sabato 12 dicembre 2015

Commenti a margine del seminario "Utopia e distopia, - Lettura ed interpretazione del libro di Paul Auster - Nel paese delle ultime cose" tenuto dal Prof. Gianluca Cuozzo


Un folto pubblico ha partecipato al seminario in cui il prof. Gianluca Cuozzo ci ha condotti, attraversando con appassionata competenza i territori a lui ugualmente congeniali della filosofia e della letteratura, ad individuare quel particolare confine, invisibile ma denso di assai concrete conseguenze, che sta fra l’utopia – intesa come slancio del pensiero umano che non presupponendo la realtà come un dato assoluto e immodificabile ci spinge ad andare oltre, figurandoci una diversa idea di mondo – e la distopia, sua controparte e complemento, che ci mostra le conseguenze potenzialmente esiziali di tendenze già avvertibili nel presente, ponendosi come specchio deformante il cui attraversamento ci consente di diventarne più consapevoli. Non a caso la copertina del romanzo distopico di Paul Auster, che il prof. Cuozzo ha scelto per illustrare la tensione inesausta fra queste due polarità di un medesimo slancio ideale inteso a porre rimedio ad una realtà avvertita come ingiusta e destinata all’implosione, rappresenta con un chiaro intento allegorico un occhio femminile che guarda attraverso una piccola fessura circolare. Davvero stretto è infatti il passaggio da quella che chiamiamo realtà al suo controcanto distopico, e richiede dunque per individuarlo uno sguardo attento agli snodi critici della contemporaneità. Nel romanzo l’occhio che guarda è quello di una giovane donna, Anna Blume, protagonista di un viaggio senza ritorno in una landa desolata che della città da cui lei è partita rappresenta solo più una spaventosa parvenza, quasi fosse la sua terribile Ombra: e in effetti Auster ce la rappresenta come la controparte notturna e luttuosa del mondo diurno della crescita indefinita e della produzione capitalistica, che sotto l’apparenza luccicante di quelle merci che sembrano rispondere ad una promessa di felicità senza fine tradisce in realtà questa stessa speranza di bene, perché ne ignora i costi ambientali e umani producendo a dismisura quegli scarti da cui noi spesso distogliamo lo sguardo, ma che la protagonista della storia è costretta ad incontrare senza possibilità di scampo. Di questi resti vive infatti quella che potremmo chiamare la Città della Distruzione, i cui abitanti sono costretti a muoversi all’interno di una equazione mortale in cui ogni tentativo di sopravvivere avvicina sempre più alla morte; un luogo in dissoluzione dove le cose via via scompaiono, e dopo le cose le parole per dirle così che diventa praticamente impossibile utilizzare quelle facoltà che ci rendono davvero “umani” e di cui si avvale ogni slancio utopico: la memoria, l’immaginazione, la capacità di comunicare e di stringere legami con gli altri… Pur tuttavia, ad uno sguardo più attento anche nel Paese delle ultime cose è ancora possibile ritrovarne un’eco in quei frammenti in cui Anna crede di scorgere a volte una nuova potenzialità di vita, oltre che in alcuni personaggi che sanno ancora narrare, attraverso gli oggetti di un tempo perduto, una storia che li comprenda. E’ proprio in queste forme residuali che secondo il prof. Cuozzo noi possiamo intravedere, uscendo dalla finzione letteraria, la possibilità di un nuovo corso del mondo, cogliendo in esse quanto resta di senso, tornando a quegli snodi della nostra civiltà in cui altre scelte potevano essere compiute, usando tutte le risorse della memoria e dell’immaginazione per farne emergere una visione emancipatrice che defatalizzi lo spazio angusto del presente. Solo così, a suo giudizio, potremo risvegliare quella tensione utopica indirizzata verso un nuovo divenire dell’uomo nella storia e un nuovo abitare la terra secondo la prospettiva dell’ecosofia, attenta all’uomo come al cosmo. E’ con indicazioni di speranza dunque che si è concluso un intervento di grande spessore concettuale e di forte impatto emotivo, in cui il prof. Cuozzo ha davvero attivato per noi tutte le risorse dell’immaginazione, facendo spazio ad un ampio ventaglio di suggestioni letterarie e cinematografiche che hanno appassionato tanto il pubblico adulto che gli studenti del Liceo Pascal di Giaveno.

3 commenti:

  1. Alcune riflessioni sulla conferenza del prof. Cuozzo che, oltre che essere molto interessante, ha trovato e sottolineato molti aspetti che ci riguardano da vicino e che sono i problemi del mondo attuale. Mi soffermerei sull'utopia. Anni fa ho letto un libro di Claudio Magris dal titolo "Utopia e disincanto" nel quale analizzava quanto l'utopia nel secolo scorso si era dimostrata perdente. Nonostante ciò sottolineava il fatto che solo nel '900 sempre più vaste masse di uomini hanno raggiunto condizioni di vita più accettabili, una presa di coscienza sempre più vasta della dignità di tutti un estendersi dei diritti di categorie emarginate e soprattutto la consapevolezza delle atrocità dei campi di sterminio nazisti e dei gulag sovietici, mentre nei secoli passati erano state commesse atrocità altrettanto gravi senza che la collettività se ne accorgesse e ne provasse rimorso. Noi abbiamo bisogno dell'utopia, non solo che ci dia un po' di speranza ma che ci consenta di non arrenderci alle cose così come si presentano ma lottare per le cose come dovrebbero essere. Con l'utopia deve assolutamente esserci il disincanto e devono sorreggersi e correggersi a vicenda. In ogni epoca deve essere chiaro che il mondo non può essere cambiato una volta per tutte ma ogni generazione deve fare la sua parte.

    RispondiElimina
  2. Premessa (doverosa): da un punto di vista letterario non mi ha entusiasmato la lettura del libro di Auster. Un giudizio, ovviamente personale, che però mi è parso condiviso dallo stesso Prof. Cuozzo. Il pregio di “Nel paese delle ultime cose”, mirabilmente evidenziato dalla sua lettura/interpretazione, consiste principalmente nell’essere una intrigante raccolta di riflessioni sulle matrici distopiche che sono insite nell’attuale stile di vita dell’umanità (quasi) tutta. Un grande pregio che però incide negativamente sul testo: lo appesantisce, lo interrompe, lo spezzetta, lo condiziona. Troppo. Ho invece molto amato un altro romanzo distopico, giustamente richiamato, “La strada” di Corman Mccarthy, connubio riuscitissimo di trama e messaggio. Ciò detto ho, come tutti, ritrovato il miglior Cuozzo: una relazione appassionata e lucidissima al tempo stesso, chiara seppur ricca di molti intrecci, di alto livello teorico ma con ricadute quanto mai pragmatiche. Sono moltissimi gli aspetti collegabili alla denuncia dei rischi distopici che si stanno sempre più manifestando, tutti meritano, anzi impongono, riflessioni accurate, ma il grande merito della relazione a mio avviso consiste, attraverso il non casuale aggancio con le “cose”, con quello che di esse resta nel divenire “rifiuti”, nel ricordarci che i rischi distopici non si risolvono solo con una battaglia di idee. Questa resta essenziale, ineliminabile passaggio preliminare, ma deve immediatamente condurre a “fatti”. In fondo è l’impegno che lo stesso accordo di Parigi ci imporrà da qui a breve: tradurre analisi e obiettivi in risultati concreti. Se non si dovesse fare avremo semplicemente aggiunto un elemento alla costruzione inevitabile di un futuro distopico. La parola “impegno” è l’eredità più significativa, dal mio punto di vista, della relazione di Giovedì. Concedetemi una battuta: molti anni addietro, ai tempi della mia gioventù, si usava questa espressione per ironizzare su certi vezzi piccolo-borghesi “fa fine ma non impegna”, ecco la lezione del Prof. Cuozzo è l’esatto opposto: “fa fine ma impegna”. Venendo via dal seminario ho già avuto modo di scambiare impressioni con Carla, le sue già riportate nel commento. Aggiungo velocemente le mie, a lei dette camminando. E’ vero: abbiamo bisogno di sogni, di utopie, dobbiamo avere traguardi alti a cui mirare, individualmente e collettivamente, imparando, attutendoli, dai connessi disincanti. Ma è così sempre inevitabile che le utopie, i sogni, tornino a farsi sentire solo quando le distopie iniziano ad affacciarsi prepotenti? Ma dobbiamo per forza arrivare a farci sommergere dai rifiuti (di ogni genere) per alzare lo sguardo?

    RispondiElimina
  3. Nel nostro tempo l’utopia esiste: c’è l’utopia dell’Isis con il suo progetto di mondo ossessivo e distorto, c' è l’utopia positiva di Papa Francesco che ci richiama all’equità sociale e al rispetto del pianeta in cui viviamo. In questo momento storico è la costruzione utopica a cui fa riferimento Carla che non esiste più, ma non possiamo negare che tanti giovani e meno giovani impegnati nel sociale ( Libera, varie forme di volontariato, associazioni no profit…) cercano, per citare il Calvino de “Le città invisibili", ‘…di riconoscere, in mezzo all’inferno ciò che non è inferno, per farlo durare e dargli spazio".

    RispondiElimina