamo di vista la ricchezza dell'Ombra, ci
liberiamo del suo peso e del compito che ci impone, ma perdiamo anche di vista
il nostro profilo, la nostra delimitazione e la possibilità di movimento. E'
necessario trovare i punti schiedelici disseminati nella nostra coscienza per
avvicinarci al concetto di Ombra come “spessore”. Parimenti, con un orecchio
particolarmente esercitato, possiamo riuscire a cogliere i “momenti” che, lungo
il tempo usuale, ma in contrasto con i ritmi di questo, rivelano un disegno,
sottoforma di una sorta di anamorfosi temporale.
OMBRA
E MORTE In
quanto metafora del limite, l'Ombra contempla la morte come sua unica e
onnicomprensiva espressione. Occultando il fatto pur evidente che la morte è il
fondamento unico e costante dell'esistenza, essa rischia di rimanere per noi
limite e di non costituirsi mai in definizione e profilo, rischia di rimanere
sempre “ciò che non sono” e di non costituirsi mai in “ciò che anche sono”.
Evitando di riconoscerla, io non posso compiere alcuna operazione nei confronti
della morte, essa rimane limite. Compiamo continuamente due errori nei
confronti della morte: sfuggiamo da lei o fuggiamo in lei. In tutti e due i
casi la strumentalizziamo: nel primo caso per costruirci una fittizia immagine
di una vita senza morte, nel secondo per liberarci da un responsabilità di
costituirci secondo un senso. La fuga nella morte è il caso estremo di fuga
nell'Ombra.
OMBRA
E SITUAZIONE-LIMITE La situazione-limite fondamentale è
probabilmente quella determinata dal fatto che viviamo sempre in una situazione
determinata: cioè che sempre, ovunque e senza scampo il mondo esterno, il mio
corpo, il mio passato, la mia esperienza, il mio temperamento, la mia
condizione economica e infiniti altri dati, mi limitano, mi determinano. E'
questa l'espressione più generale dell'Ombra, il peso del condizionamento, ciò
che non vorrei essere e tuttavia sono, ciò che appare anche se tento di
mascherarlo. E' l'Ombra nascosta dalla mia illusione di libertà incondizionata.
Un'altra situazione-limite è quella della convinzione di non poter esistere se
non nella lotta e nel dolore, in cui assegnamo un valore di maturità alla
capacità di sopportare la frustrazione. Ma la maturità si situa ancor prima
della frustrazione, nella capacità di accettare non tanto la lotta quanto
l'inevitabilità della sua condizione. Situazione-limite è il dover assumere su
di sé la colpa: non posso mutare il limite in definizione se prima non mi sono
caricato della colpa, perché solo in questo modo esso è veramente mio. Infine,
insieme all'inevitabilità della situazione, la lotta e la colpa, anche la morte
fa parte del nucleo più profondo e segreto dell'Ombra: la situazione-limite
dell'essere destinato alla morte evoca il significato più alto dell'Io, lo
chiarisce come metafora della finitudine. Viene suggerito ancora un ultimo e
più complicato ribaltamento anamorfico che cela il disegno della
situazione-limite all'interno del disegno dell'Ombra.
Capitolo 4
IL DIAVOLO
NELL'ESPERIENZA ANALITICA
(Augusto Romano)
Il trattamento
analitico ha come intento quello di trasformare una sofferenza insensata in una
sofferenza che abbia significato per chi la vive. Ma dove c'è conflitto vi sono
necessariamente due forze antagoniste: possiamo chiamare diavolo una di queste
entità, quella con cui il soggetto non si identifica. Il diavolo appare nelle
stesse parole del paziente, quando racconta che gli sta accadendo questo e
quest'altro. Dice proprio così: “Mi capita”, rendendo così omaggio a una
potenza che trascende le sue capacità di controllo e di comprensione, una
potenza che gioca con lui crudelmente. Egli concepisce questa potenza come
l'avversario, in certi casi anche come il tentatore (“Mi vengono strani
impulsi, che mi spaventano”). Rivolgersi all'analista rappresenta l'estremo
tentativo per debellare il nemico, per farlo tacere. Al soggetto non passa
nemmeno per la testa che quel nemico che si esprime attraverso i sintomi possa
parlare una lingua comprensibile, l'idea di partenza è che non sia possibile
trattare con esso. Sebbene non sappia come, egli immagina che ci debba pur
essere un modo per vincerlo: questo modo egli ritiene che lo conosca il
terapeuta, l'esperto dei disturbi psichici. Il paziente, come tutti, se la
vuole cavare con poco, e si rivolge al medico, nel tentativo di ridurlo a
disturbo curabile: è quel modernismo ottimistico cui appartengono anche le
“meraviglie della tecnica”, il mito del progresso, le creme antirughe e la
vergogna della morte. Il nostro paziente, in modo più o meno consapevole, ha
deciso cosa sia bene: ha – per così dire – scelto i suoi dei. La sua ingenuità
consiste nella sua unilateralità. La situazione paradossale in cui si trova il
nevrotico può essere così descritta: egli è un uomo civilizzato, dotato cioè di
una coscienza differenziata, che vuole però sottrarsi al problema della scelta
individuale. Pretende di vivere in un mondo che risulta essere unidimensionale,
retto da un solo principio, vorrebbe comportarsi come se si trovasse ancora nel
paradiso terrestre, mentre la sua condizione è caratterizzata dalla
contraddittorietà, cioè dalla coesistenza di dio e del male. Egli non vuole
scegliere, finge di farlo, ma le sue scelte sono prive di reali implicazioni
personali. Parlando di fedeltà al bene, occorre non dimenticare che il bene e
il male non sono altro che giudizi, dunque non implica necessariamente l'essere
virtuosi. Lo scopo dell'analisi è di ridare diritto di cittadinanza al diavolo.
La vecchia figura del confessore mostra qui i suoi limiti, in quanto la sua
apparente generosità e gli effetti di rassicurazione che l'assoluzione induce,
non fanno che ricondurre il peccatore nell'universo unidimensionale da cui,
peccando, era stato tentato di uscire. La posizione dell'analista è
completamente diversa: il paziente lo vorrebbe confessore-esorcista, ma egli è
obbligato invece a confermare il paziente come soggetto del suo male,
aiutandolo a riconoscere l'esistenza del diavolo e a imparare a dialogare con
lui. Questo rende possibile all'uomo conquistare una identità, che consiste
nella capacità di ricombinare continuamente gli opposti senza cadere vittima di
nessuno di loro. Porgendo orecchio alla voce del dubbio, al tentatore, ci
dislochiamo rispetto al territorio sicuro che noi stessi abbiamo accuratamente
recintato: la scomodità sta in noi, nel nostro rifiuto alla complessità, non
nella complessità, che è della vita. A ogni atteggiamento ne corrisponde uno di
segno opposto, e l'arte sta nel tenerli insieme, consapevoli di dover pagare un
prezzo tutte le volte che decidiamo di far pendere la bilancia da una delle due
parti. Oggi pare che l'uomo post-moderno, educato dai mezzi di comunicazione di
massa, partecipe del “collettivo sognante” di cui parla Benjamin, aspiri per
sua natura all'assenza di tensione, nel caso migliore tenda alla estetizzazione
dell'esistenza, al passaggio indolore e ludico da un atteggiamento all'altro.
Niente di più contrario alla posizione di Jung, che vede nel conflitto il
motore della vita. Usando una metafora politica, si potrebbe dire che l'etica
della psicoanalisi junghiana corrisponde allo spirito della democrazia, secondo
il quale tutte le parti hanno diritto a essere ascoltate e a pesare nelle
decisioni.