Quanto pesano i
secoli bui sulla emancipazione
Articolo di Umberto
Galimberti – inserto “Donna” La Repubblica 23/04/2016
“La natura ama nascondersi” diceva Eraclito
e la donna, in quanto depositaria della specie, dall’origine dei tempi ha
condotto una vita segreta quando non segregata. Gli uomini, liberi dalla
procreazione e dalla cura dei figli, non hanno mai avuto una vera comprensione
e un vero rapporto con la “natura” e perciò hanno inventato quel “teatro” che
si chiama “storia”, dove hanno messo in scena le loro gesta e con le gesta la
loro celebrazione. Relegata nella natura la donna ha occupato il posto che la
cultura le ha assegnato, una cultura che, prodotta dell’uomo, è perciò stesso
il territorio del suo incontrastato dominio. Anche la donna dispone di un
potere assoluto: il potere di vita e di
morte, simile al potere del Re, simbolo dell’ordine sociale prodotto dall’uomo.
I due potere confliggono e nella pratica medioevale dello jus primae noctis,
dove la donna in procinto di sposarsi doveva passare la prima notte col Re, i
due potere si confrontano: ciò che accade non è tanto un evento sessuale quanto
la subordinazione del potere della donna, depositaria della “riproduzione
naturale”, al potere del Re, depositario della “produzione sociale”, il cui
ordine si fonda proprio sul divieto alle donne di accedervi. E questo fin dai
tempi in cui la donna, come riferisce Levi Strauss, era considerata
“corpo=merce di scambio”, senza possibilità di emanciparsi, perché se si fosse
sottratta allaa condizione di merce avrebbe interrotto la circolazione dei beni
e quindi l’ordine di produzione su cui la società si fondava. Vivere nella società come esclusa,
anzi come necessariamente esclusa onde consentire il mantenimento di un certo
ordine sociale, espone inesorabilmente la donna alla violenza del maschio che,
prima di essere politica, economica, sociale, sessuale, è “strutturale”. La struttura dell’esclusione come
fondamento dell’ordine. Questo,
come ci riferisce l’economista Muhammad Yunus, si vede ancora oggi nelle culture in cui vige un’economia di
sussistenza, lo si vede nell’ordine sociale dei paesi mussulmani, e persino nei
nostri paesi dove il patriarcato ha eretto, con qualche eccezione, la società
fino alla Seconda Guerra Mondiale. Va da sé, a questo punto, che l’emancipazione
della donna, il suo ingresso nell’ordine sociale non potrà avvenire ad opera
del maschio, perché nessuno si fa sottrarre il potere che possiede e che,
misurato sui secoli in cui è stato in vigore, finisce per apparire naturale, tanto agli occhi degli
uomini che a quello delle donne (perché, come è noto e la storia ha sempre
dimostrato, il potere non si basa tanto sull’esercizio della forza quanto sul
consenso dei dominati alla subordinazione). Per convincerci basta pensare a
quanta disapprovazione, non si sa se per invidia o per intima convinzione,
suscitava l’odierna emancipazione femminile suscitava nei discorsi delle nostre
nonne. O a quanto l’emancipazione disturbi l’atavica concezione che gli uomini
hanno delle donne, racchiusa nell’aggettivo possessivo che fa dire: la mia
ragazza, la mia fidanzata, mia moglie. Ovviamente vale anche il reciproco ma
per la donna quell’aggettivo non risponde ad un bisogno di possesso, ma di
protezione e di riconoscimento sociale che, per come è ancora strutturata la
società, passa attraverso l’uomo. L’emancipazione femminile, cambierà la storia
per come l’abbiamo fino ad oggi conosciuta. Ma nel frattempo, come in ogni
cambiamento radicale, ci saranno vittime che temono le possibili ritorsioni se
denunciano, e donne che, per una sorta di delirio di onnipotenza, pensano di
poter cambiare il loro uomo sottoponendosi, in ciò alleate con il loro
masochismo, a umiliazioni verbali, psicologiche, e fisiche che non distruggono
solo la loro dignità, ma mettono in serio pericolo anche la loro vita.
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