Si sta facendo sempre più strada in tutti noi
la consapevolezza che l’epidemia coronavirus, e le pesanti, ma indispensabili, restrizioni
che sono state messe in atto per fronteggiarla, stiano rappresentando una straordinaria,
sotto tutti i punti di vista, occasione per riflettere su molti aspetti
fondanti le nostre società: Fra i tanti nell’ambito specifico della cultura
politica si è aperto un intenso dibattito attorno al tema del rapporto tra
situazioni emergenziali e istituti della democrazia. Non serviva di certo il
virus covid19 per scoprire le evidente difficoltà di risposta della democrazia,
così come si è fin qui concretizzata nel mondo occidentale, alle sfide della
globalizzazione economica e delle innovazioni tecnologiche, internet e
Intelligenza Artificiale in primis. Ma è altrettanto certo che questa dura
messa a prova della solidità delle forme di esercizio pieno della democrazia ha
di molto accentuato tali difficoltà, ed in più ha posto nuove domande, nuovi
dubbi, nuove ragioni di critica. Da tempo come CircolarMente abbiamo inserito
nelle nostre iniziative momenti espressamente dedicati alle problematiche della
democrazia e dell’esercizio del potere politico, non potevamo quindi non
cogliere questa ulteriore sollecitazione. Iniziamo a farlo con questo post che
intende, come prima battuta, “prenderla alla larga”, ma già sapendo che il
nocciolo della questione ruota proprio attorno al tema dello “stato di
eccezione”, vale a dire una versione della democrazia fortemente modificata e
ridotta, giustificata dalla necessità di fronteggiare “situazioni eccezionali”.
Il problema ovviamente è capire chi e cosa, al di là della innegabile prepotente irruzione
di un virus, può determinare, e sancire, questa eccezionalità. “La prendiamo alla larga”,
ma poi neanche tanto, con due articoli, apparsi recentemente, di riflessione
sul tema
Democrazia e responsabilità - Ora
dipende solo da noi
Articolo di Nadia Urbinati
– La Repubblica 12/03/2020
Che
ruolo ha la responsabilità individuale nell'efficacia delle norme in una
democrazia costituzionale? La domanda è retorica. Perché il ruolo della
responsabilità di tutti noi è fondamentale, insostituibile, soprattutto nei
casi di emergenza come questo. Ad essa non ci sono scorciatoie. Siamo noi la
prima autorità emergenziale. Alcuni possono pensare che le scorciatoie siano
più funzionali. Quasi a riconoscere che noi, individualmente, non riusciamo a
governarci; che senza la paura della repressione siamo come bambini
indisciplinati (così ci descrivono oggi alcuni articoli di giornali americani).
In alcuni casi, si può sciaguratamente pensare che sia possibile mettere «un
velo sulla legge» come scriveva Montesquieu - questo è il senso dei
"poteri straordinari". La condizione emergenziale
imposta dal rischio di contagio di massa da coronavirus ci deve far riflettere
sulle forme e i limiti del potere d'eccezione nella democrazia costituzionale.
E, ancor prima, sul potere e la responsabilità del sovrano democratico, cioè di
noi cittadini. Nel dibattito che si è animato sui media e sui social in questo
week-end in cui si è registrato un incredibile picco di contagi, fanno capolino
due linee interpretative: la desiderabilità del comando centralizzato di uno
solo, simile a un governo tecnico-militare; il giudizio positivo sulle misure
prese dal governo secondo i poteri che la Costituzione gli dà in momenti di
eccezionale gravità. Commenta Andrea Pertici su Facebook che dopo aver gridato
giustamente - allo scandalo quando alcuni mesi fa un leader politico si era
lasciato sfuggire la richiesta dei "pieni poteri", oggi quella
richiesta potrebbe sembrare ad alcuni meno scandalosa. Ma la
Costituzione, che non prevede lo "stato di eccezione", non si
sospende mai, nemmeno nei casi di emergenza come questo. Lo ha
spiegato molto bene Gaetano Azzariti su Repubblica: la Costituzione
si applica scrupolosamente proprio in questi casi, anche perché essa assegna al
governo il potere e il dovere di agire con tempestività. La
legge può prevedere anche un commissario straordinario con lo scopo di
perseguire "specifici obiettivi" o per "esigenze
temporanee", cioè secondo la deliberazione del governo. Ma abbiamo visto
nel caso del terremoto dell'Aquila quanto arbitrario possa essere il potere di
un commissario, senza peraltro alcuna certezza che risolva quei problemi
"specifici" per i quali è stato istituito. I poteri straordinari
generano opacità, mentre il potere ha bisogno di monitoraggio, sempre; creano
estrema discrezionalità, mentre le decisioni hanno sempre bisogno dell'occhio
vigile dell'opposizione e della stampa. Ma è la complessità di intervento
imposto dal contagio di massa a mettere in discussione la razionalità e
l'efficacia della semplificazione monocratica. Insomma, non ci sono
scorciatoie. Dobbiamo noi cittadini essere in grado di risolvere questo
problema. La nostra Carta ci dà tutto quel di cui abbiamo
bisogno per restare una democrazia in tempi di emergenza. Quel che non ci dà è
il civismo. Ed è questo il vulnus che nessun potere eccezionale
può correggere. A noi spetta di correggerlo. La responsabilità di milioni non
si può semplicemente imporre solo con la forza; deve poter contare sullo sforzo
volontario e quotidiano dei singoli questo lo si capisce proprio da questo week-end
durissimo di allegra irresponsabilità. Lo si capisce dalle parole dei medici e
operatori sanitari, del presidente della Repubblica, del ministro della Salute:
nessuna norma, anche la più severa, può essere efficace
senza il volontario impegno di ciascuno e di tutti. Anche questo
distingue i nostri sistemi politici da quelli autoritari. E qui sta un banco di
prova notevole. Perché la soluzione di questa gravissima crisi ora, prima che
il vaccino sia disponibile, non può venire da altri che da noi.
La
democrazia alla prova del virus
articolo di Piero Ignazi – La Repubblica 14/03/2020
L'eccezionalità del momento è
presente a tutti, e ciascuno deve fare il possibile per evitare il contagio.
Allo stesso tempo, però, va ribadito che questa situazione deve essere limitata
nel tempo e non prorogabile, in quanto intacca i diritti inalienabili della
persona
I
provvedimenti adottati con l'ultimo decreto del presidente del Consiglio
costituiscono una limitazione delle libertà fondamentali previste dalla
Costituzione? L'interrogativo ripropone l'antica questione del
rapporto tra interesse generale e diritti individuali. Che il problema esista non
è una ubbia da intellettuali acchiappanuvole che discettano sul sesso degli
angeli quando Costantinopoli brucia. Lo ha ricordato lo stesso Giuseppe Conte,
pur con il suo linguaggio ellittico, nella conferenza stampa che ha preceduto
l'adozione delle ultime misure: va difeso un bene "vitale" come la
salute, senza però dimenticare che altri beni sono anch'essi ineludibili, e
indispensabili per la "vita", come noi la concepiamo nelle democrazie
compiute. La libera circolazione, come i diritti di espressione e
organizzazione, sono connaturati a una società democratica. In condizioni
particolari, eccezionali, alcune libertà possono essere limitate o coartate per
un bene superiore. La nostra Costituzione prevede
infatti (articolo 16) che per ordine pubblico o tutela della salute si possa
sospendere temporaneamente la libera circolazione delle persone.
Solo che quella norma era stata pensata dai nostri costituenti per situazioni
circoscritte geograficamente non per l'intera nazione e, tra l'altro, nemmeno
adombrata al tempo del terrorismo. Ora, invece, su consiglio degli esperti, la
restrizione delle libertà è stata applicata su scala nazionale. Gli scienziati,
comprensibilmente, non si occupano di politica e società. Il loro sguardo si
posa, alternativamente, sul microscopio e sui malati. Spetta alla classe
politica adeguare i loro suggerimenti al contesto socio-politico, perché essa
sola è "responsabile" di fronte ai cittadini. I tecnici informano,
consigliano, suggeriscono ma non sono legati da alcun vincolo politico con la
cittadinanza. La via cinese, invocata e applicata, ha un corollario
che gli esperti trascurano: è stata adottata in un sistema totalitario, in cui
l'individuo non vale nulla rispetto al potere, e non in uno stato di diritto
dove, oltre al bene primario della salute, vanno salvaguardate anche le libertà
individuali. Le restrizioni di questi giorni in cui per alcuni -
non tutti, per fortuna - andrebbe addirittura negata l'ora d'aria che si
concede anche ai carcerati, spingono al limite estremo il potere
dello Stato sui cittadini. Questa situazione eccezionale introduce un sottile
veleno nel nostro sistema di cui meglio essere coscienti fin d'ora: quello dell'invocazione di uno Stato, forte nonché etico, che veda e provveda
per tutti noi. Molti decenni fa il grande intellettuale liberale
Ralf Dahrendorf nel suo Quadrare il cerchio (Laterza, 1995)
aveva messo in guardia dalla possibile fascinazione del modello Singapore: una
dittatura paternalistica dove tutto funzionava a meraviglia, assicurando grande
benessere ai suoi cittadini, senza però permettergli alcun dissenso. Del resto
perché dissentire se il buon padre di famiglia provvede per tutti? L'eccezionalità del momento è presente a tutti, e ciascuno deve fare il
possibile per evitare che il contagio si diffonda. Allo stesso tempo, però, va
ribadito che questa situazione deve essere limitata nel tempo e non
prorogabile, qualunque cosa succeda, in quanto intacca i diritti
inalienabili della persona. Il coprifuoco che ci è imposto, perché di questo si
tratta, va messo tra parentesi come evento irripetibile, proprio per evitare che si radichi l'idea di uno Stato che possa limitare la vita
democratica per "interessi generali". La debolezza della
cultura liberale di questo Paese e il ricordo del passato regime inducono a
molta cautela quando si toccano i diritti. A maggior ragione oggi, quando forze
politiche culturalmente estranee a quella tradizione, come Lega e Fratelli
d'Italia, riscuotono ampi consensi.
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