mercoledì 27 aprile 2016

Le basi culturali della xenofobia europea


Le basi culturali della xenofobia europea

Riflessioni a margine di un articolo di Micha Brumlik dal titolo “Il pensiero vecchio delle nuove destre”

 
Cresce la consapevolezza della centralità che da tempo, e con crescente accentuazione, riveste la gestione “politica” dei flussi migratori in Europa, Italia ovviamente compresa. Le politiche sostenibili di accoglienza ed integrazione non solo si scontrano con le oggettive difficoltà che derivano dal loro richiedere tempi lunghi ed una buona disponibilità diffusa per dimostrarsi efficaci, non solo sono vieppiù complicate dalla debolezza strutturale delle istituzioni Europee, ma a ciò si aggiunge una incontestabile impotenza a fronteggiare le crescenti indisponibilità che sempre più assumono il carattere di aperto rifiuto e chiusura. I megafoni xenofobi stanno coprendo le voci troppo deboli e confuse dell’accoglienza. Lo stesso successo mediatico di Papa Francesco non pare in grado di spostane più di tanto umori e atteggiamenti concreti. La partita si gioca, ovviamente, sul piano delle politiche concrete, sia quelle dedicate alla gestione “a valle”, sia quelle mirate a risolvere il più possibile le cause scatenanti “a monte”. Non meno centrale, però, proprio per meglio definire e attuare tali politiche, deve essere la conoscenza di cosa si muove nel campo avverso. Nel quale sono tre, in buona sintesi, i protagonisti; alla condivisone, diffusa e trasversale nella pubblica opinione, di sentimenti di rifiuto e chiusura, ed al collegato protagonismo, al tempo stesso fomentatore e strumentale, di partiti e movimenti di destra, populisti e xenofobi, si affiancano infatti i filoni di pensiero e le culture che, possono spiegare, almeno in parte, tale condivisione e, al tempo stesso, paiono ispirare in modo crescente quell’azione politica. Una loro maggiore conoscenza diventa quindi utile per superare quella sorta di “impotenza” cha la sinistra, in genere, prova nei confronti degli atteggiamenti di “chiusura”, e per smontare i presupposti teorici di movimenti e partiti che la pilotano. Offre spunti interessanti in questo senso l’articolo di Micha Brumlik, giornalista svizzero/tedesco, pubblicato su MicroMega 3/2016, che evidenzia ed analizza alcuni dei fondamenti della “nuova” destra europea: in primo luogo 1) - la celebrazione della “omogeneità culturale” 2) - la politicizzazione della “spazio” (territoriale ed etnico) 3) - la sacralizzazione delle funzioni sociali, il “dominio”. Cosa significano questi fondamenti che hanno come collante condiviso la ripresa che la “nouvelle droit” francese fa del concetto di “identità etnica”, ossia della convinzione che ogni etnia ha diritto di esistere ma solo nello “spazio” che la storia le ha consegnato? Attorno a queste idee di base si è coagulato, in particolare nel corso dell’ultimo decennio, un ampio movimento intellettuale di destra (spesso estrema), ricco di iniziative, di riviste, di momenti di incontro e di elaborazione collettiva. Brumlik cita nomi di intellettuali e riviste alla maggior parte di noi del tutto sconosciuti, ma che trovano inaspettate attenzioni ad ampio raggio. Sono ad esempio ben note le “relazioni” (come si vedrà tutt’altro che casuali, e comprensive di generosi sostegni finanziari) tra la Russia di Putin, l’FLN di Marine Lee Pen, il leader magiaro Viktor Orban. La comune matrice intellettuale originaria si trova nelle opere di Martin Heidegger, filosofo tedesco dello scorso secolo, filonazista, apertamente antisemita (personaggio comunque di difficile interpretazione a cui ad esempio sono rimasti personalmente legati, in quanto affascinati dalla sua cifra filosofica complessiva, pensatori, certo non di destra, come Herbert Marcuse e Hanna Arendt) soprattutto per la sua concezione dell’  “essere” (….essere un essere umano significa innanzitutto essere un tedesco, un francese, un russo, un africano e così via…..l’identità etnica è la realtà che più si avvicina all’essenza dell’uomo…..). Ad Heidegger si richiama apertamente una figura centrale nella formazione più recente del pensiero della nuova destra europea: il filosofo russo Alexander Dugin che, da sempre legato a Vladimir Putin, seppure con un rapporto spesso turbolento, ha definito nella sua opera, messa a punto a partire dagli anni novanta, una teoria politica, sicuramente mirata alla realtà russa (e alla strategia putiniana di rilancio dell’impero russo), ma che ha trovato attenzioni e riprese in campo europeo. Dugin sostiene che l’innaturalità della globalizzazione capitalistica sta riattivando sani anticorpi nazionalistici, unica possibilità di reagire all’ingovernabilità del mondo da essa prodotto, e la rinascita del sentimento di “popolo”. La particolarità del pensiero di Dugin, strettamente legato a quello di Heidegger e alla sua idea di “essere” e “popolo”, quella che di più ha avuto peso nello sviluppo del pensiero della nuova destra europea, è la rivalutazione della dimensione dello “spazio” nella connessione con il popolo, con l’essere. Ovviamente egli guarda alla particolarità russa, euroasiatica (da sempre caratterizzata dalla convivenza di più etnie strettamente legate ad una specifica “porzione” dello “spazio” russo) ma la sua rivalutazione della dimensione “etnica”, il rifiuto delle moderne regole democratiche (in nome di un ritorno a forme di governo gerarchico dal basso), la ferma opposizione alla globalizzazione occidentale ed al suo sovrapporsi alle etnie e comunità locali hanno trovato immediata attenzione in molti intellettuali di destra europei. Esemplare è il caso della destra francese che (ancora una volta ritorna questo “strano” legame con la cultura nazionalistica russa), più ancora che in Germania (da sempre, Hedfegger compreso; la destra tedesca è affascinata dallo spirito indipendente russo, la guerra nazista ad Est si mosse contro l’Unione Sovietica, contro il comunismo, non contro la Russia) apertamente rivaluta, nelle parole del FLN di Marine Le Pen, la storia francese riappropriandosi dei suoi miti, a partire da quello della Rivoluzione del 1789, ma spogliandoli del loro valore universalistico e traducendoli in conquiste del “popolo” francese (in questo aiutato da quelle di alcuni ex intellettuali di sinistra come Alain Finkelkraut).

Le idee di Dugin, quelle precedenti di Heidegger (che sostenevano che ogni generazione sempre si definisce in spazi già precedentemente organizzati dalle generazioni precedenti), assegnano un ruolo centrale alla categoria dello “spazio”; una categoria trascurata nelle elaborazioni della sinistra che da sempre lo concepisce unicamente nella sua accezione di “ambiente”, vuoi nelle riflessioni ecologiche piuttosto che urbanistiche. Ed è indubbiamente proprio la crisi epocale dei migranti, di milioni di individui costretti a fuggire dal proprio spazio per migrare in quello di altri che ha alimentato in modo diffuso timori, rifiuti, chiusure, che, a loro volta, hanno riavvalorato la centralità che il vecchio pensiero della nuova destra ad esso concede. Seppure del tutto slegato dalle odierne vicende suonano quanto mai pertinenti le parole dedicate da Kant allo “spazio”……..la natura ha rinchiuso tutti i popoli entro limiti determinati e siccome il possesso del suolo, sul quale può vivere un abitante della terra, è pensabile sempre e soltanto come il possesso di una parte di un tutto determinato (dalla forma stessa della Terra) su cui dunque ognuno ha un diritto originario, così tutti i popoli stanno originariamente in una comunanza di suolo, non però in una comunanza giuridica di possesso……

E’ difficile negare che le stesse strutture politiche e le istituzioni sociali possono essere tali solo se hanno una dimensione spaziale, che inevitabilmente coincide con la categoria della “sfera pubblica”. Nella versione di sinistra la sfera pubblica viene sviluppata, più in termini di idealità che di concreta realizzazione, come uno “spazio aperto”, uno spazio in cui ogni individuo, ogni popolo, può liberamente manifestarsi ed incontrarsi, in quella di destra, con una maggiore capacità e legame fra idealità e ricadute concrete, lo spazio, e quindi la sfera pubblica, viene restituito alla sua declinazione più antica di stretto collegamento con lo spirito etnico che da più tempo lo occupa

La differenza, che nell’attuale fase sta pesando in misura notevole, sta proprio nel ruolo centrale che il pensiero di destra assegna alla categoria dello “spazio”, a fronte di una sua evidente incompleta declinazione da parte della sinistra.

Che cosa possa significare l’attenzione della nuova destra europea alle categorie della spazio (fondamento 2) e dell’etnia, intesa nella sua “sacralizzazione della omogeneità culturale” (fondamento 1), è facilmente riscontrabile nelle recenti evoluzioni avvenute nella Ungheria di Viktor Urban e nella Polonia ed in particolare nei termini e modi in cui sono definite nelle loro nuove (Ungheria) Carte Costituzionali. Analogo riscontro è possibile stabilire fra queste Costituzioni e molti dei punti centrali della teoria politica euro-asiatica di Dugin.

In esse sono poi rintracciabili collegamenti con il pensiero di Julius Evola, da sempre pensatore principe per la destra (estrema) europea, capace di criticare “da destra” il fascismo mussoliniano. Evola ha elaborato un pensiero politico che, come concezione della composizione sociale, si rifà apertamente al sistema induista delle caste e che, come articolazione del potere, ne pone il fondamento nella sua valenza di “dominio sacrale” (fondamento 3). Avrebbe certamente applaudito il passaggio del preambolo della nuova Costituzione ungherese che la collega al mitico re-santo Stefano!

Alexander Dugin, Julius Evola, Martin Heidegger, sono i teorici a cui fanno riferimento gli “intellettuali” della nuova destra europea nel definire strategie che mirano apertamente alla creazione di una comune forza politica tesa alla chiusura etnica, al rifiuto non solo dell’accoglienza ma di ogni altra cultura, alla lotta contro il multiculturalismo, lo stile di vita consumistico dominante, la globalizzazione, l’industria culturale.

Valgono per tutti le seguenti  recentissime dichiarazioni di Martin Sellner, intellettuale austriaco……il nostro obiettivo è un arricchimento spirituale, intendiamo incendiare i cuori, mettere qualcosa in movimento, porre domande decisive in maniera profonda e con conseguenze politiche….il dormiente furore teutonico, l’eterna febbre tedesca che si irradia dalle foreste vergini germaniche così come dalle cattedrali gotiche, tutto questo si riunisce in noi…..io credo che viviamo nel tempo della decisione…..

Certo sono parole che suonano così stonate ed così fuori dal tempo, dai nostri tempi, da sembrare impossibili da collegare ai “semplici” sentimenti di timore di perdita del proprio “particulare” che sono alla base di buona parte delle manifestazioni di chiusura e rifiuto delle nostre “liquide” società; certo sono frasi così esoteriche e visionarie da sembrare impossibili da collegare ai calcoli meschini e strumentali degli attuali partiti populisti e xenofobi.

Però la storia del XX secolo ci ha insegnato che tragedie immani si sono innescate quando, con percorsi sottovalutati e ignorati, si è realizzata una perversa unione fra una parte del popolo, partiti di massa, seppure non di maggioranza, e  filoni di pensiero del tutto simili a questi

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