Note sul concetto di comunità
(a cura di Enrica Gallo)
Aggiungo queste brevi note, tratte da “Bios” di
Roberto Esposito, al materiale utilmente orientativo che Giancarlo ha messo a
disposizione su di un tema tanto interessante quanto sfuggente per le
molteplici implicazioni del termine e per l’ampiezza della riflessione
filosofica e politica che su di esso si è misurata.
In questo testo Esposito analizza il rapporto fra
biopolitica e modernità interpretando l’intero percorso della cultura
filosofica e politica occidentale alla luce di un principio che definisce
“principio di immunizzazione”, intendendo con esso la costante tendenza ad
assumere il negativo, incorporandolo, come mezzo necessario per raggiungere uno
scopo che si intende apprezzabile (come avviene nella vaccinazione, attraverso
la quale si introduce nell’organismo una parte dell’agente patogeno da cui ci
si vuole difendere). L’esempio più significativo di questa tendenza è
sicuramente il Leviatano di Hobbes, in cui la violenza è assunta dallo Stato
per far cessare la violenza che si svilupperebbe altrimenti in modo distruttivo
dal conflitto “naturale” degli uomini: la centralità del negativo peraltro non
si esaurisce, secondo Esposito, nella linea che segna il pensiero politico
moderno ma tocca molti altri ambiti (pensiamo al Freud del “Disagio della
civiltà”, che sottolinea come il contenimento degli impulsi vitali sia
necessario al processo di civilizzazione…).
Certo l’esigenza difensiva è ben comprensibile e non
esistono società che non l’abbiano posta al centro della loro elaborazione
culturale e politica: e però, aggiunge Esposito, nella civiltà occidentale il
bisogno immunitario è diventato un vero e proprio feticcio dando vita, nella
sua formulazione estrema, all’aberrazione nazista in cui l’ossessione per la
conservazione del bios del popolo tedesco ha prodotto una spaventosa cultura
della morte, un intreccio perverso fra biopolitica e tanatopolitica, che se
pure in forme meno eclatanti può instaurarsi anche nelle nostre democrazie ogni
qualvolta l’ambito politico si sovrappone senza mediazioni a quello della vita
cercando di normarla.
Ma veniamo al tema che in questo momento ci
interessa mettere a fuoco. Nell’esplorare più sottilmente il concetto di
“immunitas”, Esposito fa alcune osservazioni che mi sembrano significative ponendolo in contrapposizione dialettica con
quello contrastivo di “communitas”, che pur rappresentando il suo antonimo
condivide con esso l’etimo “ munus” che significa “dono” (e che rimanda a sua
volta all’etimo “onus” che significa onere, obbligazione). Un dono che in un
caso segnala il vicendevole scambio di sé che deve attivarsi nella relazione
comunitaria – cosa che può essere peraltro percepita come vincolo e ancora come
pericolo per l’individuo, perché ne
mette a repentaglio la singolarità -, nell’altro la dispensa dal dono:
in questo senso il termine/concetto di immunitas rappresenterebbe la forma
privativa di communitas, la difesa nei confronti dei suoi effetti espropriativi
con il ripristino del “proprio” sull’ ”altrui”.
Nondimeno, osserva Esposito, fra questi due concetti
c’è una stretta reciprocità: benché appaiano ed effettivamente siano in
reciproca e insanabile contraddizione, essi hanno una connessione strutturale.
Il concetto di immunitas infatti presuppone ciò che pure nega, perché la
comunità non scompare dal suo ambito di
pertinenza, ne rappresenta anzi una sorta di ingranaggio interno che la mette
al riparo da un eccesso non sempre sostenibile, perché per sopravvivere ogni
comunità deve fare i conti con il fatto che il dono potenzia la vita, ma può
anche devastarla spingendola al di là di se stessa, mentre allo stesso tempo il
blocco del dono impedisce l’espansione biologica dell’essere. Conservazione e
sviluppo sono implicati l’uno nell’altro, come libertà e sicurezza, come individuo
e comunità, in una tensione che non può essere risolta a favore di uno dei due
termini senza impedire di fatto la vita, perché a noi umani, dice Esposito, è
dato solo il formarsi nella relazione
per diventare davvero “singolari”.
………………………….
Sul tema
specifico della comunità Esposito ha scritto un testo (“Communitas. Origine e
destino della comunità” - edito da Einaudi nel 98) in cui cerca di ridefinire
concettualmente l’idea di comunità attraverso quegli autori – da Rousseau a
Kant a Heidegger- in cui prevale una concezione della comunità in quanto legge
comune dell’essere insieme, ma in cui è anche presente la coscienza tragica di
ciò che contiene dal punto di vista politico. Di recente, in alcune interviste,
ha sottolineato ulteriormente la necessità di riaffermare l’originarietà della
relazione, scardinando l’immagine di noi stessi come individui che si
costruiscono prima e indipendentemente da essa.
Nessun commento:
Posta un commento