domenica 10 aprile 2016

Note sul concetto di comunità
(a cura di Enrica Gallo)


Aggiungo queste brevi note, tratte da “Bios” di Roberto Esposito, al materiale utilmente orientativo che Giancarlo ha messo a disposizione su di un tema tanto interessante quanto sfuggente per le molteplici implicazioni del termine e per l’ampiezza della riflessione filosofica e politica che su di esso si è misurata.
In questo testo Esposito analizza il rapporto fra biopolitica e modernità interpretando l’intero percorso della cultura filosofica e politica occidentale alla luce di un principio che definisce “principio di immunizzazione”, intendendo con esso la costante tendenza ad assumere il negativo, incorporandolo, come mezzo necessario per raggiungere uno scopo che si intende apprezzabile (come avviene nella vaccinazione, attraverso la quale si introduce nell’organismo una parte dell’agente patogeno da cui ci si vuole difendere). L’esempio più significativo di questa tendenza è sicuramente il Leviatano di Hobbes, in cui la violenza è assunta dallo Stato per far cessare la violenza che si svilupperebbe altrimenti in modo distruttivo dal conflitto “naturale” degli uomini: la centralità del negativo peraltro non si esaurisce, secondo Esposito, nella linea che segna il pensiero politico moderno ma tocca molti altri ambiti (pensiamo al Freud del “Disagio della civiltà”, che sottolinea come il contenimento degli impulsi vitali sia necessario al processo di civilizzazione…).
Certo l’esigenza difensiva è ben comprensibile e non esistono società che non l’abbiano posta al centro della loro elaborazione culturale e politica: e però, aggiunge Esposito, nella civiltà occidentale il bisogno immunitario è diventato un vero e proprio feticcio dando vita, nella sua formulazione estrema, all’aberrazione nazista in cui l’ossessione per la conservazione del bios del popolo tedesco ha prodotto una spaventosa cultura della morte, un intreccio perverso fra biopolitica e tanatopolitica, che se pure in forme meno eclatanti può instaurarsi anche nelle nostre democrazie ogni qualvolta l’ambito politico si sovrappone senza mediazioni a quello della vita cercando di normarla.
Ma veniamo al tema che in questo momento ci interessa mettere a fuoco. Nell’esplorare più sottilmente il concetto di “immunitas”, Esposito fa alcune osservazioni che mi sembrano significative  ponendolo in contrapposizione dialettica con quello contrastivo di “communitas”, che pur rappresentando il suo antonimo condivide con esso l’etimo “ munus” che significa “dono” (e che rimanda a sua volta all’etimo “onus” che significa onere, obbligazione). Un dono che in un caso segnala il vicendevole scambio di sé che deve attivarsi nella relazione comunitaria – cosa che può essere peraltro percepita come vincolo e ancora come pericolo per l’individuo, perché ne  mette a repentaglio la singolarità -, nell’altro la dispensa dal dono: in questo senso il termine/concetto di immunitas rappresenterebbe la forma privativa di communitas, la difesa nei confronti dei suoi effetti espropriativi con il ripristino del “proprio” sull’ ”altrui”.
Nondimeno, osserva Esposito, fra questi due concetti c’è una stretta reciprocità: benché appaiano ed effettivamente siano in reciproca e insanabile contraddizione, essi hanno una connessione strutturale. Il concetto di immunitas infatti presuppone ciò che pure nega, perché la comunità  non scompare dal suo ambito di pertinenza, ne rappresenta anzi una sorta di ingranaggio interno che la mette al riparo da un eccesso non sempre sostenibile, perché per sopravvivere ogni comunità deve fare i conti con il fatto che il dono potenzia la vita, ma può anche devastarla spingendola al di là di se stessa, mentre allo stesso tempo il blocco del dono impedisce l’espansione biologica dell’essere. Conservazione e sviluppo sono implicati l’uno nell’altro, come libertà e sicurezza, come individuo e comunità, in una tensione che non può essere risolta a favore di uno dei due termini senza impedire di fatto la vita, perché a noi umani, dice Esposito, è dato  solo il formarsi nella relazione per diventare davvero “singolari”.
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Sul tema specifico della comunità Esposito ha scritto un testo (“Communitas. Origine e destino della comunità” - edito da Einaudi nel 98) in cui cerca di ridefinire concettualmente l’idea di comunità attraverso quegli autori – da Rousseau a Kant a Heidegger- in cui prevale una concezione della comunità in quanto legge comune dell’essere insieme, ma in cui è anche presente la coscienza tragica di ciò che contiene dal punto di vista politico. Di recente, in alcune interviste, ha sottolineato ulteriormente la necessità di riaffermare l’originarietà della relazione, scardinando l’immagine di noi stessi come individui che si costruiscono prima e indipendentemente da essa.   

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