In collegamento con il precedente post sul concetto di “comunità” Nives
Enrietti ha inviato questa segnalazione:
“La coscienza dei luoghi”
saggio di Alberto Magnaghi e Giacomo Becattini
Recensione apparsa su “Il Manifesto” del 09/03/2016 in
articolo con titolo “Le virtù del territorio dopo l’apocalisse finanziaria”
Giacomo Becattini è
uno dei più accreditati studiosi di sviluppo locale e in particolare di
distretti industriali. In questo La coscienza dei luoghi (Donzelli)
arricchito dalla presentazione dell’urbanista Alberto Magnaghi e dal dialogo
conclusivo tra i due compie il passaggio finale del suo «ritorno al territorio»
di un’economia che ultimamente, con la crescente finanziarizzazione, ha
ribaltato nel suo opposto il proprio profilo costitutivo di «strumento di
ricerca della felicità umana». Trasformandosi cioè in una macchina mostruosa
per «enormi arricchimenti di pochissimi» e disastri sociali, ambientali per il
resto dell’umanità. Lo stesso Magnaghi descrive le tappe del «ritorno al
territorio» di Becattini: «tre accentuazioni concettuali che si incrociano, in
modo non lineare, nel tempo: 1) la prima la riassumerei con la frase = dalla
aspazialità del fordismo all’humus
territoriale dei distretti industriali, come antidoto alla crisi da
gigantismo industriale; 2) la seconda la riassumerei nel recente concetto
avanzato da Becattini, superando criticamente il concetto di settore, di coralità produttiva dei luoghi, cui
si accompagna la visione utopica di un mondo di scambi produttivi solidali fra
molteplici comunità di luogo; un mondo di relazioni che porta a maturità il
pensiero distrettualista verso muove frontiere delle politiche di sviluppo
locale a livello globale; 3) la terza nella quale, a partire dal rovesciamento
di casualità fra i due concetti di ruolo e produzione a favore del primo,
Becattini compie l’ulteriore passo di riprendere il tema marxiano del rapporto
tra fini e mezzi della produzione, indicando la felicità delle persone come finalità ultima della produzione». La
dissoluzione del tessuto sociale che aveva caratterizzato l’assetto
socioeconomico della fase industriale fordista e i «tanti piccoli spargimenti»
delle soggettività nel territorio postfordista favoriscono la ripresa di
interesse dei luoghi; soprattutto da parte di quegli attori che muovono dalla
difesa dei beni comuni o che si ritrovano «individualmente insieme» nella
valorizzazione di beni culturali e paesaggio. Costituendo alternative alla
«società liquida» descritta da Zygmunt Bauman. Becattini ci offre
interpretazioni dense e allo stesso tempo semplicissime dell’ineluttabilità
dell’odierna deriva finanziaria dell’economia: se l’unica merce che ha davvero
valore è oggi il denaro e l’economia è determinata da una parossistica ricerca
del profitto che «si avvita sempre più su se stessa», l’impresa scopre i
vantaggi della liberazione dai vincoli di qualsiasi territorializzazione del
capitale. Questo è evidente per le grandi aziende multinazionali, i cui odierni
dirigenti intermedi sono lontanissimi dalle strategie definite da consigli di
amministrazione a tempo il cui massimo obiettivo è ovviamente l’ottimizzazione
dei profitti a breve. È «la disfatta dell’economia». Becattini propone in alternativa
di riaffermare il locale tramite la «coscienza dei luoghi»; cui giunge con una
traiettoria disegnata nell’interpretare gli scivolamenti del concetto di
«valore condiviso del contesto», che contrassegna «il capitale sociale» in
alternativa a quello «umano». Esso è costituito dagli elementi relazione tra
produzioni locali e territorio, prodotti e patrimonio ambientale, abitanti e
produttori. L’autore giunge così a prospettare una possibile rigenerazione
locale della società, caratterizzata da economie attente tanto alle merci
prodotte che alla riproducibilità dei caratteri paesistici dei territori.
Protagonisti di questa «ripresa dell’azione» sono soprattutto le soggettività
già attive sui beni comuni, gli abitanti consapevoli. Dalla coscienza di classe
a quella di luogo dunque; che ancora Magnaghi definisce come «la
consapevolezza, acquisita attraverso il percorso di trasformazione culturale
degli abitanti/produttori del valore patrimoniale dei beni comuni territoriali
(…) in quanto elementi essenziali per la riproduzione della vita individuale e
collettiva, biologica e culturale». È interessante cogliere come l’economista e
l’urbanista giungano al comune declinare – ciascuno dalla propria prospettiva –
del concetto di «sviluppo locale autosostenibile» come affermazione del
territorio come soggetto corale.
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