martedì 2 febbraio 2016

La quarta rivoluzione industriale - Articoli di Marco Panara (La Repubblica)

Sono due articoli, fra di loro collegati, apparsi nell'inserto "AFFARI e FINANZA" di La Repubblica del 01 Febbraio. Illustrano scenari strettamente collegati sia alle discussioni fatte a margine della "lettura collettiva" del libro "Il Capitale nel XXI secolo" di Thomas Piketty (in particolare per quanto concerne il ruolo della "crescita" nel prossimo futuro) sia ai temi che verranno dibattuti nella conferenza "Responsabilità nella ricerca" che in Aprile sarà tenuta da Gianni Colombo.
Ci è quindi sembrato utile recuperarli nel nostro blog
 

Digitale, intelligenza artificiale, genetica arriva la Quarta Rivoluzione Industriale

Le trasformazioni saranno profonde non solo nel modo di produrre, ma anche nei beni prodotti, nei consumi e nei comportamenti fino ad arrivare a interventi sull'uomo. Il predominio degli Stati Uniti, il ruolo dell'Europa e della Cina

Alla Quarta Rivoluzione Industriale l’aggettivo industriale va stretto. Perché se il mondo della produzione ne sarà cambiato radicalmente, l’impatto su quello che accade fuori dalle mura delle fabbriche non sarà da meno. La parte industriale di questa rivoluzione è quello che in Germania hanno chiamato Industria 4.0: l’insieme di innovazioni basate sulla digitalizzazione dei processi, con le macchine sempre più intelligenti e connesse che comunicano tra loro, scambiandosi ordini e commesse in frazioni di secondo, e sulla diffusione delle stampanti 3D che consentono di produrre oggetti accumulando strati di materiale. Le stampanti 3D in realtà determineranno anche altri effetti, come la frammentazione della produzione nei punti vendita, per esempio delle parti di ricambio, e addirittura nelle case, dove ciascuno si potrà costruire alcune (sempre più) delle cose di cui ha bisogno, presto anche cibi e, pericolosamente per la società, armi. Il terzo passaggio, sempre delle stampanti 3D, sarà la produzione di parti e organi umani, dalle ossa fino al fegato (il primo trapianto di un fegato costruito con questa tecnologia è atteso entro il 2025). Già gli effetti della sola parte manifatturiera di questa rivoluzione saranno dirompenti, in termini di posti di lavoro distrutti, oltre un milione e 600 mila di qui al 2020 solo nel manifatturiero nei paesi industrializzati, ma anche di processi produttivi e distributivi, organizzazione del lavoro, strategie aziendali. Ma ancora più dirompente saranno i prodotti. L’auto per esempio (sempre entro il 2025 è attesa la prima costruita con una stampante 3D), attraverserà una trasformazione profonda. Secondo Mary Barra, amministratore delegato della General Motors, l’industria dell’auto cambierà di più nei prossimi dieci anni di quanto non abbia fatto nei precedenti 50. Avremo auto diverse, per il tipo di energia che le alimenterà, per i livelli di sicurezza, di interconnessione con le altre auto e le infrastrutture, per chi le guiderà, per chi le possiederà e per l’uso che ne faremo. E’ un esempio di come la componente “industriale” della rivoluzione si intreccerà con altre componenti. La digitalizzazione e l’interconnessione saranno fattori abilitanti della guida autonoma (a metà della prossima decade un’auto su 10 sulle strade americane sarà senza pilota), le rinnovabili incideranno sul tipo di energia che le muoverà, la platform economy (quella su cui si basano Uber e BlaBlaCar) chi le possiederà. Le macchine comunicheranno l’una con l’altra e con le strade che percorreranno, con gli edifici che le costeggiano, con i pali della luce e con i semafori, finchè ci saranno (entro dieci anni avremo anche la prima città senza semafori). Il modello che vedremo a terra lo replicheranno i droni nei cieli e le navi robotizzate sui mari. La comunicazione tra oggetti non riguarderà solo le automobili, i droni e i robot industriali. Tutti i nostri elettrodomestici, terminali di varia natura e anche abiti, saranno connessi. E’ la già famosa Internet of Things, l’Internet delle cose, che consentirà risparmio energetico ed efficienza e gestione a distanza pressochè di tutto. Le nostre case saranno piene di sensori all’interno e i palazzi all’esterno. La connessione così granulare e reticolare produrrà una quantità enorme di dati (big data) che saranno elaborabili grazie alle colossali capacità di calcolo che sappiamo ormai mettere in campo e consentiranno di ottimizzare quasi tutto, dal traffico nelle città (l’urbanizzazione procede velocemente, ormai oltre metà dell’umanità vive nelle città) alla logistica. Saremo interconnessi anche noi, non solo i telefonini che abbiamo in tasca e i tablet che portiamo nella borsa. Terminali connessi grandi come granelli di sabbia saranno non solo nei nostri abiti ma anche impiantati nei nostri corpi, aiutando molto la medicina ma consentendo anche di accumulare dati sui nostri comportamenti, le nostre scelte, le nostre emozioni. La privacy, quel poco che resta, dovremo dimenticarla, e multinazionali e governi che avranno a disposizione quella enorme quantità di dati avranno maggiori possibilità di condizionarci. Negli uomini sarà possibile impiantare, oltre a organi artificiali e terminali connessi, anche memorie artificiali, mentre la genetica, che ha già fatto molta strada nel mondo vegetale e parecchia in quello animale sta facendo passi da gigante anche nell’”editing genetico” degli embrioni. Anche noi, esseri umani, potremo essere geneticamente modificati, eliminando malattie neurodegenerative e di altra natura, ma con il rischio di ridurre o eliminare anche le diversità che fanno di ciascuno di noi un individuo. Sul fronte opposto l’intelligenza artificiale, che ha già fatto il salto concettuale dalla produzione di macchine che riproducono le capacità meccaniche dell’uomo a macchine che saranno capaci di apprendere con l’esperienza, fino, forse, un giorno che potrebbe essere non lontano, ad apprendere quella umanissima dote che è l’empatia. Già oggi interpretano voce e gesti, domani forse emozioni e sentimenti. I soldati robot sono alle viste, in pochi anni debutterà il robot farmacista e un sondaggio tra gli esperti realizzato dal World Economic Forum rivela che il 45% degli intervistati ritiene possibile che in dieci o quindici anni vedremo l’ingresso di una macchina intelligente entrare in un consiglio di amministrazione. Si vedono già i vincitori probabili di questa epocale trasformazione. La platform economy, i vari Facebook, AirBnB, Uber, Amazon, sono tutti americani, imprese giovani che stanno cambiando il modello di capitalismo: Amazon, il più grande mercante del pianeta, non possiede un solo negozio, Uber una sola autovettura, AirBnB neanche una stanza d’albergo. E sono i leader globali nel commercio, nel trasporto urbano degli individui e nell’ospitalità. L’intelligenza artificiale e la genetica è negli Usa che trovano le maggiori risorse per la ricerca, così come è negli Usa che la quota digitale dell’economia è la più elevata (33% del pil secondo Accenture, in Italia il 18%). Ci sono altre tecnologie, come quella denominata “BlockChain”, sulla quale si basano i Bitcoin, che grantisce le transazini attraverso una serie di controlli automatici incrociati e che cambierà il mondo della finanza e delle transazioni, e anch’essa è prevalentemente americana. L’Europa in tutto questo è indietro, per rigidità finanziaria e normativa e per un capitalismo più difensivo e conservatore. La sua forza è in alcune tecnologie e settori, dai sensori ai satelliti e relativi lanciatori, che avranno una richiesta eponenziale, alla logistica, ad alcuni settori della manifattura. La Cina dal canto suo sta facendo enormi sforzi per avvicinarsi alla frontiera tecnologica più avanzata, con molta attenzione per la genetica. Questa Quarta Rivoluzione Industriale che cambierà non solo le cose e il mondo intorno a noi ma anche noi, ha due caratteristiche che la distinguono dalle precedenti: l’interconnessione e la velocità. Si intrecceranno sempre di più negli anni a venire le tecnologie It, l’intelligenza artificiale, la genetica, la biologia, i nuovi materiali, i big data e tante altre cose ancora. La velocità dell’innovazione da lineare diventa esponenziale, generazioni tecnologiche si succederanno ad un ritmo mai conosciuto prima dagli uomini, con effetti su produzione e consumi, durata e qualità della vita, energia e ambiente, politica e tasse, occupazione, migrazioni, stabilità sociale, etica, diritto, filosofia. La capacità di aprirsi alle trasformazioni in atto sarà un fattore determinante: il mondo si dividerà tra i paesi che sapranno cavalcare la trasformazione e quelli che cercheranno di difendere il vecchio modello. Facile prevedere tra i due schieramenti chi vincerà.
Posti di lavoro cancellati, migrazioni regolare l’innovazione, le sfide per i governi
L’IMPATTO SOCIALE AVRÀ EFFETTI SUL FISCO E SUL WELFARE, MENTRE LA RIDUZIONE STRUTTURALE DEI PREZZI ACCENTUERÀ LE TENDENZE DEFLATTIVE GIÀ IN ATTO. LA DIFFICOLTÀ DI CREARE NORME UNIVERSALI PER L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA E I RISCHI CONNESSI
L e prime tre rivoluzioni industriali hanno delle date di nascita: la prima il 1784, con l’invenzione del motore a vapore, l’avvio dell’industrializzazione e dell’epopea delle ferrovie; la seconda il 1870, con l’arrivo dell’elettricità, della divisione del lavoro, delle produzioni di massa; la terza il 1969, con l’elettronica, l’It, l’automazione delle produzioni. E’ quella in cui ancora siamo immersi mentre entriamo a gran velocità nella quarta, che non ha ancora una data di nascita precisa. Siamo nella fase della gestazione, poi ci penseranno gli storici. Ciascuna delle rivoluzioni industriali precedenti ha cambiato la produzione ma anche stili e modelli di vita, dall’urbanizzazione all’energia elettrica e l’acqua corrente per tutti (non per tutti in realtà, c’è ancora una bel pezzo di mondo che l’acqua e la luce ancora non ce l’ha) alla connessione internet e mobile. Questa che sta nascendo le nostre vite le cambierà ancora di più e non per tutti e non necessariamente per il meglio. Il fondatore del World Economic Forum Klaus Schwab ci ha scritto un libro, mettendo in fila le prospettive e i rischi, che sono molti e in buona parte nuovi. Ci saranno, come sempre, vincitori e vinti in questa rivoluzione, tra paesi e tra gruppi sociali e le sfide che governi e classi dirigenti saranno chiamati ad affrontare saranno enormi, sul piano sociale, politico, economico e giuridico. La prima certezza riguarda il lavoro, e non è positiva. Solo di qui al 2020, secondo il “Future of Jobs Report” elaborato dal Wef, saranno cancellati oltre 5 milioni di posti di lavoro nelle principali economie. Cinque milioni è il netto tra i 7 milioni che scompariranno soprattutto nei lavori d’ufficio (4,7 milioni), nelle produzioni manifatturiere (1,6 milioni) e nell’edilizia (500 mila), e i due milioni di posti di lavoro che saranno creati nelle attività manageriali, finanziarie, informatiche e matematiche, commerciali ed educative. Poi, come è avvenuto nelle rivoluzioni industriali passate si creeranno nuovi posti, ma c’è un gap temporale tra la distruzione di lavoro obsoleto e la creazione di lavoro nuovo. In questo gap le tensioni sociali aumenteranno e cresceranno anche i costi dello stato sociale mentre diminuirà il prelievo fiscale sul lavoro e quindi la possibilità di sostenere il reddito di coloro che saranno espulsi e, indirettamente, i consumi. La polarizzazione dei redditi aumenterà e con essa le disuguaglianze, che aggiungeranno benzina al fuoco delle tensioni sociali. Mentre l’aumento della vita media che la genetica favorirà accentuerà lo stress dei conti pubblici. Poichè in questa partita ci saranno non solo classi vincenti e classi perdenti ma anche paesi vincenti e paesi perdenti, si accentueranno i flussi migratori, con le complessità che comportano. Un altro fenomeno, già in atto e che si accentuerà, è la deflazione, perchè i prezzi di beni e servizi strutturalmente tenderanno a scendere, e non basteranno più i vecchi strumenti di politica monetaria per invertire la tendenza. C’è poi un altro tema, nuovissimo e sofisticato che riguarda addirittura la natura stessa dell’uomo. Sta cominciando infatti un’altra storia, che farà di noi qualcosa di diverso. L’incrocio tra l’evoluzione della genetica e dell’intelligenza artificiale ci porta in una terra incognita, in cui i limiti biologici saranno superati mentre le macchine tenderanno sempre più ad avere caratteristiche che le avvicineranno alla natura umana. Avremo terminali connessi e memorie artificiali impiantati nel nostro corpo, sarà possibile intervenire sul dna per cancellare malattie, già ci sono esperimenti di manipolazione del dna sugli embrioni. A rischio ci sono le differenze che fanno di ciascuno un unicum, nella biologia e nei comportamenti. Dall’altro lato l’intelligenza artificiale che sta avvicinando sempre più le macchine alle capacità dell’uomo. Gli uomini saranno un po’ più macchine, con i loro pezzi di ricambio stampabili in 3D e le macchine saranno sempre più umane. Il World Economic Forum ha dedicato l’ultimo evento a come definire la natura umana, segno che cominciamo ad avere dubbi sulla sua essenza. Il primo problema che emerge è chi regola l’evoluzione tecnologica. Il livello nazionale sembra non bastare più, si può addirittura scatenare una concorrenza regolamentare al ribasso tra paesi per attrarre la ricerca sul proprio territorio. Il secondo problema è come regolare l’innovazione senza bloccarla e fare in modo che resti al servizio dell’uomo. Il terzo, che sta però in cima a tutti, è in base a quali principi. C’è poi un altro aspetto della regolazione, che riguarda la privacy, messa a rischio ogni giorno di più, e l’autonomia di giudizio, di valutazione, di scelta quando l’utilizzo avanzato dei big data, sarà a disposizione delle grandi compagnie e anche dei governi. Le inquietudini che il cambiamento porta con se sono molte, ma il cambiamento non si ferma, nè sarebbe bene che lo facesse per tutto quello che di positivo può portare, ed è molto, alle generazioni a venire.Chiudersi all’innovazione è la ricetta sicura per la marginalizzazione e l’impoverimento, l’unica strada è comprenderla e governarla. E qui è difficile essere ottimisti.

1 commento:

  1. Mi pare che le riflessioni presentate in questi due articoli possano essere riconducibili all’assunto che la “rivoluzione 4.0” non riguarda solo l’industria, ma l’intero sistema socio-economico globale. Mi sembra giusto sottolineare che circolano anche tante ipotesi di sviluppo sostenibile che affrontano tale problema in chiave positiva. Mi viene da pensare che assicurare un’equa distribuzione della ricchezza (cosa di cui abbiamo parlato l’altro pomeriggio in biblioteca) potrebbe produrre il mantenimento di quel ciclo lavoro-produzione-consumo (e profitto), capace di tenere alti, oltre che i valori morali e sociali che ci piace considerare primari, anche quei “benedetti” consumi, che un’eccessiva concentrazione di ricchezza sembrano per vari motivi non assicurare. Sia pure fra tante difficoltà e pagando il prezzo di non poche vittime, il progresso tecnologico passato ha anche portato, con le sue spinte spesso contradittorie, ad un miglioramento delle condizioni di vita di gran parte della popolazione e a modelli di società illuminati; mi piace pensare, e credo non per puro stupido ottimismo, che le capacità scientifiche e tecnologiche coniugate con una nuova sensibilità culturale ed etica – che già è avvertibile in tanti uomini e donne - possano modificare queste ‘funeste’ previsioni!

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