venerdì 16 marzo 2018

Sintesi indagine Bankitalia sui bilanci famiglie - a cura di Giancarlo Fagiano


Giornali e televisioni hanno velocemente presentato i dati più rilevanti, ma l’importanza della fotografia del nostro paese che emerge da questa indagine della Banca d’Italia è tale che abbiamo ritenuto utile ed interessante recuperare, anche se in modo ancora sintetico, un suo quadro più completo



Sintesi per punti dell’indagine sui bilanci delle famiglie italiane nel 2016 svolta da Bankitalia



I principali risultati



·     Il reddito medio delle famiglie italiane rilevato dall’indagine sul 2016, a prezzi costanti e corretto per confrontare tra loro nuclei familiari di diversa composizione, è cresciuto del 3,5 per cento rispetto a quello rilevato dalla precedente indagine sul 2014, dopo essere pressoché ininterrottamente caduto dal 2006.

·     La crescita è stata sospinta dall’aumento sia dei redditi unitari da lavoro dipendente sia del numero di percettori.

·     In tutte le principali classi di reddito, è cresciuta la quota di nuclei familiari che nel corso del 2016 sono riusciti a risparmiare.

·     Secondo le famiglie, il reddito avrebbe continuato a crescere anche nel corso del 2017

·     È aumentata la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi che, misurata dall’indice di Gini, è tornata in prossimità dei livelli prevalenti alla fine degli anni novanta del secolo scorso.

·     È aumentata anche la quota di individui a rischio di povertà, definiti come quelli che dispongono di un reddito equivalente inferiore al 60 per cento di quello mediano. L’incidenza di questa condizione, che interessa perlopiù le famiglie giovani, del Mezzogiorno o dei nati all’estero, è salita al 23 per cento, un livello molto elevato.

·     La ricchezza netta media e quella mediana sono diminuite del 5 e 9 per cento a prezzi costanti. Come in passato, il calo ha riflesso quasi interamente la caduta dei prezzi delle case.

·     La quota di famiglie indebitate ha continuato a ridursi, al 21 per cento; il valore mediano del rapporto tra l’ammontare complessivo dei debiti familiari e il reddito è sceso al 63 per cento, dal picco dell’80 registrato nel 2012.



l reddito delle famiglie

e la sua distribuzione



·     Nel 2016 il reddito annuo familiare, al netto delle imposte sul reddito e dei contributi sociali, è stato in media pari a circa 30.700 euro (30.600 euro nel 2014). Al netto della variazione dei prezzi è un valore sostanzialmente analogo a quello rilevato nelle indagini sul 2012 e sul 2014 ma ancora inferiore di circa il 15 per cento a quello registrato nel 2006, prima dell’avvio della crisi finanziaria globale

·     Tra il 2014 e il 2016 il reddito medio familiare è stato sospinto da quello da lavoro dipendente che ha beneficiato della crescita del numero di percettori e dell’aumento delle retribuzioni medie annue pro capite. Per contro, sono diminuiti, ancorché in misura contenuta, i redditi da lavoro autonomo, da proprietà e da pensioni e trasferimenti

·     Nel Mezzogiorno, il 13,3 per cento degli individui vive in famiglie senza alcun percettore di reddito da lavoro rispetto al 6,1 nel Nord e 6,9 nel Centro.

·     A fronte della sostanziale stabilità del reddito medio familiare in termini reali, il reddito medio equivalente, una misura che meglio approssima il benessere economico individuale tenendo conto della dimensione familiare e delle economie di scala che ne derivano, è salito a circa 18.600 euro nel 2016, il 3,5 per cento in più rispetto a due anni prima, dopo essere diminuito, ancorché con diversa intensità, tra il 2006 e il 2014.

·     L’andamento favorevole del reddito equivalente si è accompagnato con la ripresa, a tutti i livelli di reddito, della quota di famiglie che hanno dichiarato di essere riuscite, nel complesso dell’anno, a risparmiare parte del loro reddito (in media, dal 27 al 33 per cento).

·     Tra le famiglie appartenenti al 30 per cento con reddito più basso è però cresciuta anche la quota di quelle che hanno dichiarato di aver fatto ricorso ai risparmi o di essersi indebitate per finanziare la propria spesa.

·     È altresì diminuita la quota di famiglie che nel 2017, al momento dell’intervista, hanno dichiarato di arrivare a fine mese con difficoltà (al 31 dal 35 per cento della rilevazione di due anni prima); il calo è stato più evidente tra le famiglie con redditi al di sotto di quello mediano.

·     Nel loro complesso, le famiglie si attendevano un andamento ancora positivo del loro reddito nel corso del 2017: la quota di nuclei che ne prevedevano una crescita superiore a quella dei prezzi è raddoppiata all’8 per cento, mentre è diminuita di oltre 8 punti, al 44 per cento, quella di famiglie che ne prefiguravano una flessione.

·     La crescita del reddito equivalente reale non è stata uniforme tra gruppi socio-demografici. La ripresa ha interessato, pur in misura difforme, i nuclei con capofamiglia (ovvero il componente con il reddito maggiore) fino a 55 anni e con oltre 65 anni e quelli dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. È invece proseguita la caduta dei redditi equivalenti per le famiglie con capofamiglia tra i 56 e i 65 anni e per quelle dei lavoratori autonomi, il cui livello resta tuttavia in media più elevato

·     L’indice di Gini del reddito equivalente, una misura sintetica di disuguaglianza che varia tra 0 e 1, nel 2016 è salito al 33,5 per cento, dal 33 per cento del 2012 e del 2014.

·     La crescita della disuguaglianza si è accompagnata a un ulteriore aumento, a circa il 23 per cento, un livello molto elevato, della quota di individui con reddito equivalente inferiore al 60 per cento di quello mediano, una soglia convenzionalmente usata per individuare il rischio di povertà e pari nel 2016 a circa 830 euro mensili4 L’incidenza di questa condizione è più elevata tra le famiglie con capofamiglia più giovane, meno istruito, nato all’estero, e per le famiglie residenti nel Mezzogiorno.

·     Nei dieci anni precedenti, seguiti alla crisi finanziaria globale, il livello della disuguaglianza, misurato dall’indice di Gini, è aumentato di 1,5 punti percentuali riportandosi in prossimità dei livelli toccati alla fine degli anni novanta del secolo scorso (34,3 per cento) per effetto della prolungata caduta dei redditi familiari, il rischio di povertà è più elevato rispetto a quel periodo, ma inferiore per i nuclei il cui capofamiglia ha più di 65 anni o è pensionato.



La ricchezza



·     Alla fine del 2016 le famiglie italiane disponevano in media di una ricchezza netta, costituita dalla somma delle attività reali e delle attività finanziarie al netto delle passività finanziarie, di circa 206.000 euro (218.000 euro nel 2014). Il valore mediano, che separa la metà più povera delle famiglie dalla metà più ricca, era significativamente inferiore (126.000 euro, da 138.000 euro nel 2014), riflettendo la forte asimmetria della distribuzione6.

·     Secondo l’indagine, la quota di ricchezza netta detenuta dal 30 per cento più povero delle famiglie, in media pari a circa 6.500 euro, è l’1 per cento; tre quarti di queste famiglie sono anche a rischio di povertà

·     Il 30 per cento più ricco delle famiglie, di cui solo poco più di un decimo è a rischio di povertà, detiene invece circa il 75 per cento del patrimonio netto complessivamente rilevato, con una ricchezza netta media pari a 510.000 euro.

·     Oltre il 40 per cento di questa quota è detenuta dal 5 per cento più ricco, che ha un patrimonio netto in media pari a 1,3 milioni di euro.

·     Le attività reali (immobili, aziende, oggetti di valore) rappresentano l’87 per cento del patrimonio lordo delle famiglie italiane rilevato nell’indagine. Il loro valore, perlopiù determinato dalla casa di residenza, diviene però apprezzabile dal quarto decimo più povero, dove è in media pari a circa 70.000 euro, e sale fino a quasi 800.000 euro nella media del decimo più ricco delle famiglie. Per queste famiglie, la quota di attività finanziarie sul patrimonio lordo oscilla attorno al 10 per cento, avvicinandosi al 20 per cento solo per il 5 per cento più ricco

·     Per contro, circa il 70 per cento delle famiglie appartenenti al decimo più povero della popolazione non detiene attività finanziarie e circa metà non possiede attività reali

·     Per chi le detiene, i valori sono contenuti (in media pari a circa 1.500 e 2.500 euro, rispettivamente).

·     Le passività finanziarie delle famiglie italiane rappresentano meno del 5 per cento del loro patrimonio lordo; la quota è di circa il 18 per cento se riferita alle sole famiglie indebitate (circa il 21 per cento del totale). Il valore medio delle passività di queste ultime è abbastanza omogeneo lungo gran parte della distribuzione della ricchezza netta, attorno a 50.000 euro; è tuttavia molto inferiore, circa 12.000 euro, per il 20 per cento delle famiglie più povere e molto superiore, 171.000 euro, per il 5 per cento delle famiglie più abbienti.

·     Tra il 2014 e il 2016 la ricchezza netta media è diminuita del 5 per cento a prezzi costanti, in linea con le evidenze desumibili dalle statistiche aggregate disponibili, proseguendo la flessione avviatasi nel 2010. Come in passato, il calo è stato determinato dall’andamento delle attività reali che ha riflesso prevalentemente la riduzione del valore degli immobili. Ha pertanto interessato prevalentemente i patrimoni dei proprietari, che sono più elevati: mentre la mediana e il nono decile della ricchezza netta sono diminuiti, a prezzi costanti, rispettivamente del 9 e di oltre il 6 per cento, il secondo decile è cresciuto di circa il 4 per cento.

·     Nel decennio tra il 2006 e il 2016, i due decili più bassi della ricchezza netta sono passati, rispettivamente, da 2.300 a 1.100 euro e da 12.000 a 6.200 euro, la mediana è scesa da 166.000 a 126.000 euro e il nono decile da 580.000 a 462.000 euro.

·     La flessione della ricchezza nel corso del decennio tra il 2006 e il 2016 ha interessato tutte le famiglie, in misura pressoché indipendente dall’età o dall’attività principale. Nel complesso del periodo, l’indice di Gini della ricchezza netta è rimasto sostanzialmente stabile, intorno al 61 per cento, tornando sui valori iniziali dopo essere aumentato tra il 2008 e il 2012.

·     Alla fine del 2016, la quota di famiglie che detenevano attività finanziarie è ancora salita, all’84 per cento dal minimo del 79 per cento raggiunto nel 2012, tornando sui livelli prevalenti prima della crisi finanziaria.

·     Il valore medio familiare di tali attività era pari, tra chi le possedeva, a 33.000 euro (31.000 euro a prezzi costanti nel 2014). Solo circa il 22 per cento deteneva almeno un’attività finanziaria diversa da depositi bancari o postali in conto corrente (circa il 26 per cento nel 2014), per la maggior parte nella forma di investimenti diretti in titoli di Stato, obbligazioni private, azioni e titoli esteri. Il valore medio della ricchezza finanziaria di queste ultime famiglie era pari a circa 87.000 euro.

·     La distribuzione delle attività finanziarie è analoga a quella della ricchezza netta. Il 30 per cento delle famiglie italiane con patrimonio netto più basso detiene solo circa il 4 per cento della ricchezza finanziaria complessiva (in media circa 4.000 euro a famiglia); il 30 per cento di quelle più abbienti ne possiede poco meno dell’80 per cento (in media circa 72.000 euro), di cui oltre metà riconducibile ai nuclei appartenenti al 5 per cento più ricco, che detengono in media circa 220.000 euro in attività finanziarie.

·     A tali divari si associano portafogli con composizione molto diversa. Le famiglie appartenenti al quinto più povero detengono principalmente depositi; nelle classi centrali di ricchezza netta cresce progressivamente la quota di titoli di Stato, obbligazioni private e investimenti gestiti (prevalentemente fondi comuni); sono soprattutto le famiglie appartenenti al 20 per cento più abbiente a detenere direttamente azioni e ad affidare la gestione di una parte cospicua delle loro attività finanziarie a operatori professionali. 

·     Tra il 2006 e il 2016 la ricchezza finanziaria è divenuta più concentrata: la quota di attività finanziarie posseduta dalla metà delle famiglie con ricchezza netta più bassa è scesa di circa 5 punti percentuali, a poco meno dell’11 per cento; quella detenuta dal 10 per cento più abbiente è salita di quasi 5 punti, a poco meno del 53 per cento. La maggiore concentrazione si è accompagnata con una diffusa riduzione della quota di famiglie che detengono titoli di Stato, obbligazioni, azioni, fondi comuni e gestioni patrimoniali, mentre è aumentata, pur restando complessivamente contenuta, la quota di famiglie più abbienti che detengono titoli esteri.

·     Questi andamenti hanno tuttavia contribuito solo marginalmente alla maggiore concentrazione che ha invece riflesso prevalentemente la riduzione del valore complessivo dei portafogli detenuti dai quattro quinti delle famiglie meno abbienti e la crescita di quello detenuto dal 20 per cento più ricco.



Gli immobili e le abitazioni



·     Alla fine del 2016, quasi il 70 per cento delle famiglie italiane possedeva l’abitazione di residenza e circa un quarto di esse possedeva anche altri immobili; solo il 2 per cento delle famiglie possedeva immobili che non comprendevano l’abitazione principale.  La quota di famiglie proprietarie dell’abitazione di residenza è rimasta sostanzialmente stabile rispetto al 2006.

·     Il calo di 7 punti percentuali, al 52 per cento, della quota di proprietari tra i nuclei familiari con capofamiglia fino a 45 anni è stato controbilanciato dalla forte riduzione del peso di queste famiglie sul totale, dal 37 al 27 per cento, proseguendo la tendenza avviatasi all’inizio degli anni novanta.

·     Secondo la valutazione delle famiglie, l’abitazione di residenza, indipendentemente dal titolo di occupazione, valeva in media poco meno di 1.800 euro al metro quadrato, il 7 per cento in meno rispetto al valore del 2014 e il 23 per cento in meno rispetto a quello del 2006, un andamento complessivamente in linea con quello evidenziato dall’Indice dei prezzi delle abitazioni dell’Istat. Le famiglie interpellate prevedono un sostanziale assestamento dei prezzi nel corso del 2018, prefigurando in media un calo di circa un punto percentuale.

·     Circa un quinto delle famiglie risiedeva in un’abitazione in affitto e il restante decimo l’occupava a titolo gratuito. Il canone annuo, in media poco sopra 4.000 euro e superiore di circa il 5 per cento a quello rilevato nella precedente rilevazione, rappresentava almeno un quinto del reddito familiare per circa il 68 per cento dei nuclei con reddito equivalente inferiore a quello mediano e per circa il 46 per cento di quelli al di sopra.



L’indebitamento



·     Nel 2016 la quota di famiglie indebitate è ancora diminuita, al 21 per cento dal 23 nel 2014, proseguendo la tendenza avviatasi nel 2010. La flessione ha interessato, pur in misura diversa, tutte le principali forme di debito con l’eccezione di quelle, complessivamente poco diffuse, riconducibili a ragioni professionali.

·     Le famiglie sono considerate indebitate quando sono titolari di almeno una tra le seguenti tipologie di passività finanziarie: mutui per acquisto o ristrutturazione di immobili; prestiti da intermediari finanziari per l’acquisto di beni durevoli, non durevoli; prestiti da parenti e amici; debiti commerciali o prestiti bancari legati all’attività di impresa individuale o impresa familiare; scoperto di conto corrente; saldi negativi relativi a carte di credito revolving.

·     Tra il 2006 e il 2016, la flessione della quota di famiglie indebitate ha interessato quasi esclusivamente quelle il cui capofamiglia ha al più 45 anni (dal 38 al 29 per cento), riflettendo la forte contrazione del ricorso al credito al consumo (dal 20 al 9 per cento); è invece rimasta stabile (attorno al 17 per cento) la quota di chi è indebitato per acquisto o ristrutturazione di immobili



·     Il rapporto tra l’ammontare del debito e il reddito monetario annuo (definito al netto degli affitti imputati e al lordo degli oneri finanziari) si è ancora ridotto: per la famiglia mediana è sceso al 63 per cento dal picco dell’80 per cento registrato nel 2012; è però ancora elevato rispetto al 2006, quando era pari a circa il 45 per cento. 

·     Nel 2016 era indebitato per finanziare l’acquisto o la ristrutturazione di un immobile o la spesa per consumi quasi il 28 per cento delle famiglie con reddito monetario nel quarto di reddito più elevato; per queste famiglie, la rata, in media pari a 7.300 euro, incideva sul reddito per il 14 per cento. Per contro, meno del 6 per cento delle famiglie con reddito monetario nel primo quarto era indebitato, ma la rata ammontava a 3.200 euro e rappresentava il 37 per cento del loro reddito.

·     La quota di famiglie finanziariamente vulnerabili, definite come quelle con un reddito monetario inferiore a quello mediano e al contempo una spesa annuale per il servizio del debito superiore al 30 per cento del reddito monetario, è rimasta stabile, attorno all’11 per cento delle famiglie indebitate9 (circa il 2 per cento del complesso delle famiglie). La condizione di vulnerabilità è più diffusa quanto più basso è il reddito: nel 2016 era vulnerabile circa il 60 per cento delle famiglie indebitate appartenenti al primo quarto di reddito e il 29 per cento di quelle nel secondo quarto (rispettivamente, circa il 57 e il 34 per cento nel 2014).



Disagio economico basato

sulla ricchezza e sul reddito



·     Il benessere materiale di una famiglia è solitamente associato al reddito equivalente (ovvero modificato per rendere confrontabili tra loro nuclei di dimensione e composizione diversa) complessivamente percepito in un anno. Sono considerate a rischio di povertà le persone con un reddito al di sotto di una soglia ritenuta socialmente accettabile, convenzionalmente posta uguale al 60 per cento del reddito equivalente mediano. Questa definizione non considera però le altre risorse finanziarie cui la famiglia può attingere per soddisfare le proprie esigenze: tra i vari motivi, le famiglie accumulano ricchezza per far fronte a eventi, attesi o inattesi, che comportino riduzioni del reddito familiare, come ad esempio il pensionamento, la perdita dell’impiego o l’insorgere di malattie gravi. Per misurare l’incapacità di fronteggiare brevi periodi di difficoltà economica, si definiscono “finanziariamente povere” quelle famiglie che detengono una ricchezza in attività finanziarie, più facilmente liquidabili, modificata per tenere conto della struttura familiare, inferiore a un quarto della soglia che individua il rischio di povertà (60 per cento del reddito equivalente mediano). In altre parole, una famiglia è finanziariamente povera se, anche liquidando tutte le attività finanziarie immediatamente disponibili, non ha risorse sufficienti per evitare il rischio di povertà per almeno tre mesi. 

·     Nel 2016, si trovava in questa condizione di vulnerabilità il 44 per cento della popolazione, una quota ancora decisamente superiore a quella registrata nel 2006, prima dell’avvio della crisi finanziaria globale, ma in calo dal picco del 2012.

·     La condizione di povertà finanziaria è più concentrata tra le persone a rischio di povertà (di reddito): circa l’85 per cento delle persone con reddito equivalente inferiore al 60 per cento di quello mediano non dispone di attività finanziarie sufficienti in caso di necessità.

·     È tuttavia finanziariamente povero anche poco meno di un terzo del complesso  delle persone con reddito equivalente al di sopra di questa soglia e circa il 15 per cento di quelle con reddito equivalente nel quarto più alto della distribuzione.

·     Con l’avvio della crisi finanziaria, l’incidenza della povertà finanziaria è cresciuta più rapidamente di quella del rischio di povertà (di reddito). Ne è discesa una crescita rapida della quota di persone che ricadono in entrambe le condizioni dal 15 per cento nel 2006 a quasi il 20 nel 2016, dopo la sostanziale stabilità nei 10 anni precedenti. Gli effetti della prolungata crisi economica e finanziaria appaiono quindi assai più pesanti quando si considerano insieme il reddito e la ricchezza.

·     Tra il 2006 e il 2016 l’andamento dell’incidenza delle condizioni di disagio materiale misurato in base al reddito o alla ricchezza è stato difforme tra classi d’età; ne è disceso un ampliamento dei divari, prima contenuti, tra questi gruppi. L’incidenza della povertà finanziaria è scesa dal 39 al 35 per cento tra i nuclei con capofamiglia oltre i 65 anni, mentre è aumentata tra quelli con capofamiglia più giovane, in misura marcata in quelli con al massimo 40 anni (dal 40 al 57 per cento). La quota di persone a rischio di povertà (di reddito) ha avuto un’evoluzione analoga, sebbene su livelli più contenuti. La ricorrenza di entrambe le condizioni è raddoppiata, quasi al 30 per cento, tra i nuclei con capofamiglia con al massimo 40 anni, è aumentata di soli 5 punti percentuali tra quelle tra i 41 e i 65 anni ed è scesa di 4 punti per quelle più anziane.


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