lunedì 4 aprile 2016

Commenti a margine del seminario tenuto dal Dott. Roberto Gagnor su  "L'arte del fumetto fra creatività e scienza" - Sintesi di Enrica Gallo

Un seminario davvero speciale, quello che ha dato non solo al pubblico di CircolarMente ma anche ad un nutrito gruppo di allievi del corso di Operatore grafico multimedia presso la Casa di Carità Arti e Mestieri di Avigliana l’occasione di confrontarsi con Roberto Gagnor: un “fabbricante di storie” – come lui stesso si definisce – ancora molto giovane ma già maturo di esperienze  e competenze, che si è rivelato un interlocutore appassionato e di grande capacità comunicativa in un incontro dedicato ad esplorare le linee di confine fra arte e artigianato, creatività e scienza,  libertà inventiva e struttura.
Con la sua abile guida abbiamo potuto letteralmente entrare in quella che può essere definita “la macchina narrativa”, partendo naturalmente dall’angolo di visuale dello sceneggiatore che deve mettere la sua scrittura al servizio di ciò che verrà dopo, renderla dunque traducibile in immagine e movimento; capire, intanto, di cosa sono fatte quelle storie che nutrono il nostro immaginario, raccontano il mondo, dischiudono porte verso realtà altre, fanno insomma, a livelli diversi, “cultura”. Le storie sono in effetti il risultato di un processo di costruzione in cui l’idea iniziale - il momento aurorale, grezzo, non facilmente definibile - deve strutturarsi attraverso un vero e proprio lavoro scientifico le cui fasi non sono casuali e la cui codificazione molto deve, oltre che alla poetica aristotelica, agli strutturalisti del primo novecento come Vladimir Propp, che analizzando l’immenso patrimonio fiabesco ha potuto identificare ciò che resta costante sotto l’apparente infinita varietà delle forme. Perché non c’è storia – come ci ha mostrato Roberto Gagnor illustrando in modo assai avvincente il paradigma elaborato da Syd Field -  senza un evento che alteri una precedente situazione di equilibrio, senza un conflitto che dia vita al movimento e in cui il coinvolgimento emotivo non sia da ricercare attraverso una progressione in cui a provvisori “momenti di grazia” non succedano nuove alterazioni, fino allo scioglimento finale della tensione e al raggiungimento di un più maturo equilibrio.
Ma ancora, non c’è storia senza una coerenza interna che può prescindere dalla verità, ma non dalla verosimiglianza, e in cui l’autore non debba misurarsi con delle regole interne che sono anzitutto regole logiche. Perché la creatività non è legata alla spontaneità primitiva e incolta, come un certo romanticismo di seconda mano ci ha fatto credere: è piuttosto un’illuminazione che si accende su di un terreno di conoscenza robusta, articolata, precisa e che deve avvalersi di un pensiero certo flessibile e innovativo ma capace di confrontarsi con quei limiti, quei confini che di fatto rendono la creatività possibile, attivandola. Poi, naturalmente, l’autore con le regole può anche giocare, sovvertendole, ma deve anzitutto conoscerle profondamente, perché non c’è originalità autentica che nasca dal nulla e dall’improvvisazione, e parimenti non c’è creatività senza lavoro artigianale, senza tecnica, senza la capacità di selezionare, di tenere conto, di sottrarre…
Se questo è vero per ogni ambito in cui entra la sceneggiatura, ogni campo ha le sue specifiche regole di gioco, come Gagnor ci ha mostrato passando da quello della cinematografia al fumetto e aprendo scenari davvero sorprendenti per molti di noi, che pur sapendo come da tempo questa non sia più considerata un’arte minore, avevano un’idea assai vaga della raffinatezza formale e dell’originalità dei contenuti di molte graphic novel in cui le scansioni della tavola rimandano in qualche modo a partiture musicali e il disegno sa fare tesoro delle lezioni della pittura contemporanea. In particolare è stato molto interessante vedere come alcuni autori abbiano saputo intrecciare i sistemi di pensiero della cultura d’origine con altri di provenienza diversa, raggiungendo una nuova e più ampia ricchezza espressiva, come sempre succede quando non ci si rinserra all’interno di un troppo limitato “confine”.

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