Le basi culturali della xenofobia europea
Riflessioni
a margine di un articolo di Micha
Brumlik dal titolo “Il pensiero
vecchio delle nuove destre”
Cresce la consapevolezza della centralità
che da tempo, e con crescente accentuazione, riveste la gestione “politica” dei
flussi migratori in Europa, Italia ovviamente compresa. Le politiche
sostenibili di accoglienza ed integrazione non solo si scontrano con le
oggettive difficoltà che derivano dal loro richiedere tempi lunghi ed una buona
disponibilità diffusa per dimostrarsi efficaci, non solo sono vieppiù
complicate dalla debolezza strutturale delle istituzioni Europee, ma a ciò si
aggiunge una incontestabile impotenza a fronteggiare le crescenti
indisponibilità che sempre più assumono il carattere di aperto rifiuto e
chiusura. I megafoni xenofobi stanno coprendo le voci troppo deboli e confuse
dell’accoglienza. Lo stesso successo mediatico di Papa Francesco non pare in
grado di spostane più di tanto umori e atteggiamenti concreti. La partita si
gioca, ovviamente, sul piano delle politiche concrete, sia quelle dedicate alla
gestione “a valle”, sia quelle mirate a risolvere il più possibile le cause
scatenanti “a monte”. Non meno centrale, però, proprio per meglio definire e
attuare tali politiche, deve essere la conoscenza di cosa si muove nel campo
avverso. Nel quale sono tre, in buona sintesi, i protagonisti; alla
condivisone, diffusa e trasversale nella pubblica opinione, di sentimenti di
rifiuto e chiusura, ed al collegato protagonismo, al tempo stesso fomentatore e
strumentale, di partiti e movimenti di destra, populisti e xenofobi, si
affiancano infatti i filoni di pensiero e le culture che, possono spiegare,
almeno in parte, tale condivisione e, al tempo stesso, paiono ispirare in modo
crescente quell’azione politica. Una loro maggiore conoscenza diventa quindi
utile per superare quella sorta di “impotenza” cha la sinistra, in genere,
prova nei confronti degli atteggiamenti di “chiusura”, e per smontare i
presupposti teorici di movimenti e partiti che la pilotano. Offre spunti
interessanti in questo senso l’articolo di Micha Brumlik, giornalista
svizzero/tedesco, pubblicato su MicroMega 3/2016, che evidenzia ed analizza
alcuni dei fondamenti della “nuova” destra europea: in primo luogo 1) - la celebrazione della “omogeneità
culturale” 2) - la politicizzazione della “spazio” (territoriale ed etnico) 3)
- la sacralizzazione delle funzioni sociali, il “dominio”. Cosa significano
questi fondamenti che hanno come collante condiviso la ripresa che la “nouvelle
droit” francese fa del concetto di “identità etnica”, ossia della convinzione
che ogni etnia ha diritto di esistere ma solo nello “spazio” che la storia le
ha consegnato? Attorno a queste idee di base si è coagulato, in particolare nel
corso dell’ultimo decennio, un ampio movimento intellettuale di destra (spesso estrema), ricco
di iniziative, di riviste, di momenti di incontro e di elaborazione collettiva.
Brumlik cita nomi di intellettuali e riviste alla maggior parte di noi del tutto sconosciuti, ma che trovano inaspettate attenzioni ad ampio
raggio. Sono ad esempio ben note le “relazioni” (come si vedrà tutt’altro che
casuali, e comprensive di generosi sostegni finanziari) tra la Russia di Putin,
l’FLN di Marine Lee Pen, il leader magiaro Viktor Orban. La comune matrice
intellettuale originaria si trova nelle opere di Martin Heidegger, filosofo
tedesco dello scorso secolo, filonazista, apertamente antisemita (personaggio
comunque di difficile interpretazione a cui ad esempio sono rimasti personalmente legati,
in quanto affascinati dalla sua cifra filosofica complessiva, pensatori, certo
non di destra, come Herbert Marcuse e Hanna Arendt) soprattutto per la sua
concezione dell’ “essere” (….essere un essere umano significa
innanzitutto essere un tedesco, un francese, un russo, un africano e così
via…..l’identità etnica è la realtà che più si avvicina all’essenza dell’uomo…..).
Ad Heidegger si richiama apertamente una figura centrale nella formazione più
recente del pensiero della nuova destra europea: il filosofo russo Alexander
Dugin che, da sempre legato a Vladimir Putin, seppure con un rapporto spesso
turbolento, ha definito nella sua opera, messa a punto a partire dagli anni
novanta, una teoria politica, sicuramente mirata alla realtà russa (e alla
strategia putiniana di rilancio dell’impero russo), ma che ha trovato
attenzioni e riprese in campo europeo. Dugin sostiene che l’innaturalità della
globalizzazione capitalistica sta riattivando sani anticorpi nazionalistici,
unica possibilità di reagire all’ingovernabilità del mondo da essa prodotto, e
la rinascita del sentimento di “popolo”. La particolarità del pensiero di
Dugin, strettamente legato a quello di Heidegger e alla sua idea di “essere” e
“popolo”, quella che di più ha avuto peso nello sviluppo del pensiero della
nuova destra europea, è la rivalutazione della dimensione dello “spazio” nella
connessione con il popolo, con l’essere. Ovviamente egli guarda alla
particolarità russa, euroasiatica (da sempre caratterizzata dalla convivenza di
più etnie strettamente legate ad una specifica “porzione” dello “spazio” russo)
ma la sua rivalutazione della dimensione “etnica”, il rifiuto delle moderne
regole democratiche (in nome di un ritorno a forme di governo gerarchico dal
basso), la ferma opposizione alla globalizzazione occidentale ed al suo
sovrapporsi alle etnie e comunità locali hanno trovato immediata attenzione in
molti intellettuali di destra europei. Esemplare è il caso della destra
francese che (ancora una volta ritorna questo “strano” legame con la cultura
nazionalistica russa), più ancora che in Germania (da sempre, Hedfegger
compreso; la destra tedesca è affascinata dallo spirito indipendente russo, la
guerra nazista ad Est si mosse contro l’Unione Sovietica, contro il comunismo,
non contro la Russia) apertamente rivaluta, nelle parole del FLN di Marine Le
Pen, la storia francese riappropriandosi dei suoi miti, a partire da quello
della Rivoluzione del 1789, ma spogliandoli del loro valore universalistico e
traducendoli in conquiste del “popolo” francese (in questo aiutato da quelle di
alcuni ex intellettuali di sinistra come Alain Finkelkraut).
Le idee di Dugin, quelle precedenti di
Heidegger (che sostenevano che ogni generazione sempre si definisce in spazi
già precedentemente organizzati dalle generazioni precedenti), assegnano un
ruolo centrale alla categoria dello “spazio”; una categoria trascurata nelle
elaborazioni della sinistra che da sempre lo concepisce unicamente nella sua
accezione di “ambiente”, vuoi nelle riflessioni ecologiche piuttosto che urbanistiche.
Ed è indubbiamente proprio la crisi epocale dei migranti, di milioni di
individui costretti a fuggire dal proprio spazio per migrare in quello di altri
che ha alimentato in modo diffuso timori, rifiuti, chiusure, che, a loro volta,
hanno riavvalorato la centralità che il vecchio pensiero della nuova destra ad
esso concede. Seppure del tutto slegato dalle odierne vicende suonano quanto
mai pertinenti le parole dedicate da Kant allo “spazio”……..la natura ha rinchiuso tutti i popoli entro limiti determinati e
siccome il possesso del suolo, sul quale può vivere un abitante della terra, è
pensabile sempre e soltanto come il possesso di una parte di un tutto
determinato (dalla forma stessa della Terra) su cui dunque ognuno ha un diritto originario, così tutti i popoli
stanno originariamente in una comunanza di suolo, non però in una comunanza
giuridica di possesso……
E’ difficile negare che le stesse strutture
politiche e le istituzioni sociali possono essere tali solo se hanno una
dimensione spaziale, che inevitabilmente coincide con la categoria della “sfera
pubblica”. Nella versione di sinistra la sfera pubblica viene sviluppata, più
in termini di idealità che di concreta realizzazione, come uno “spazio aperto”,
uno spazio in cui ogni individuo, ogni popolo, può liberamente manifestarsi ed
incontrarsi, in quella di destra, con una maggiore capacità e legame fra
idealità e ricadute concrete, lo spazio, e quindi la sfera pubblica, viene
restituito alla sua declinazione più antica di stretto collegamento con lo spirito
etnico che da più tempo lo occupa
La differenza, che nell’attuale fase sta
pesando in misura notevole, sta proprio nel ruolo centrale che il pensiero di
destra assegna alla categoria dello “spazio”, a fronte di una sua evidente
incompleta declinazione da parte della sinistra.
Che cosa possa significare l’attenzione
della nuova destra europea alle categorie della spazio (fondamento 2) e
dell’etnia, intesa nella sua “sacralizzazione della omogeneità culturale”
(fondamento 1), è facilmente riscontrabile nelle recenti evoluzioni avvenute
nella Ungheria di Viktor Urban e nella Polonia ed in particolare nei termini e
modi in cui sono definite nelle loro nuove (Ungheria) Carte Costituzionali.
Analogo riscontro è possibile stabilire fra queste Costituzioni e molti dei
punti centrali della teoria politica euro-asiatica di Dugin.
In esse sono poi rintracciabili collegamenti
con il pensiero di Julius Evola, da sempre pensatore principe per la destra
(estrema) europea, capace di criticare “da destra” il fascismo mussoliniano.
Evola ha elaborato un pensiero politico che, come concezione della composizione
sociale, si rifà apertamente al sistema induista delle caste e che, come
articolazione del potere, ne pone il fondamento nella sua valenza di “dominio
sacrale” (fondamento 3). Avrebbe certamente applaudito il passaggio del
preambolo della nuova Costituzione ungherese che la collega al mitico re-santo
Stefano!
Alexander Dugin, Julius Evola, Martin
Heidegger, sono i teorici a cui fanno riferimento gli “intellettuali” della nuova
destra europea nel definire strategie che mirano apertamente alla creazione di
una comune forza politica tesa alla chiusura etnica, al rifiuto non solo
dell’accoglienza ma di ogni altra cultura, alla lotta contro il
multiculturalismo, lo stile di vita consumistico dominante, la globalizzazione,
l’industria culturale.
Valgono per tutti le seguenti recentissime dichiarazioni di Martin Sellner,
intellettuale austriaco……il nostro
obiettivo è un arricchimento spirituale, intendiamo incendiare i cuori, mettere
qualcosa in movimento, porre domande decisive in maniera profonda e con
conseguenze politiche….il dormiente furore teutonico, l’eterna febbre tedesca
che si irradia dalle foreste vergini germaniche così come dalle cattedrali
gotiche, tutto questo si riunisce in noi…..io credo che viviamo nel tempo della
decisione…..
Certo sono parole che suonano così stonate
ed così fuori dal tempo, dai nostri tempi, da sembrare impossibili da collegare
ai “semplici” sentimenti di timore di perdita del proprio “particulare” che
sono alla base di buona parte delle manifestazioni di chiusura e rifiuto delle
nostre “liquide” società; certo sono frasi così esoteriche e visionarie da
sembrare impossibili da collegare ai calcoli meschini e strumentali degli
attuali partiti populisti e xenofobi.
Però la storia del XX secolo ci ha insegnato
che tragedie immani si sono innescate quando, con percorsi sottovalutati e
ignorati, si è realizzata una perversa unione fra una parte del popolo, partiti
di massa, seppure non di maggioranza, e filoni di pensiero del tutto simili a questi