Un seminario davvero speciale, quello che ha dato
non solo al pubblico di CircolarMente ma anche ad un nutrito gruppo di allievi
del corso di Operatore grafico multimedia presso la Casa di Carità Arti e
Mestieri di Avigliana l’occasione di confrontarsi con Roberto Gagnor: un
“fabbricante di storie” – come lui stesso si definisce – ancora molto giovane
ma già maturo di esperienze e
competenze, che si è rivelato un interlocutore appassionato e di grande
capacità comunicativa in un incontro dedicato ad esplorare le linee di confine
fra arte e artigianato, creatività e scienza,
libertà inventiva e struttura.
Con la sua abile guida abbiamo potuto letteralmente
entrare in quella che può essere definita “la macchina narrativa”, partendo
naturalmente dall’angolo di visuale dello sceneggiatore che deve mettere la sua
scrittura al servizio di ciò che verrà dopo, renderla dunque traducibile in
immagine e movimento; capire, intanto, di cosa sono fatte quelle storie che
nutrono il nostro immaginario, raccontano il mondo, dischiudono porte verso
realtà altre, fanno insomma, a livelli diversi, “cultura”. Le storie sono in
effetti il risultato di un processo di costruzione in cui l’idea iniziale - il
momento aurorale, grezzo, non facilmente definibile - deve strutturarsi
attraverso un vero e proprio lavoro scientifico le cui fasi non sono casuali e
la cui codificazione molto deve, oltre che alla poetica aristotelica, agli
strutturalisti del primo novecento come Vladimir Propp, che analizzando l’immenso
patrimonio fiabesco ha potuto identificare ciò che resta costante sotto
l’apparente infinita varietà delle forme. Perché non c’è storia – come ci ha
mostrato Roberto Gagnor illustrando in modo assai avvincente il paradigma
elaborato da Syd Field - senza un evento
che alteri una precedente situazione di equilibrio, senza un conflitto che dia
vita al movimento e in cui il coinvolgimento emotivo non sia da ricercare
attraverso una progressione in cui a provvisori “momenti di grazia” non
succedano nuove alterazioni, fino allo scioglimento finale della tensione e al
raggiungimento di un più maturo equilibrio.
Ma ancora, non c’è storia senza una coerenza interna
che può prescindere dalla verità, ma non dalla verosimiglianza, e in cui
l’autore non debba misurarsi con delle regole interne che sono anzitutto regole
logiche. Perché la creatività non è legata alla spontaneità primitiva e
incolta, come un certo romanticismo di seconda mano ci ha fatto credere: è
piuttosto un’illuminazione che si accende su di un terreno di conoscenza
robusta, articolata, precisa e che deve avvalersi di un pensiero certo
flessibile e innovativo ma capace di confrontarsi con quei limiti, quei confini
che di fatto rendono la creatività possibile, attivandola. Poi, naturalmente,
l’autore con le regole può anche giocare, sovvertendole, ma deve anzitutto
conoscerle profondamente, perché non c’è originalità autentica che nasca dal
nulla e dall’improvvisazione, e parimenti non c’è creatività senza lavoro
artigianale, senza tecnica, senza la capacità di selezionare, di tenere conto,
di sottrarre…
Se questo è vero per ogni ambito in cui entra la
sceneggiatura, ogni campo ha le sue specifiche regole di gioco, come Gagnor ci
ha mostrato passando da quello della cinematografia al fumetto e aprendo
scenari davvero sorprendenti per molti di noi, che pur sapendo come da tempo
questa non sia più considerata un’arte minore, avevano un’idea assai vaga della
raffinatezza formale e dell’originalità dei contenuti di molte graphic novel in
cui le scansioni della tavola rimandano in qualche modo a partiture musicali e
il disegno sa fare tesoro delle lezioni della pittura contemporanea. In
particolare è stato molto interessante vedere come alcuni autori abbiano saputo
intrecciare i sistemi di pensiero della cultura d’origine con altri di
provenienza diversa, raggiungendo una nuova e più ampia ricchezza espressiva,
come sempre succede quando non ci si rinserra all’interno di un troppo limitato
“confine”.
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