giovedì 14 aprile 2016

Commenti a margine della conferenza
 tenuta da G. Colombo su:
"La responsabilità nella ricerca e nell'innovazione: una chiave per un nuovo modello di sviluppo?"
(sintesi di Enrica Gallo)

Sulla necessità di cambiare i nostri atteggiamenti mentali di fronte ad una tecnologia che può sviluppare una potenza inusitata, diventando non già serva, ma padrona delle nostre vite, e che pertanto va attentamente governata avendo ben presente che non tutto ciò che può essere fatto è giusto che lo sia, il dottor Colombo ha speso parole assai nette, ricordando come già nel lontano 1979 il filosofo Hans Jonas (“Il principio responsabilità”) sottolineasse l’esigenza di un’etica nuova proporzionata all’ampiezza delle sfide epocali che ci attendevano. Un’etica che non può oggi costituirsi sulla base di soli princìpi – benché essi siano indispensabili per orientare all’azione determinandone i fini – ma che deve manifestarsi come “etica delle conseguenze”: un’etica cioè che guarda al futuro, alle entità umane che stanno ancora al di là del tempo e a cui dobbiamo consegnare un pianeta abitabile, e che pur dovendo necessariamente confrontarsi con la non predicibilità del futuro non può rinunciare a  giocare un ruolo anticipatore che consenta una scelta ragionata.
Certo in molti casi le scelte che dobbiamo compiere si situano su di un crinale davvero scivoloso: pensiamo, ha aggiunto il dottor Colombo, a quel meccanismo irresponsabile che governa la crescita avvitandosi su se stesso in una spirale autolesionistica che sembra condannarci ad una scelta impossibile fra sostenibilità ambientale e instabilità sociale, dal momento che l’aumento dell’efficienza tecnica, determinando un aumento della produttività, comporta necessariamente un maggiore prelievo ambientale e un ritorno in forma di rifiuti, che a loro volta contribuiscono a saturare un pianeta già abbastanza provato. 
Eppure alle contraddizioni corrispondono anche delle opportunità, come il dottor Colombo ha saputo illustrare con parole di cauto ottimismo scendendo in ambiti vicini alla nostra esperienza ma non per questo minimali (l’invecchiamento della popolazione, la raccolta dei rifiuti, l’energia) in cui non pare poi così impossibile coniugare efficienza e sostenibilità, lavoro attuale e promessa di futuro. Occorre nondimeno saper porre la domanda “giusta”, passando dall’idea di cogliere al meglio le opportunità che si pongono oggi per migliorare l’esistente a quella, più complessa e più coerente con una visione davvero etica, su che cosa possiamo fare per anticipare un futuro che riteniamo desiderabile e il cui disegno non può che essere oggetto di una contrattazione democratica, in cui l’imprevedibilità si iscriva nel carattere collettivo della responsabilità.
Non basterà, questo, ad ovviare a quella fragilità del nostro esistere su questa Terra, su cui uno degli interlocutori richiama l’attenzione e di cui il dottor Colombo è ben consapevole; non sarà sempre sufficiente a varcare la distanza fra i modelli teorici e la realtà, che ha una sua resistenza, come viene ancora sottolineato nel corso del dibattito, ma potrà a suo giudizio evitare l’effetto di trascinamento tecnologico, sollecitando forze consapevoli e facendo rivivere  la partecipazione informata. Bisognerà pertanto spendere, e spendersi, in cultura, perché le sensibilità nuove che già sono in atto di questo si nutrono, di saperi e forme mentali a cui tutte le discipline, tutte le branche del sapere possono e debbono concorrere, ognuna “agganciando” il futuro secondo la sua specificità.
Parole, queste, che hanno trovato un’eco assai favorevole nel pubblico di CircolarMente che di questa sensibilità nuova è davvero portatore, dimostrandola con la sua partecipazione, e che ha trovato in questo incontro con un relatore di grande competenza e di pari passione e affabilità un’occasione importante di riflessione comune.




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