Da
tempo come CircolarMente, e questo blog, prestiamo attenzione ai processi che
si manifestano in campo demografico. E’ infatti evidente la stretta relazione
che esiste, come reciproca influenza, fra il contesto economico, sociale e
culturale e quello demografico. Ci è sembrato pertanto utile recuperare i
passaggi a nostro avviso più significativi di uno studio della Banca d’Italia
sulla relazione fra trend demografici e sviluppo economico. Ripreso da alcuni
media offre interessanti spunti di riflessione confermando in particolare
alcune valutazioni sull’incidenza dell’invecchiamento della popolazione
italiana, sulla preoccupante contrazione della sua parte “attiva” e sul peso
positivo delle immigrazioni. E’ anche questo un buon punto di partenza per
riflettere, senza esasperazioni demagogiche e quindi sulla base di dati, su
aspetti decisivi del presente e del futuro del nostro paese, tenendo al contempo
nel giusto conto che alcune valutazioni di questo studio, come quella sull’ulteriore
allungamento dell’età lavorativa rispondono a logiche, più o meno
condivisibili, di pura ricaduta sulle percentuali di crescita economica e del
PIL
N.B. = Sono stati evidenziati in corsivo blu i passaggi ritenuti
più rilevanti
IL CONTRIBUTO DELLA
DEMOGRAFIA
ALLA CRESCITA ECONOMICA:
DUECENTO ANNI DI “STORIA” ITALIANA
Studio della Banca d’Italia
Di Federico Barbiellini
Amidei, Matteo Gomellinie, Paolo Piselli
……………….Questo lavoro esamina il contributo
della demografia alla crescita economica confrontando l’Italia del passato,
quella di oggi e quella che vivremo in futuro. Attraverso una scomposizione contabile
della crescita del PIL e del PIL pro capite si mostra come le modifiche nella
struttura per età della popolazione abbiano prodotto nel passato più lontano un
contributo positivo. Al contrario, negli ultimi venticinque anni e con ogni
probabilità nel futuro, la demografia ha dato e darà un contributo diretto
sensibilmente negativo alla crescita economica. I flussi migratori previsti
limiteranno l’ampiezza di tale contributo negativo, ma non saranno in grado di
invertirne il segno. Nel lavoro si valutano tre sviluppi
potenzialmente indotti dagli stessi fattori demografici o da azioni di policy –
l’estensione della vita lavorativa, l’aumento della partecipazione femminile al
mercato del lavoro e l’incremento nei livelli di istruzione – che potranno
contrastare i puri effetti contabili legati all’evoluzione nella struttura per
età.
1. Introduzione
Dall’Unità d’Italia a oggi la popolazione
residente nel Paese è più che raddoppiata, passando da circa 26 a 60,5 milioni
all’inizio del 2018. Questo percorso di crescita ha incontrato una pausa nelle
ultime due decadi del XX secolo per poi ripartire nel nuovo millennio solo
grazie all’apporto della popolazione immigrata.
Lungo l’arco del Novecento l’Italia ha percorso il sentiero – tipico di
un paese che sperimenta una crescita economica moderna – della “transizione
demografica”, consistente nella progressiva flessione nei tassi di mortalità
seguita dalla riduzione dei tassi di natalità. I progressi per quanto concerne
l’aspettativa media di vita sono stati enormi e proseguiranno nel futuro: l’Istat stima
che nel 2065 la speranza di vita alla nascita sarà di 90,2 anni per le donne e
86,1 per gli uomini (a fronte di 84,9 anni per le donne e 80,6 per gli uomini
nel 2017). La contrazione della natalità e della
mortalità ha inciso sulla struttura per età della popolazione, determinandone
un progressivo invecchiamento. Dalla metà degli anni Ottanta l’Italia sembra
essere entrata in una nuova fase della propria storia demografica, storia che
subirà ulteriori cambiamenti nel prossimo cinquantennio: fertilità e mortalità
si sono stabilizzate su livelli contenuti; gli indici di invecchiamento sono in
aumento, in particolare dall’ultima decade del XX secolo; la quota di
popolazione in età lavorativa è in contrazione e corrispondentemente cresce
l’indice di dipendenza strutturale (rapporto tra la popolazione non attiva,
0-14 e più di 64 anni, e la popolazione 15-64). Con ogni probabilità tutte queste tendenze
si approfondiranno nel futuro. Come mostriamo nel lavoro la crescita
economica che, sul piano contabile, può derivare dall’aumento nella quota di
popolazione in età lavorativa – è già divenuto negativo a partire dall’ultimo
decennio del XX secolo. Nel dibattito
riaccesosi di recente sulla stagnazione secolare si sottolinea come la dinamica
e la struttura demografica possano avere un impatto non trascurabile sulla
crescita economica attraverso le modifiche nelle preferenze di risparmio e
l’invecchiamento della popolazione. Tutto ciò avrebbe conseguenze significative
da un lato sui tassi di interesse reali, sugli investimenti e sulla domanda
aggregata, dall’altro (offerta), sui ritmi di innovazione e sulla produttività.
In questo lavoro ci concentriamo su alcuni fattori dal lato dell’offerta,
analizzando in particolare l’impatto (a parità di altre condizioni) delle
modifiche nella quota di popolazione in età lavorativa sulle prospettive di
crescita attraverso una scomposizione contabile del PIL e del PIL pro capite,
confrontando l’Italia del passato con quella di oggi e con quella che vivremo
nel futuro……………………
2. Popolazione, crescita economica e
transizione demografica in Italia
Le dinamiche demografiche sono state per
lungo tempo centrali nel dibattito sulla crescita economica. La domanda principale
risentiva dell’approccio malthusiano e riguardava le conseguenze economiche del
cambiamento demografico inteso come evoluzione della dimensione della
popolazione. Più di recente, il focus delle analisi sugli
effetti economici della demografia si è spostato dalla crescita della
popolazione alla modifica nella sua composizione per età. Le
attitudini, i comportamenti, le preferenze degli individui variano decisamente
con l’età e con l’aspettativa di vita e l’evoluzione della struttura per età
può quindi influire sulla performance economica di un paese. Il contributo alla
crescita economica della modifica nella composizione per età della popolazione
può essere significativo. Paesi la cui popolazione mostra, ad esempio, una
quota di giovani in crescita hanno le potenzialità per raccogliere un dividendo
dall’evoluzione demografica attraverso l’aumento dell’offerta di lavoro per
quantità e qualità. Gli aumenti della popolazione giovane in età da lavoro,
influiscono anche sulla composizione per età degli occupati producendo effetti
indiretti sulla dinamica della produttività innanzitutto attraverso l’impatto
sull’innovazione e l’imprenditorialità. La flessione nel rapporto tra la
popolazione in età non lavorativa e la popolazione in età lavorativa ha di per
sé effetti benefici sulla crescita economica…………….. L’Italia è tra i paesi sviluppati che si
trovano oggi a fronteggiare uno scenario demografico il cui impatto sulla
crescita del prodotto pro capite nei prossimi decenni sarà negativo.
L’Istat stima che la popolazione residente in Italia
dovrebbe attestarsi sui 53,7 milioni nel 2065, ben 7 milioni in meno di oggi
(-11%)…………… Al 1861, quando raggiunse l’Unità, l’Italia aveva
poco più di 26 milioni di abitanti ed era un paese agli inizi della propria
“transizione demografica”, quel percorso caratterizzato dalla progressiva
flessione nei tassi di mortalità e di natalità. La riduzione del tasso di mortalità della
popolazione appare un processo già avviato nel 1861. Il numero di nati vivi sul
totale della popolazione inizia invece a ridursi successivamente, alla fine
dell’Ottocento, scendendo da 37,5 a 30,5 nati per mille abitanti alla vigilia
del primo conflitto mondiale. La flessione prosegue fino all’immediato secondo
dopoguerra per il tasso di mortalità, e alla metà degli anni Ottanta per quello
di natalità, quando i due rapporti si stabilizzano su valori pari a circa 10
individui per mille persone……………….
……………..A partire dal 2010 si apre una forbice tra i due tassi
che si accentuerà nel futuro: le proiezioni dell’Istat indicano, per il
prossimo cinquantennio, un rialzo dei tassi di mortalità, dinamica su cui
incide la composizione per età che vede una quota di popolazione anziana sempre
più consistente; la natalità rimarrebbe invece sui livelli attuali
eccezionalmente bassi…………………….
Dinamiche simili sono state registrate dal
tasso di fecondità totale.
……………………Le dinamiche di natalità e mortalità
incidono sulla struttura per età della popolazione. La flessione nella natalità
e l’aumento della vita media hanno condotto a un significativo incremento della
quota di popolazione anziana. La composizione per età ha subito e subirà,
dunque, cambiamenti profondi. Nell’ultimo decennio del XX secolo l’indice di
dipendenza strutturale (il peso della popolazione in età non lavorativa su
quella in età lavorativa) ha invertito un secolare trend decrescente……………………..
………………… Sulla base delle proiezioni nel 2041 l’Italia si troverà
in un territorio inesplorato con un indice di dipendenza strutturale superiore
al massimo storico raggiunto all’inizio del Novecento quando, tuttavia, il peso
della popolazione in età non attiva era elevato per la numerosità della
popolazione tra 0 e 14 anni piuttosto che per il peso delle coorti più anziane
come accade oggi…………………….
………………….. Le prospettive e le implicazioni
per il futuro sono, quindi, radicalmente diverse. Per più di un secolo dall’Unità, la
percentuale di popolazione anziana (>64), pur crescendo, si è attestata su
livelli inferiori alla metà della popolazione più giovane (con meno di 15
anni), a partire dal secondo dopoguerra, ma soprattutto dalla fine degli anni Ottanta, si assiste a
un progressivo mutamento strutturale che ha condotto la popolazione più anziana
a superare quella più giovane alla fine del XX secolo, fino a divenire pari al
165 per cento della popolazione tra 0-14 anni nel 2017. Le prospettive
per il prossimo cinquantennio sono di una ulteriore crescita del rapporto
mentre l’età media della popolazione salirà di oltre 5 anni tra il 2017 e il
2061, passando da 44,9 a 50,2. La quota di popolazione in età da lavoro
ha raggiunto un massimo del 70 per cento all’inizio degli anni ’90;
negli ultimi venticinque anni ha cominciato a flettere e, sulla base delle
previsioni, continuerà
a ridursi nel prossimo cinquantennio fino a scendere sotto il minimo storico
(59 per cento registrato nel 1911) dopo il 2031. Se scomponiamo questa quota per cittadinanza, circa un quarto
della popolazione in età da lavoro sarà costituita nel 2061 da cittadini
stranieri. In uno scenario limite in cui non ci fossero
residenti con cittadinanza straniera, nel 2061 la quota di popolazione in età
15-64 anni sul totale della popolazione, prevista pari al 55 per cento,
scenderebbe a poco più del 40 per cento………………………
3. Misurazione del contributo demografico
nel lungo periodo
………………..Con l’invecchiamento della
popolazione si riduce, a parità di età di pensionamento, la quota di
popolazione in età lavorativa. Uno dei principali effetti dell’aumento della
quota di anziani nella popolazione (come anche, in modo differito, del calo
della natalità) deriva dunque dalla riduzione nell’offerta aggregata di lavoro……….
………………………….Il contributo demografico può
essere espresso con un indicatore, una misura sintetica del potenziale
contributo della demografia alla crescita economica (un valore maggiore di zero
segnala un contributo demografico positivo). Questo indicatore dopo essere
stato più spesso positivo nel corso della storia italiana è risultato negativo
nell’ultimo venticinquennio segnalando un mutamento strutturale nel regime
demografico………
………………..Il contributo offerto dal tasso di
occupazione (calcolato sulla base delle unità di lavoro equivalente a tempo
pieno) è risultato positivo su tutta la seconda metà del XX secolo,
particolarmente significativo negli anni Cinquanta, è poi divenuto negativo nel
primo quindicennio del XXI secolo……..
………………..In Italia il contributo della produttività alla crescita
del prodotto pro capite è per quasi tutto il Novecento più alto della media
degli altri paesi, diviene significativamente negativo nel primo decennio del
nuovo millennio…….
……………………….La struttura per età della
popolazione ha nel complesso in Italia un andamento positivo e più favorevole
rispetto alla media degli altri paesi avanzati fino all’inizio degli anni ’90,
con una nostra crescita della quota della popolazione nella classe 15-64 in sei
decenni su otto. Successivamente, il contributo della struttura demografica
italiana è decisamente negativo e inferiore agli altri paesi avanzati…….
…………………..Nel complesso nel corso del XX
secolo fino alla prima fase della cosiddetta Golden Age (anni cinquanta)
l’Italia mostra dinamiche demografiche più favorevoli alla crescita rispetto
alle altre economie avanzate,. Dagli anni ‘60 invece, gli effetti negativi della
transizione demografica sono più accentuati per l’Italia rispetto agli altri
paesi, con un aggravamento dall’ultima decade del XX secolo. Gli sviluppi demografici sarebbero stati
ancora più penalizzanti per l’economia italiana, se non fosse intervenuto negli
ultimi 25 anni un significativo flusso migratorio in entrata. ……………….
…………………..Storicamente, prima
degli anni ’80 del XX secolo, l’immigrazione verso l’Italia è stata
trascurabile. In effetti, l’Italia nel XX secolo è stato essenzialmente un
paese di emigrazione. Solo in tempi recenti questo carattere si è ribaltato.
Secondo i dati Istat, nel 1981 i cittadini stranieri residenti (registrati
all’anagrafe) in Italia erano poco più di 200.000, lo 0,4 per cento della
popolazione, mentre sono diventati poco più di 5,1 milioni all’inizio del 2018,
l’8,4 per cento della popolazione…………….
…………………………Le migrazioni influenzano
direttamente la struttura per età della popolazione. Oggi, come ieri, la
maggior parte dei migranti è rappresentata da individui in età lavorativa. La
classe di età con maggior frequenza nella distribuzione per età degli italiani
che emigravano negli Stati Uniti all’inizio del XX secolo era la classe 20-25,
non differente da quella degli immigrati al loro arrivo in Italia negli ultimi
tre……
………………..I paesi che ricevono i flussi
migratori vedono aumentare quindi la quota di popolazione in età lavorativa e
ridursi il dependency ratio della popolazione più anziana. Inoltre le
migrazioni, modificando il tasso medio di fertilità, possono avere un ulteriore
impatto (ritardato) su dimensione e struttura per età della popolazione……………..
……………….. In Europa, come negli Stati Uniti,
dove i tassi di fertilità delle popolazioni migranti provenienti da paesi a
basso reddito tendono ad essere elevati, l’immigrazione ha determinato negli
ultimi decenni un innalzamento (un contenimento del calo) del tasso di
fertilità medio nazionale. Questo contributo può persistere per una o più
generazioni, fino a quando il comportamento riproduttivo dei migranti non
converge verso i minori tassi di fertilità delle popolazioni autoctone…….
…………….Tra il 1981 e il 1991, quando il
dividendo demografico per l’Italia è ancora ampiamente positivo (5,4 per cento
nel decennio), il contributo della componente straniera è positivo ma modesto
(0,1 per cento), per effetto di una presenza ancora trascurabile di stranieri
residenti (356 mila persone nel 1991). Nel decennio successivo la popolazione
straniera aumenta (fino a circa 1,3 milioni) e il contributo al dividendo
demografico dell’Italia – ormai divenuto complessivamente negativo (2,5 per
cento) – risulta significativo ma non cospicuo (0,2 per cento; anche per un
arretramento della quota in età da lavoro della popolazione straniera). Nel
decennio 2001-2011, con una popolazione straniera residente che supera i 4,5
milioni (7,7 per cento del totale), il contributo demografico degli immigrati è
considerevole (1,1 per cento) e compensa parzialmente il dividendo demografico
negativo che origina dalla popolazione italiana (-4,2 per cento). Nell’ultimo
difficile quinquennio, il contributo degli stranieri si attesta su un più
modesto 0,2 per cento…….
…………………il contributo degli immigrati alla
crescita economica italiana, modesto nel decennio 1981-1991, è andato
progressivamente aumentando coerentemente con l’aumento della popolazione
immigrata. Particolarmente importante è risultato il contributo alla crescita
del PIL nel decennio 2001-2011: la crescita cumulata è stata positiva per 2,3 punti
percentuali mentre sarebbe risultata negativa e pari a -4,4 per cento senza
l’immigrazione……
……………Il
PIL pro capite senza la componente straniera avrebbe subito nel decennio
2001-2011 un calo di -3,0 per cento, invece del -1,9 per cento effettivamente
registrato……
………………………Ancora significativo è risultato il
contributo della popolazione straniera per l’ultimo quinquennio: la flessione
del PIL pro capite (-4,8 per cento) sarebbe stata nello scenario controfattuale
di assenza della popolazione straniera più severa (-7,4 per cento)………
…………….Il contributo della demografia alle prospettive di
crescita dell’economia italiana nel prossimo cinquantennio sulla base delle
previsioni demografiche dell’Istat (Istat 2017) e di quelle effettuate
dall’OECD per i principali paesi industrializzati (OECD 2016) risulterebbe per
l’Italia decisamente negativo nei prossimi quattro decenni, con un minimo di
-8% nel 2031-41, per poi tornare positivo nel 2051-61……..
…………………….. L’apporto specifico
dell’immigrazione sarebbe favorevole nei prossimi tre decenni, compensando
tuttavia solo parzialmente il complessivo saldo negativo. Dal 2041 anche il contributo
dell’immigrazione diverrebbe negativo………..
…………… I risultati sono simili a quelli per
gli altri principali paesi avanzati anch’essi con un trend negativo su tutto il
prossimo cinquantennio, e questo anche in presenza di tassi di crescita della
popolazione positivi come nel caso di Francia e Gran Bretagna. Come per
l’Italia, in Germania, Francia e Giappone questa tendenza ha preso avvio già
dagli anni ’90. Parzialmente diverso il solo caso degli USA, che
continuerebbero a registrare un dividendo positivo in due decenni su cinque del
prossimo cinquantennio, insieme a tassi di crescita della popolazione positivi (sulla base di
previsioni a legislazione invariata). ……
……………..Passando ad analizzare i potenziali effetti dell’evoluzione
demografica futura sulla crescita economica, (si nota che) l’effetto meccanico
delle dinamiche demografiche determinerebbe in 45 anni un calo del PIL del 24,4
per cento rispetto ai livelli del 2016 e del 16,2 per cento in termini pro
capite (-0,4 medio annuo)
………..……se si esamina un’ipotesi demografica
“limite” che permette tuttavia di valutare il contributo dell’immigrazione:
cosa accadrebbe se si azzerassero i flussi migratori futuri e la componente di
popolazione straniera già residente in Italia al 2016 assumesse parametri
demografici (e.g. fertilità) identici a quelli dei nativi italiani? Il risultato è netto: il livello del PIL
aggregato risulterebbe dimezzato con un calo del 50 per cento ……………..
………………..senza il contributo
dell’immigrazione alla dinamica della popolazione in età lavorativa dunque, il
calo del prodotto potrebbe essere severo. Per compensare la diminuzione del
reddito pro capite, la produttività dovrebbe crescere allo 0,64 per cento
all’anno……..
4. Alla ricerca di un second demographic
dividend (secondo dividendo demografico)
…………….Le stesse dinamiche demografiche che
contribuiranno a deprimere la crescita futura possono innescare meccanismi con
potenziali effetti positivi compensativi, fino a produrre un second demographic
dividend . Risposte comportamentali e modifiche istituzionali potranno infatti
mitigare le conseguenze economiche negative di una popolazione più
controbilanciando la tendenza alla riduzione della forza lavoro. I motori di
questi potenziali effetti compensativi sono tre: l’allungamento della vita lavorativa,
l’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro e l’evoluzione
nella dotazione di capitale umano della forza lavoro.
……………..L’allungamento della vita attesa
potrà offrire, autonomamente o per effetto delle riforme che impongono un
aumento dell’età di pensionamento, un contributo positivo alla quota di
popolazione in età lavorativa. Il potenziamento delle politiche per la parità
di genere e per la conciliazione tra vita privata e professionale può favorire
aumenti nella partecipazione e nell’occupazione femminili. L’incremento nella
dotazione media di capitale umano collegato all’evoluzione demografica può
avere effetti di aumento dei tassi di attività/occupazione e dell’efficienza…………..
………………..
Sotto questi tre profili – partecipazione femminile, età effettiva di
pensionamento, grado di istruzione della forza lavoro – l’Italia si colloca su
livelli nettamente inferiori alla media dei principali paesi avanzati. L’Italia
ha un livello particolarmente basso del tasso di occupazione femminile, un
analogo differenziale negativo nel livello medio di istruzione della forza
lavoro con riferimento all’istruzione universitaria, e un più modesto ma sempre
negativo gap nell’età effettiva di pensionamento………………….
………………….Questo confronto, se da un lato ci
aiuta a capire l’arretramento relativo rispetto alle altre economie avanzate
negli ultimi decenni, dall’altro costituisce una misura degli ampi margini che
l’Italia potenzialmente ha, rispetto alle altre economie, nell’attuare
politiche volte a compensare gli effetti negativi delle dinamiche demografiche
attese. Come si mostra di seguito, i nostri risultati suggeriscono infatti che
gli effetti indiretti degli sviluppi demografici attesi, legati
all’allungamento della vita lavorativa, alla partecipazione femminile e
all’aumento del capitale umano, possono risultare efficaci nel contrastare gli
effetti negativi diretti associati al processo di invecchiamento della
popolazione……………………….
1)
-
L’allungamento della vita lavorativa =
La maggiore speranza
di vita si può in primo luogo tradurre, per effetto di interventi legislativi
ma anche come risultato di autonome scelte individuali, in un allungamento
della vita lavorativa. Questo può contrastare la tendenziale diminuzione nella
quota di popolazione in età da lavoro, risultato del processo di ageing e del
calo della natalità. L’allungamento dell’aspettativa di vita insieme alle
riforme pensionistiche degli ultimi due decenni prefigurano uno scenario di
prolungamento generalizzato della vita lavorativa e del tasso di occupazione
nelle coorti più anziane. Fino al 2016 il requisito legale minimo, salvo
eccezioni, per la pensione di vecchiaia era 66 anni e 7 mesi per gli uomini e
65 anni e 7 mesi per le donne, anche se l’età effettiva del pensionamento era
in media più bassa, pari a 63 anni circa. I requisiti legali minimi di
pensionamento, innalzati per entrambi i sessi con la riforma del dicembre 2011,
sono periodicamente adeguati alla speranza di vita.Sulla base della più recente
delibera ministeriale di adeguamento, dal 2019 i requisiti minimi sono fissati
a 67 anni per entrambi i sessi. Per
esaminare come modifiche di questi aspetti possano o meno compensare gli
effetti demografici diretti, si sono effettuati alcuni ulteriori esercizi…………Nel
primo esercizio si valutano gli effetti di un allungamento progressivo della
vita lavorativa fino a 69 anni (requisito legale minimo previsto al 2040 dalle
simulazioni contenute nella Relazione tecnica al decreto legge n. 201/ 2011)………Tale
estensione della vita lavorativa ridurrebbe di sette punti percentuali la
flessione del PIL pro capite (-9,2% rispetto a -16,2% del benchmark) dovuta
all’evoluzione demografica sull’orizzonte 2016-2061.
2)
-
La partecipazione femminile al mercato del lavoro
Per quanto concerne
la partecipazione femminile, come noto al compiersi della transizione
demografica nell’arco del ‘900 si è accompagnato un più intenso ingresso delle
donne nel mercato del lavoro (come anche una relazione inversa tra tassi di
fecondità e partecipazione femminile al lavoro)……….Tale processo in molti paesi
avanzati ha condotto la partecipazione delle donne al mercato del lavoro su
livelli comparabili a quelli degli uomini, con un contributo decisivo alla
crescita del PIL. Sotto questo aspetto il ritardo che accusa l’Italia, con un
tasso di occupazione femminile ancora contenuto e inferiore rispetto agli
obiettivi che il Paese si propone di raggiungere, può rappresentare
un’opportunità per compensare gli effetti delle evoluzioni demografiche
sull’offerta di lavoro futura………………..
Attualmente il tasso di occupazione femminile in Italia (48,1 per cento
nel 2016) è circa 18 punti percentuali al di sotto di quello maschile, contro
un differenziale di circa 10 punti per la media europea a 28 paesi. ……….Quest’ultimo
era il differenziale considerato fisiologico nel 2000, quando la Strategia di
Lisbona (conclusasi nel 2010 e sostituita dagli obiettivi di Europa 2020)
propose ai paesi dell’Unione Europea un obiettivo di tasso di occupazione del
70% per gli uomini e del 60% per le donne entro il 2010. A oggi questo
obiettivo, nonostante la profonda crisi economico finanziaria, è stato
raggiunto da diversi paesi (nei Paesi scandinavi i tassi di occupazione
femminile sono solo di poco inferiori a quelli maschili)……… se l’Italia
conseguisse tale obiettivo risulterebbe un importante contenimento degli
effetti demografici negativi sulla crescita (-2,9% del PIL pro capite anziché
-16,2% del benchmark), anche se ciò non sarebbe ancora sufficiente a
compensarli appieno.
3)
-
Livelli di istruzione, tassi di
occupazione ed efficienza
………. Le aspettative
di una vita più lunga hanno, storicamente, indotto mutamenti nelle preferenze
rispetto alla fertilità e hanno alimentato una sostituzione tra quantità di
figli e quantità/qualità della loro istruzione…….. Questo processo nei paesi avanzati è oggi in
buona parte compiuto, ma non mancano ulteriori canali di possibili incrementi
dei livelli di istruzione legati a sviluppi demografici………. Questi processi
sono già in atto ed è possibile prevedere che a fronte di un aumento del tasso
di occupazione riconducibile all’incremento del grado di istruzione per la
popolazione in età da lavoro la flessione del PIL pro capite dovuta
all’evoluzione demografica sull’orizzonte 2016-2061 si ridurrebbe a -3,8 per
cento (rispetto a circa -16% del benchmark)……… Se si ipotizza una convergenza
dell’Italia nel 2061 alla composizione per grado di istruzione della popolazione
in età da lavoro che la Germania avrebbe nel 2040 si otterrebbe nel lungo
periodo un aumento del 3,1 per cento del PIL pro capite rispetto ai livelli
attuali………….. Questo aumento risulterebbe sufficiente a compensare gli effetti
negativi delle dinamiche demografiche: nel 2061 il PIL pro capite sarebbe di
circa il 7 per cento più elevato del livello attuale, con un contributo
positivo di 24 punti percentuali di crescita rispetto al benchmark.
………………….L’analisi storica mostra come la
produttività abbia rappresentato la componente principale della crescita
economica; al tempo stesso i dati dicono che la produttività in Italia si trova
su un sentiero declinante da almeno due decenni……………………… emerge come con una
dinamica della produttività dell’1 per cento medio annuo la crescita cumulata
del PIL pro capite nei prossimi cinquant’anni risulterebbe pari al 33,1 per
cento, una aumento contenuto nel confronto storico………………….Se la dinamica della
produttività si attestasse invece sulla media storica (1,5 per cento medio
annuo nel 1861-2016), il reddito pro capite aumenterebbe del 67,7 e il PIL del
51,6 per cento nel prossimo cinquantennio, un risultato migliore (e certo
capace di compensare l’effetto diretto negativo della diminuzione nella quota
di popolazione in età da lavoro), ma solo apparentemente soddisfacente se si
considera che nella media dei tre cinquantenni precedenti il PIL pro capite era
aumentato del 140 per cento………………….
5.
Conclusioni
Il perdurare di ritmi di crescita deboli
nonostante l’uscita dalla Grande recessione ha fatto tornare d’attualità il
dibattito degli anni ‘30 sulla stagnazione secolare. Questo lavoro ha esaminato
un elemento centrale: la relazione tra la crescita economica e le variabili
demografiche, considerando alcuni fattori che agiscono dal lato dell’offerta.
Si è analizzato in particolare l’impatto che le modifiche nella quota di
popolazione in età lavorativa hanno avuto e avranno sulla crescita economica,
confrontando l’Italia del passato, quella di oggi e quella che vivremo nel
futuro. Per indagare questi aspetti
abbiamo realizzato una scomposizione contabile della crescita del PIL e del PIL
pro capite in termini di produttività, tasso di occupazione e quota di
popolazione in età da lavoro. È emerso come nel passato, lungo il corso della
transizione demografica del nostro Paese fino agli anni Ottanta del XX secolo,
la modifica nella struttura per età della popolazione abbia generato un
demographic dividend positivo. Negli ultimi venticinque anni e nelle
simulazioni per il prossimo cinquantennio invece, i dati e le previsioni
nazionali e internazionali prospettano un’evoluzione sfavorevole della
composizione per età con una riduzione della quota di popolazione in età
lavorativa ed effetti negativi sulla crescita economica in Italia, in modo non
dissimile dagli altri principali paesi industrializzati. I flussi migratori
(previsti) potranno limitare il calo della popolazione complessiva, della
popolazione in età lavorativa e dei tassi di occupazione, ma non saranno in
grado di invertire il segno negativo del complessivo contributo demografico. Se
è evidente come la variabile cruciale per la crescita economica resta la
produttività, alcune modifiche – potenzialmente indotte dagli stessi sviluppi
demografici o da azioni di policy – potranno generare effetti compensativi
positivi (second demographic dividend). In particolare, l’allungamento della
vita lavorativa, l’aumento della partecipazione femminile e l’innalzamento dei
livelli di istruzione potrebbero avere un impatto positivo rilevante sulla
crescita del reddito pro capite nel lungo periodo, compensando gli effetti
negativi delle evoluzioni attese nella quota di popolazione in età da
lavoro.
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