Sono due articoli, fra di loro collegati, apparsi nell'inserto "AFFARI e FINANZA" di La Repubblica del 01 Febbraio. Illustrano scenari strettamente collegati sia alle discussioni fatte a margine della "lettura collettiva" del libro "Il Capitale nel XXI secolo" di Thomas Piketty (in particolare per quanto concerne il ruolo della "crescita" nel prossimo futuro) sia ai temi che verranno dibattuti nella conferenza "Responsabilità nella ricerca" che in Aprile sarà tenuta da Gianni Colombo.
Ci è quindi sembrato utile recuperarli nel nostro blog
Digitale, intelligenza artificiale,
genetica arriva la Quarta Rivoluzione Industriale
Le trasformazioni
saranno profonde non solo nel modo di produrre, ma anche nei beni prodotti, nei
consumi e nei comportamenti fino ad arrivare a interventi sull'uomo. Il
predominio degli Stati Uniti, il ruolo dell'Europa e della Cina
Alla
Quarta Rivoluzione Industriale l’aggettivo industriale va stretto. Perché se il
mondo della produzione ne sarà cambiato radicalmente, l’impatto su quello che
accade fuori dalle mura delle fabbriche non sarà da meno. La parte industriale
di questa rivoluzione è quello che in Germania hanno chiamato Industria 4.0:
l’insieme di innovazioni basate sulla digitalizzazione dei processi, con le
macchine sempre più intelligenti e connesse che comunicano tra loro,
scambiandosi ordini e commesse in frazioni di secondo, e sulla diffusione delle
stampanti 3D che consentono di produrre oggetti accumulando strati di
materiale. Le stampanti 3D in realtà determineranno anche altri effetti, come
la frammentazione della produzione nei punti vendita, per esempio delle parti
di ricambio, e addirittura nelle case, dove ciascuno si potrà costruire alcune
(sempre più) delle cose di cui ha bisogno, presto anche cibi e, pericolosamente
per la società, armi. Il terzo passaggio, sempre delle stampanti 3D, sarà la
produzione di parti e organi umani, dalle ossa fino al fegato (il primo
trapianto di un fegato costruito con questa tecnologia è atteso entro il 2025).
Già gli effetti della sola parte manifatturiera di questa rivoluzione saranno
dirompenti, in termini di posti di lavoro distrutti, oltre un milione e 600
mila di qui al 2020 solo nel manifatturiero nei paesi industrializzati, ma
anche di processi produttivi e distributivi, organizzazione del lavoro,
strategie aziendali. Ma ancora più dirompente saranno i prodotti. L’auto per
esempio (sempre entro il 2025 è attesa la prima costruita con una stampante
3D), attraverserà una trasformazione profonda. Secondo Mary Barra,
amministratore delegato della General Motors, l’industria dell’auto cambierà di
più nei prossimi dieci anni di quanto non abbia fatto nei precedenti 50. Avremo
auto diverse, per il tipo di energia che le alimenterà, per i livelli di
sicurezza, di interconnessione con le altre auto e le infrastrutture, per chi
le guiderà, per chi le possiederà e per l’uso che ne faremo. E’ un esempio di
come la componente “industriale” della rivoluzione si intreccerà con altre
componenti. La digitalizzazione e l’interconnessione saranno fattori abilitanti
della guida autonoma (a metà della prossima decade un’auto su 10 sulle strade
americane sarà senza pilota), le rinnovabili incideranno sul tipo di energia
che le muoverà, la platform economy (quella su cui si basano Uber e BlaBlaCar)
chi le possiederà. Le macchine comunicheranno l’una con l’altra e con le strade
che percorreranno, con gli edifici che le costeggiano, con i pali della luce e
con i semafori, finchè ci saranno (entro dieci anni avremo anche la prima città
senza semafori). Il modello che vedremo a terra lo replicheranno i droni nei
cieli e le navi robotizzate sui mari. La comunicazione tra oggetti non
riguarderà solo le automobili, i droni e i robot industriali. Tutti i nostri
elettrodomestici, terminali di varia natura e anche abiti, saranno connessi. E’
la già famosa Internet of Things, l’Internet delle cose, che consentirà
risparmio energetico ed efficienza e gestione a distanza pressochè di tutto. Le
nostre case saranno piene di sensori all’interno e i palazzi all’esterno. La
connessione così granulare e reticolare produrrà una quantità enorme di dati
(big data) che saranno elaborabili grazie alle colossali capacità di calcolo
che sappiamo ormai mettere in campo e consentiranno di ottimizzare quasi tutto,
dal traffico nelle città (l’urbanizzazione procede velocemente, ormai oltre
metà dell’umanità vive nelle città) alla logistica. Saremo interconnessi anche
noi, non solo i telefonini che abbiamo in tasca e i tablet che portiamo nella
borsa. Terminali connessi grandi come granelli di sabbia saranno non solo nei
nostri abiti ma anche impiantati nei nostri corpi, aiutando molto la medicina
ma consentendo anche di accumulare dati sui nostri comportamenti, le nostre
scelte, le nostre emozioni. La privacy, quel poco che resta, dovremo
dimenticarla, e multinazionali e governi che avranno a disposizione quella
enorme quantità di dati avranno maggiori possibilità di condizionarci. Negli
uomini sarà possibile impiantare, oltre a organi artificiali e terminali
connessi, anche memorie artificiali, mentre la genetica, che ha già fatto molta
strada nel mondo vegetale e parecchia in quello animale sta facendo passi da
gigante anche nell’”editing genetico” degli embrioni. Anche noi, esseri umani,
potremo essere geneticamente modificati, eliminando malattie neurodegenerative
e di altra natura, ma con il rischio di ridurre o eliminare anche le diversità
che fanno di ciascuno di noi un individuo. Sul fronte opposto l’intelligenza
artificiale, che ha già fatto il salto concettuale dalla produzione di macchine
che riproducono le capacità meccaniche dell’uomo a macchine che saranno capaci
di apprendere con l’esperienza, fino, forse, un giorno che potrebbe essere non
lontano, ad apprendere quella umanissima dote che è l’empatia. Già oggi
interpretano voce e gesti, domani forse emozioni e sentimenti. I soldati robot
sono alle viste, in pochi anni debutterà il robot farmacista e un sondaggio tra
gli esperti realizzato dal World Economic Forum rivela che il 45% degli
intervistati ritiene possibile che in dieci o quindici anni vedremo l’ingresso
di una macchina intelligente entrare in un consiglio di amministrazione. Si
vedono già i vincitori probabili di questa epocale trasformazione. La platform
economy, i vari Facebook, AirBnB, Uber, Amazon, sono tutti americani, imprese
giovani che stanno cambiando il modello di capitalismo: Amazon, il più grande
mercante del pianeta, non possiede un solo negozio, Uber una sola autovettura,
AirBnB neanche una stanza d’albergo. E sono i leader globali nel commercio, nel
trasporto urbano degli individui e nell’ospitalità. L’intelligenza artificiale
e la genetica è negli Usa che trovano le maggiori risorse per la ricerca, così
come è negli Usa che la quota digitale dell’economia è la più elevata (33% del
pil secondo Accenture, in Italia il 18%). Ci sono altre tecnologie, come quella
denominata “BlockChain”, sulla quale si basano i Bitcoin, che grantisce le
transazini attraverso una serie di controlli automatici incrociati e che
cambierà il mondo della finanza e delle transazioni, e anch’essa è
prevalentemente americana. L’Europa in tutto questo è indietro, per rigidità
finanziaria e normativa e per un capitalismo più difensivo e conservatore. La
sua forza è in alcune tecnologie e settori, dai sensori ai satelliti e relativi
lanciatori, che avranno una richiesta eponenziale, alla logistica, ad alcuni
settori della manifattura. La Cina dal canto suo sta facendo enormi sforzi per
avvicinarsi alla frontiera tecnologica più avanzata, con molta attenzione per
la genetica. Questa Quarta Rivoluzione Industriale che cambierà non solo le
cose e il mondo intorno a noi ma anche noi, ha due caratteristiche che la
distinguono dalle precedenti: l’interconnessione e la velocità. Si
intrecceranno sempre di più negli anni a venire le tecnologie It,
l’intelligenza artificiale, la genetica, la biologia, i nuovi materiali, i big
data e tante altre cose ancora. La velocità dell’innovazione da lineare diventa
esponenziale, generazioni tecnologiche si succederanno ad un ritmo mai
conosciuto prima dagli uomini, con effetti su produzione e consumi, durata e
qualità della vita, energia e ambiente, politica e tasse, occupazione,
migrazioni, stabilità sociale, etica, diritto, filosofia. La capacità di
aprirsi alle trasformazioni in atto sarà un fattore determinante: il mondo si
dividerà tra i paesi che sapranno cavalcare la trasformazione e quelli che
cercheranno di difendere il vecchio modello. Facile prevedere tra i due
schieramenti chi vincerà.
Posti di lavoro cancellati,
migrazioni regolare l’innovazione, le sfide per i governi
L’IMPATTO
SOCIALE AVRÀ EFFETTI SUL FISCO E SUL WELFARE, MENTRE LA RIDUZIONE STRUTTURALE
DEI PREZZI ACCENTUERÀ LE TENDENZE DEFLATTIVE GIÀ IN ATTO. LA DIFFICOLTÀ DI
CREARE NORME UNIVERSALI PER L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA E I RISCHI CONNESSI
L e prime
tre rivoluzioni industriali hanno delle date di nascita: la prima il 1784, con
l’invenzione del motore a vapore, l’avvio dell’industrializzazione e
dell’epopea delle ferrovie; la seconda il 1870, con l’arrivo dell’elettricità,
della divisione del lavoro, delle produzioni di massa; la terza il 1969, con
l’elettronica, l’It, l’automazione delle produzioni. E’ quella in cui ancora
siamo immersi mentre entriamo a gran velocità nella quarta, che non ha ancora
una data di nascita precisa. Siamo nella fase della gestazione, poi ci
penseranno gli storici. Ciascuna delle rivoluzioni industriali precedenti ha cambiato
la produzione ma anche stili e modelli di vita, dall’urbanizzazione all’energia
elettrica e l’acqua corrente per tutti (non per tutti in realtà, c’è ancora una
bel pezzo di mondo che l’acqua e la luce ancora non ce l’ha) alla connessione
internet e mobile. Questa che sta nascendo le nostre vite le cambierà ancora di
più e non per tutti e non necessariamente per il meglio. Il fondatore del World
Economic Forum Klaus Schwab ci ha scritto un libro, mettendo in fila le
prospettive e i rischi, che sono molti e in buona parte nuovi. Ci saranno, come
sempre, vincitori e vinti in questa rivoluzione, tra paesi e tra gruppi sociali
e le sfide che governi e classi dirigenti saranno chiamati ad affrontare
saranno enormi, sul piano sociale, politico, economico e giuridico. La prima certezza
riguarda il lavoro, e non è positiva. Solo di qui al 2020, secondo il “Future of Jobs Report” elaborato dal Wef,
saranno cancellati oltre 5 milioni di posti di lavoro nelle principali economie.
Cinque milioni è il netto tra i 7 milioni che scompariranno soprattutto nei
lavori d’ufficio (4,7 milioni), nelle produzioni manifatturiere (1,6 milioni) e
nell’edilizia (500 mila), e i due milioni di posti di lavoro che saranno creati
nelle attività manageriali, finanziarie, informatiche e matematiche,
commerciali ed educative. Poi, come è avvenuto nelle rivoluzioni industriali
passate si creeranno nuovi posti, ma c’è un gap temporale tra la distruzione di
lavoro obsoleto e la creazione di lavoro nuovo. In questo gap le tensioni
sociali aumenteranno e cresceranno anche i costi dello stato sociale mentre
diminuirà il prelievo fiscale sul lavoro e quindi la possibilità di sostenere
il reddito di coloro che saranno espulsi e, indirettamente, i consumi. La polarizzazione
dei redditi aumenterà e con essa le disuguaglianze, che aggiungeranno benzina
al fuoco delle tensioni sociali. Mentre l’aumento della vita media che la
genetica favorirà accentuerà lo stress dei conti pubblici. Poichè in questa
partita ci saranno non solo classi vincenti e classi perdenti ma anche paesi
vincenti e paesi perdenti, si
accentueranno i flussi migratori, con le complessità che
comportano. Un altro fenomeno, già in atto e che si accentuerà, è la
deflazione, perchè i prezzi di beni e servizi strutturalmente tenderanno a
scendere, e non basteranno più i vecchi strumenti di politica monetaria per
invertire la tendenza. C’è poi un altro tema, nuovissimo e sofisticato che riguarda
addirittura la natura stessa dell’uomo. Sta cominciando infatti un’altra
storia, che farà di noi qualcosa di diverso. L’incrocio tra l’evoluzione della
genetica e dell’intelligenza artificiale ci porta in una terra incognita, in
cui i limiti biologici saranno superati mentre le macchine tenderanno sempre
più ad avere caratteristiche che le avvicineranno alla natura umana. Avremo
terminali connessi e memorie artificiali impiantati nel nostro corpo, sarà
possibile intervenire sul dna per cancellare malattie, già ci sono esperimenti
di manipolazione del dna sugli embrioni. A rischio ci sono le differenze che
fanno di ciascuno un unicum, nella biologia e nei comportamenti. Dall’altro
lato l’intelligenza artificiale che sta avvicinando sempre più le macchine alle
capacità dell’uomo. Gli uomini saranno un po’ più macchine, con i loro pezzi di
ricambio stampabili in 3D e le macchine saranno sempre più umane. Il World
Economic Forum ha dedicato l’ultimo evento a come definire la natura umana,
segno che cominciamo ad avere dubbi sulla sua essenza. Il primo problema che
emerge è chi regola l’evoluzione tecnologica. Il livello nazionale sembra non
bastare più, si può addirittura scatenare una concorrenza regolamentare al
ribasso tra paesi per attrarre la ricerca sul proprio territorio. Il secondo
problema è come regolare l’innovazione senza bloccarla e fare in modo che resti
al servizio dell’uomo. Il terzo, che sta però in cima a tutti, è in base a
quali principi. C’è poi un altro aspetto della regolazione, che riguarda la
privacy, messa a rischio ogni giorno di più, e l’autonomia di giudizio, di
valutazione, di scelta quando l’utilizzo avanzato dei big data, sarà a
disposizione delle grandi compagnie e anche dei governi. Le inquietudini che il
cambiamento porta con se sono molte, ma il cambiamento non si ferma, nè sarebbe
bene che lo facesse per tutto quello che di positivo può portare, ed è molto,
alle generazioni a venire.Chiudersi all’innovazione è la ricetta sicura per la
marginalizzazione e l’impoverimento, l’unica strada è comprenderla e
governarla. E qui è difficile essere ottimisti.
Mi pare che le riflessioni presentate in questi due articoli possano essere riconducibili all’assunto che la “rivoluzione 4.0” non riguarda solo l’industria, ma l’intero sistema socio-economico globale. Mi sembra giusto sottolineare che circolano anche tante ipotesi di sviluppo sostenibile che affrontano tale problema in chiave positiva. Mi viene da pensare che assicurare un’equa distribuzione della ricchezza (cosa di cui abbiamo parlato l’altro pomeriggio in biblioteca) potrebbe produrre il mantenimento di quel ciclo lavoro-produzione-consumo (e profitto), capace di tenere alti, oltre che i valori morali e sociali che ci piace considerare primari, anche quei “benedetti” consumi, che un’eccessiva concentrazione di ricchezza sembrano per vari motivi non assicurare. Sia pure fra tante difficoltà e pagando il prezzo di non poche vittime, il progresso tecnologico passato ha anche portato, con le sue spinte spesso contradittorie, ad un miglioramento delle condizioni di vita di gran parte della popolazione e a modelli di società illuminati; mi piace pensare, e credo non per puro stupido ottimismo, che le capacità scientifiche e tecnologiche coniugate con una nuova sensibilità culturale ed etica – che già è avvertibile in tanti uomini e donne - possano modificare queste ‘funeste’ previsioni!
RispondiElimina