venerdì 22 aprile 2016

Commenti a margine della conferenza del 

dott. Claudio Vercelli 

"Resistere all'imbarbarimento ed essere 

donna ai tempi del terrorismo in M.O."


Per celebrare degnamente sia l’anniversario della Liberazione che l’altrettanto importante 70° anniversario dell’accesso delle donne italiane al voto, l’associazione CircolarMente  ha affidato al prof. Claudio Vercelli, in collaborazione con l’ANPI di Avigliana e raccogliendo una gradita sollecitazione del sindaco Angelo Patrizio, il compito non facile di tenere insieme la memoria della Resistenza come nucleo fondante dei valori repubblicani e democratici - una stagione di lotta in cui le donne hanno fatto la loro parte - e la riflessione su di una difficile attualità, in cui l’imbarbarimento non appare solo come un rischio potenziale ma come tragedia in atto in molte zone del mondo, segnando un regresso culturale e umano in cui la libertà delle donne diventa davvero uno spartiacque fondamentale. 
Un compito che il relatore ha accolto mirando anzitutto a contestualizzare il problema dei diritti negati alle donne in un disegno comprensivo di molti elementi intrecciati, per evitare una lettura che riposi sull’idea superficiale e pericolosa di uno scontro in atto fra civiltà evolute e civiltà antropologicamente segnate dalla staticità, fra modernità e tradizione. Quello che sta avvenendo è invece tutto da inserire, a suo giudizio, all’interno di una difficile e travagliata modernità, i cui elementi caratterizzanti sono stati resi plasticamente attraverso alcune carte tematiche da cui ben si è evidenziata la presenza di differenziali assai marcati fra le varie aree del pianeta.  Risulta dirimente, in particolare, non tanto la diversa matrice religiosa, quanto piuttosto il fattore demografico che variamente combinandosi con il differente accesso alle risorse vede accentuarsi la sproporzione fra paesi ad alta fecondità, con popolazione giovane e mobile, e paesi più vecchi, a bassa fecondità, che diventano terre ambite di emigrazione. 
Differenziali che la globalizzazione ha intrecciato creando un cortocircuito esplosivo rispetto al quale peraltro il discrimine forte sta fra quei paesi in cui la tenuta dell’entità statale, se pure soggetta un po’ ovunque a spinte disgregatrici, ha rappresentato almeno un elemento di stabilità, quando non di garanzia di diritti di cittadinanza e di protezione giuridica delle minoranze, e quei paesi in cui la statualità si è disgregata. E’ proprio questo, a giudizio del relatore, l’elemento cardine che ha favorito da un lato l’instaurarsi del radicalismo islamista di matrice jihadista, e dall’altro – vedi il caso esemplare della Libia – l’emersione di micro comunità che hanno assunto un peso sempre più marcato come soggetti collettivi di appartenenza e di gestione delle risorse, ma che in generale obbediscono a logiche conservatrici e al cui interno la condizione delle donne è spesso di pesante subalternità, determinando un  forte arretramento culturale evidente soprattutto nell’accesso negato allo studio e alla partecipazione alla vita pubblica.
Da qui si accende il dibattito, con domande che sollecitano il relatore ad approfondire il possibile effetto della migrazione nel modificare posizioni culturalmente regressive, a ragionare sul ruolo passato e presente delle potenze occidentali nel difficile scacchiere medioorientale, a partire dai lasciti oscuri della colonizzazione fino alle guerre di supposta “esportazione” della democrazia, ma soprattutto ad interrogarsi sulle  sfide interne alla nostra democrazia sociale che sono sottoposte oggi a grandi difficoltà legate a trasformazioni non ben governate: per tornare poi, attraverso alcuni interventi mirati a riportare la riflessione al tema iniziale, a ragionare sulla condizione delle donne nei nostri paesi occidentali che si ritengono su questo piano alquanto evoluti, ricordando come questa evoluzione non rappresenti un’acquisizione stabile e soprattutto come essa sia stata il risultato di un processo difficile in cui alle donne davvero non è stato regalato niente…

3 commenti:

  1. Tema davvero molto ampio, forse troppo, non stupisce quindi che alcuni aspetti siano stati affrontati marginalmente. Ero personalmente interessato, in modo particolare, a capire e sviluppare i collegamenti fra la cesura storica rappresentata dalla Seconda Guerra Mondiale, dalla lotta partigiana per la Liberazione e dal ruolo in essa svolto dalle donne, con l’attuale quadro di “imbarbarimento”. Sono stato quindi coinvolto dai passaggi che collegavano le ragioni di fondo che spiegano il quadro complessivo del terrorismo fondamentalista al pesante riaffermarsi di concezioni che sempre relegano la donna in posizioni di grave subalternità. Come giustamente ha sottolineato Claudio Vercelli la “democrazia esportata”, anche per i modi erratissimi con i quali si è proceduto, è stata una sorta di “forzatura” che non ha tenuto conto del peso ingombrante di fattori storici di lunga, lunghissima, durata. La “modernità” che in Europa si è messa in moto sull’onda delle durissime lotte di Liberazione da fascismo e nazismo ha, con tutte le contraddizioni ed i limiti che ben conosciamo, aperto spazi anche per un diverso ruolo della donna. Nulla di regalato, come è stato evidenziato, tutto conquistato, anche grazie al ruolo femminile, attivo e decisivo anche se non sempre riconosciuto a dovere, in quella decisiva lotta. Che questi spazi fossero automaticamente traducibili universalmente si è però poi dimostrata una errata illusione. Non solo: la prepotenza, strettamente legata a ragioni di controllo del mercato mondiale, con la quale i “modelli” occidentali sono stati calati, se non imposti, non solo non ha tenuto nella giusta considerazione i vari specifici contesti, ma, coniugata con il dissolvimento di fragili, perché fittizie, strutture statali ha creato il terreno, specie nell’area medio-orientale, per fondamentalismi e fanatismi. Ho avuto modo di riprendere queste riflessioni. La lettura di un interessante articolo di Umberto Galimberti (qui recuperato in un post in cui si sono evidenziati i passaggi collegati) ha poi fornito ulteriori spunti di riflessione. IL percorso di emancipazione femminile è difficile e tormentato perché deve fare i conti con la concezione del potere maschile consolidata durante secoli e secoli. La fragilità dei percorsi di cambiamento è drammaticamente inevitabile, lo è qui da noi, e a maggior ragione lo è là dove la storia non ha offerto analoghe occasioni di “cesura”. Quello che chiamiamo “imbarbarimento”, che in quel contesto geo-politico sta significando forme spaventose di schiavitù femminile e di “educazione” di bambini e ragazzini al ruolo di maschio combattente, non è altro allora che il ripresentarsi in forme accentuate, dovute ai gravi errori di cui si è detto, di concezioni millenarie della subalternità della donna. La storia esemplare delle donne curde, combattenti accanto ai loro uomini in condizioni di pari dignità, è forse un esempio di come si possa sperare in un cambiamento quando la “modernità”, così come è stato per le partigiane, non è “esportata”, ma conquistata in difficili momenti storici.

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  2. Dopo la lettura dell'articolo di Galimberti e le riflessioni di Giancarlo sempre di più sono convinta del ruolo che le donne possono avere nel cambiamento della nostra società. Già nel secolo passato il movimento femminista ha portato alla luce le disparità dei trattamenti tra uomo e donna e con le conquiste sofferte e mai definitive ha avviato un movimento che ultimamente si è un po' arrestato, ma è comunque cresciuta la consapevolezza nelle stesse donne che ora osano di più, anche solo nel denunciare i soprusi. Il riferimento alle donne curde che combattono lo si può equiparare alle nostre partigiane, per molto tempo dimenticate che quest'anno finalmente sono ricordate e viene dato a loro il giusto riconoscimento. Proprio durante l'ultimo conflitto oltre alle partigiane, esse hanno preso il posto degli uomini nelle fabbriche e nelle campagne e questo le ha aiutate a svincolarsi da un ruolo esclusivamente femminile legato alla maternità. Cammino iniziato e non ancora completamente portato a termine. In un momento di crisi i passi avanti sono più difficili e soprattutto nei paesi nei quali religione e governo sono in simbiosi il ruolo della donna è subalterno, è successo anche a noi in Italia negli anni, che ricordo dopo la guerra, quando il Vaticano con Pio XII aveva grande potere sulle decisioni anche politiche, ma soprattutto sulla vita delle persone verso le quali le parrocchie avevano grande influenza. Nonostante questo negli anni '70 abbiamo ottenuto conquiste importanti sul divorzio e sull'aborto. Mi viene da sperare che anche nella realtà islamica , col tempo inizi un cammino simile a quello che è avvenuto in occidente. Lasciatemi sperare!!!

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  3. Anch’io, come Carla, voglio sperare, nella consapevolezza che la speranza è un’apertura di credito verso il futuro, che molto ha a che fare con la storia della nostra cultura occidentale con l’idea, di origine cristiana di un tempo lineare, che si è progressivamente secolarizzato, di contro all’andamento circolare precedente. Anch’io voglio sperare e agire di conseguenza, per quel poco che mi è dato. Il senso della domanda, che avevo rivolto a Claudio, andava in quella direzione. Se è vero che non ci è stato regalato niente e tutto si colloca in un lungo percorso di emancipazione che inizia nella famiglia borghese, nel razionalismo che ispira i processi di secolarizzazione della società, nelle fabbriche da cui nascono nuove esperienze della relazioni tra i generi, nella maturazione politica accelerata dalla partecipazione ai conflitti, non potendo pensare di colonizzare altre culture, ma solo renderle più porose là dove già ci sono i semi e le esperienze, magari espresse attraverso formule che ci sono ignote, si tratta di conoscere meglio la realtà degli altri, sicuramente variegata, che ci sta di fronte, evitando di costruire schemi oppositivi nei quali rischiamo noi e gli altri di rimanere intrappolati.
    Mi spiego meglio, anche gli schemi possono servire come elementi atti a orientare l’attenzione, a scuotere, a provocare il dibattito, nella consapevolezza che sono tali e devono essere integrati con i dati compositi e talvolta contradditori della realtà..

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