Pubblichiamo per chi non ha già avuto modo
di leggerlo l’articolo di Alessandro Barico “Virus,
è arrivato il momento dell’audacia” apparso ieri su La Repubblica. Non contiene, (parere del tutto personale) spunti originali di riflessione, ma ha
il pregio di raccogliere, mettendoli insieme nella cornice del richiamo all’audacia,
molti pensieri che già sono condivisi in modo diffuso attraverso i vari canali
di contatto che ci confortano in questi giorni di necessaria clausura. Lo fa
poi con un apprezzabile, vista l’aria pesante che circola fuori casa, tono di
rilassante leggerezza, appena appena corretta da una nota del compiaciuto
gigioneggiare da tempo diventato sua cifra fissa (secondo parere personale). Ultima annotazione introduttiva: ai punti
4 e 10 si legge del possibile nuovo rapporto masse-elite, il tempo dirà se così
è davvero e quali sviluppi potrà avere, al momento (terzo parere personale) sembra, sentendo, vedendo, leggendo i vari
Baricco, Recalcati, e compagnia cantante, che questa maggiore vicinanza si stia
realizzando perché le masse, con le inevitabili eccezioni, sono, sotto la
spinta di questa emergenza, salite di qualche gradino, ma anche perché, al
contempo, le elite, alcune perlomeno, sembrano averne discesi alcuni facendoceli così vedere
ad una altezza non così elevata, come invece questi tempi richiederebbero
Virus, è arrivato il momento dell'audacia
Articolo di
Alessandro Baricco – La Repubblica 25 MARZO
Con la prudenza ci stiamo dando un sacco
da fare. Ora dobbiamo passare ad
altro: pensare, capire, leggere il caos e prendersi il rischio di dare a tutti
qualche certezza: questo è il mestiere degli intellettuali.
Devo averla
già raccontata, ma è il momento di ripeterla. Viene da un bel romanzo svedese.
C'è la regina che decide di imparare ad andare a cavallo. Monta in sella. Poi
chiede sprezzante al maestro d'equitazione se ci sono della regole. Ed ecco
cosa risponde lui: "Prima regola, prudenza. Seconda, audacia". Bene, direi
che con la prudenza ci stiamo dando un sacco da fare. Possiamo passare
all'audacia. Dobbiamo passare all'audacia. Se sei un medico, non so cosa possa
voler dire essere audaci in questo momento, quindi non mi permetto di dare
suggerimenti. Però so esattamente cosa significhi essere audaci, in questo
momento, per gli intellettuali: mettere da parte la tristezza, e pensare: cioè
capire, leggere il caos, inventariare i mostri mai visti, dare nomi a fenomeni
mai vissuti, guardare negli occhi verità schifose e, dopo che hai fatto tutto
questo, prenderti il rischio micidiale di dare a tutti qualche certezza. Al
lavoro dunque, ognuno nella misura delle sue possibilità e del suo
talento. Io in questo momento non sono particolarmente in forma, ma niente mi
impedirà di scrivere qui alcune cose che so. È il mio mestiere.
1. Il mondo
non finirà. Né ci ritroveremo in una situazione di anarchia in cui comanderà
quello che alle elementari stava all'ultimo banco, non capiva una fava però era
grosso e ci godeva a menarti. Sveglia, quelli sono romanzi. Torniamo in noi. E
noi - noi umani - siamo una specie di agghiacciante pazienza, intelligenza e
forza: siamo gente che è riuscita a convertire il creato nel proprio parco di
divertimenti grazie a una delle operazioni più violente e ciniche che si
potessero immaginare; non solo, ne siamo anche consapevoli: abbiamo dato un
nome al bottino di una simile razzia, antropocene, e siamo arrivati ad essere
talmente sicuri di noi stessi da iniziare a pensare recentemente di restituire
a parte del creato una sua libertà. Siamo quelli lì. Da sempre combattiamo con
i virus. Spesso ci hanno messo in ginocchio. Si dà il caso però che in quella
posizione scomoda diventiamo ancora più pazienti, cocciuti e furbi.
2. Stiamo
facendo pace col Game, , con la civiltà digitale: l'abbiamo fondata, poi
abbiamo iniziato a odiarla e adesso stiamo facendo pace con lei. La gente, a tutti
i livelli, sta maturando un senso di fiducia, consuetudine e gratitudine per
gli strumenti digitali che si depositerà sul comune sentire e non se ne andrà
più. Una delle utopie portanti della rivoluzione digitale era che gli strumenti
digitali diventassero un'estensione quasi biologica dei nostri corpi e non
delle protesi artificiali che limitavano il nostro essere umani: l'utopia sta
diventando prassi quotidiana. In poche settimane copriremo un ritardo che
stavamo cumulando per eccesso di nostalgia, timore, sospetto o semplice
fighetteria intellettuale. Ci ritroveremo tra le mani una civiltà amica che riusciremo meglio a
correggere perché lo faremo senza risentimento.
3. Chiunque
si è accorto di come gli manchino terribilmente, in questi giorni, rapporti umani non
digitali. Capovolgete questa certezza: vuol dire che ne avevamo un sacco, di
rapporti umani. Mentre dicevamo cose tipo "ormai la nostra vita passa
tutta dai device digitali", quello che facevamo era ammassare una quantità
indicibile di rapporti umani. Ce ne accorgiamo adesso, ed è come un risveglio
da un piccolo passaggio a vuoto dell'intelligenza. Non dimenticate la lezione,
per favore. Anzi, aggiungetene un'altra: tutto questo ci sta insegnando che più
lasceremo srotolare la civiltà digitale più assumerà valore, bellezza,
importanza e perfino valore economico tutto ciò che ci manterrà umani: corpi,
voci naturali, sporcizie fisiche, imperfezioni, abilità delle mani, contatti,
fatiche, vicinanze, carezze, temperature, risate e lacrime vere, parole non
scritte, e potrei andare avanti per righe e righe. L'umanesimo diventerà la
nostra prassi quotidiana e l'unica vera ricchezza: non sarà una disciplina di
studi, sarà uno spazio del fare che non ci lasceremo mai rubare. Guardate la
furia con cui lo desideriamo ora che un virus l'ha preso in ostaggio, e vi
passerà ogni dubbio.
4. Una crepa che sembrava essersi aperta
come una voragine, e che ci stava facendo soffrire, si è chiusa in una
settimana: quella che aveva separato la gente dalle élites. In pochi giorni, la
gente si è allineata, a prezzo di sacrifici inimmaginabili e in fondo con
grande disciplina, alle indicazioni date da una classe politica in cui non
riponeva alcuna fiducia e in una classe di medici a cui fino al giorno prima
stentava a riconoscere una vera autorità anche su
questioni più semplici, tipo quella dei vaccini. Una classe dirigente che non
sarebbe mai riuscita a fare una riforma della scuola è riuscita a chiudere in
casa un intero Paese. Cosa diavolo è successo? La paura, si dirà: e va bene. Ma
non è solo quello. C'è qualcosa di più, qualcosa che ci aiuta a capirci meglio:
nonostante le apparenze, noi crediamo nell'intelligenza e nella competenza,
desideriamo qualcuno in grado di guidarci, siamo in grado di cambiare la nostra
vita sulla base delle indicazioni di qualcuno che la sa più lunga di noi. La
nostra rivolta contro le élites è temporaneamente sospesa, ma questo ci può
aiutare a capirla meglio: noi crediamo nell'intelligenza, ma non più in quella
dei padri; vogliamo la competenza ma non quella novecentesca; abbiamo bisogno
di qualcuno che decida per noi, ma ci siamo immaginati che non venga da una
casta imbambolata da se stessa, stanca e incapace di rigenerarsi. Riassumo.
Volevamo una nuova classe dirigente, continuiamo a volerla: possiamo aspettare,
adesso non è il momento di fare casino. Ma ricominceremo a volerla il giorno
stesso in cui questa emergenza si ricomporrà.
5. È probabile che l'emergenza Covid 19
finirà per rivelarsi come un crinale storico di immensa importanza. Provo a
dirla così: è la prima emergenza planetaria generata dall'epoca del Game, della
rivoluzione digitale, e l'ultima emergenza planetaria che sarà gestita da una élite
e da un'intelligenza di tipo novecentesco. Lo vedete il crinale? La vedete la
contraddizione? Capite perché in questo momento capiamo poco, fatichiamo molto,
ci smarriamo facilmente? Ci hanno sfidato a un videogame, e noi abbiamo mandato
a combattere degli scacchisti. Siamo esattamente in bilico tra un mondo e
l'altro. È una posizione scomodissima. Dovete rendervi conto che anche solo
senza smartphone, l'ottanta per cento di quello che
vi vedete accadere attorno non sarebbe successo (flusso di informazioni,
costruzione di storytelling, maree di paura che vanno e vengono, sopravvivenza
in situazione di lockdown quasi totale, velocità delle decisioni....): e
tuttavia la gestione di tutto questo è in mano, inevitabilmente, a una
razionalità novecentesca. Faccio un caso pratico, così ci capiamo. Il Novecento
aveva il culto dello specialista. Un uomo che, dopo una vita di studi, sa
moltissimo di una cosa. L'intelligenza del Game è diversa: dato che sa di avere
a che fare con una realtà molto fluida e complessa, privilegia un altro tipo di
sapiente: quello che sa abbastanza di tutto. Oppure fa lavorare insieme
competenze diverse. Non lascerebbe mai dei medici, da soli, a dettare la linea
di una risposta a un'emergenza medica: gli metterebbe di fianco, subito, un
matematico, un ingegnere, un mercante, uno psicologo e tutto quello che
sembrerà opportuno. Anche un clown, se serve. Probabilmente agirebbero con un
solo imperativo: velocità. E con una singolare metodologia: sbagliare in
fretta, fermarsi mai, provare tutto. Attualmente, invece, il nostro procedere
segue altre strade. Ci guida, nel modo migliore possibile, una éite che, per
preparazione e appartenenza generazionale, usa la tecnologia digitale ma non la
razionalità digitale. Non possiamo certo fargliene una colpa. Ma questo è il
momento di capire che se molto di quello che vi circonda stamattina vi sembra
assurdo, una delle ragioni è questa. Grandi Maestri di scacchi che giocano a
Fortnite (vinceranno, ma capite che lo stile di gioco alle volte vi sembrerà piuttosto
surreale).
6. Rimanete a casa, perdìo. Lo devo
ripetere? Ok, lo ripeto.
7. Rimanete a casa, perdìo. Con tutto quel
che c'è da leggere...
8. L'emergenza Covid 19 ha reso di
un'evidenza solare un fenomeno che vagamente intuivamo, ma non sempre
accettavamo: da tempo, ormai, a dettare l'agenda degli umani è la paura.
Abbiamo bisogno di una quota giornaliera di paura per entrare in azione. Adesso
il virus copre il nostro intero fabbisogno, e infatti chi è più spaventato
dagli immigrati o dal terrorismo o da Salvini o dagli effetti dei videogame sui
figli o dal glutine? Ma anche solo venti giorni fa ne avevamo una gran bisogno,
di quelle paure. Le coltivavamo come orchidee. In alcuni momenti di carestia ci
siamo fatti bastare un'emergenza meteo o una possibile crisi di governo
(capirai). Sappiamo ormai giocare solo coi pezzi neri: se prima la paura non
muove, noi non abbiamo strategia. Volevo invece ricordare - e farlo proprio in
questi giorni - che noi siamo vivi per realizzare delle idee, costruire qualche
paradiso, migliorare i nostri gesti, capire una cosa di più al giorno, e
completare, con un certo gusto magari, la creazione. Cosa c'entra la paura? La
nostra agenda dovrebbe essere dettata dalla voglia, non dalla paura. Dai
desideri. Dalle visioni, santo cielo, non dagli incubi.
9. (Questa è delicata. Astenersi
perditempo). A nessuno sfugge, in questi giorni, il dubbio di una certa
sproporzione tra il rischio reale e le misure per affrontarlo. Ce la possono
spiegare come vogliono, ma la sensazione resta: una certa sproporzione. Non
voglio infilarmi in quei paragoni che poi ti portano a raffrontare i morti di
Covid 19 con quelli causati dal diabete o dalla scivolosità ella cera da
pavimenti. Ma resta, ineliminabile, il dubbio che da qualche parte stiamo
scontando una certa incapacità a trovare una proporzione aurea tra l'entità del
rischio e l'entità delle contromisure. In parte la possiamo sicuramente mettere
in conto a quell'intelligenza là, quella novecentesca, alle sue logiche, alla
sua scarsa flessibilità, alla sua adorazione per lo specialismo. Tuttavia la
faccenda non si risolve lì. Se io cerco di guardare dentro quella sproporzione
che tanto ci infastidisce e interroga, alla fine trovo qualcosa che adesso è
dura da dire, ma come dicevo è il momento dell'audacia, quindi bisogna dirla.
C'è un'inerzia collettiva, dentro a quella apparente sproporzione, un
sentimento collettivo che tutti contribuiamo a costruire: abbiamo troppa paura
di morire. È come se il diritto alla salute (una fantastica conquista) si fosse
irrigidito in un impossibile diritto a una vita perenne, che d'altronde nessuno
ci può assicurare. Ora, il rapporto con la morte, e con la paura della morte, è
una cosa innanzitutto individuale, una faccenda che ognuno si gestisce da sé
(io per esempio me la cavo da schifo). Ma in seconda battuta la paura della
morte è anche un sentimento collettivo che le comunità degli umani sono da
sempre attente a edificare, limare, correggere, controllare. Per dire, la
civiltà di mio nonno, che ancora aveva bisogno delle guerre per mantenersi in
vita, stava attenta a tenere alta una certa "capacità di morte". Noi
siamo una civiltà che ha scelto la pace (in linea di massima) e dunque abbiamo
smesso di coltivare una collettiva abitudine a pensare la morte. Come comunità
la combattiamo, ma non la pensiamo. Invece, la meraviglia di una civiltà di
pace sarebbe proprio riuscire a pensare la morte di nuovo, e accettarla, non
con coraggio, con saggezza; non come un'offesa indicibile ma come un movimento
del nostro respiro, una semplice inflessione del nostro andare, forse la cresta
di un'onda che siamo e che non smetteremo mai di essere. Non è che un individuo
da solo, possa arrivare spesso a certe leggerezza di sentire: ma una comunità
sì, lo può fare. Delle comunità, in passato, sono state capaci di portare a
morire milioni dei loro figli per un ideale, bello o aberrante che fosse:
perché una comunità non dovrebbe essere capace di portare tutti i suoi figli a
capire che il primo modo di morire è avere troppa paura di farlo?
10. Molti si chiedono cosa accadrà dopo.
Una cosa possibile, mi tocca registrarlo, è che non ci sarà un dopo. Non nel
senso che moriremo tutti, no, ovviamente no, l'ho già detto. Ma in questo
senso: ci stiamo accorgendo che solo nelle situazioni di emergenza il sistema
torna a funzionare bene. Il patto tra gente e le élites si rinsalda, una certa
disciplina sociale viene ristabilita, ogni individuo si sente responsabilizzato,
si forma una solidarietà diffusa, cala il livello di litigiosità, ecc., ecc.
Insomma, per quanto possa sembrare assurdo, la macchina smette di perdere i
pezzi quando supera i duecento chilometri orari. Quindi è possibile che si
scelga, in effetti, di non scendere più sotto quella velocità:
l'emergenza come scenario cronico di tutto il nostro futuro. In questo senso il
caso Covid 19 ha tutta l'aria di essere la grande prova generale per il
prossimo livello del gioco, la missione finale: salvare il pianeta. L'emergenza
totale, cronica, lunghissima, in cui tutto tornerà a funzionare. Non so dire
francamente se sia uno scenario augurabile, ma non posso negare che una sua razionalità
ce l'ha. E anche abbastanza coerente con l'intelligenza del Game , che resta
un'intelligenza vagamente tossica, che ha bisogno di stimoli ripetuti e
intensi, che dà il meglio di sé in un clima di sfida, e che tutto sommato è
stato inventata da dei problem solver, non da dei poeti.
11. Ultima. Non me ne intendo, ma ci vuol
poco a capire che tutto quello che sta succedendo ci costerà un mucchio di
soldi. Molto peggio della crisi economica del 2009, a fiuto. Vorrei dire una
cosa: sarà un'opportunità enorme, storica. Se c'è un momento in cui sarà
possibile redistribuire la ricchezza e riportare le diseguaglianze sociali a un
livello sopportabile e degno, quel momento sta arrivando. Ai livelli di
diseguaglianza sociale su cui siamo attualmente attestati, nessuna comunità è
una comunità: fa finta di esserlo, ma non lo è. E' un problema che mina alla
base la salute del nostro sistema, che sbugiarda qualsiasi nostra ipotetica
felicità e che si divora qualsiasi nostra credibilità, come un cancro. La
difficoltà è che certe cose non si riformano, non si ottengono con un graduale,
farmaceutico miglioramento, non si migliorano un tantino al giorno, a piccole
dosi. Certe cose cambiano con un movimento di torsione violento, che fa male, e
che non pensavi di poter fare. Certe cose cambiano per uno choc gestito bene,
per una qualche crisi convertita in rinascita, per un terremoto vissuto senza
tremare. Lo choc è arrivato, la crisi la stiamo soffrendo, il terremoto non è
ancora passato. I pezzi ci sono tutti, sulla scacchiera, fanno tutti male, ma
ci sono: c'è una partita che ci aspetta da un sacco di tempo. Che sciocchezza
imperdonabile sarebbe avere paura di giocarla.
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