venerdì 24 aprile 2020

Vaccino coronavirus - Speranze e problematiche. Articolo della rivista "Le Scienze" proposta da Antonietta Fonnesu


Gran parte delle speranze di risolvere in modo più risolutivo la pandemia covid19 è affidata alla scoperta di un vaccino, sicuro ed efficace. Le notizie che circolano al riguardo sono confuse e alternano ottimismo a cautela. Il seguente articolo, proposto da Antonietta Fonnesu, fa un interessante a articolato punto, innanzitutto tecnico, della attuale situazione ed al contempo invita a tenere in grande considerazione anche gli aspetti di gestione politica della distribuzione equa dell’auspicato vaccino

Come far arrivare a tutti
un vaccino contro il coronavirus
Articolo di Roxanne Khamsi Rivista “Le scienze”

Trovare un vaccino contro COVID-19 non basterà a fermare la pandemia se non sarà prodotto e distribuito in modo da garantire una copertura globale, e non solo nei paesi più ricchi. Gli ostacoli da superare riguardano la strategia di produzione, che dipende dal tipo di vaccino prescelto, il finanziamento delle spese - stimate in un minimo di 3 miliardi di dollari - e il varo di accordi internazionali contro gli accaparramenti



Mentre il mondo cerca un modo per mettere fine alla pandemia di coronavirus, è iniziata la gara per trovare e produrre un vaccino. Alcune previsioni ottimistiche suggeriscono che potrebbe esserne disponibile uno tra 12-18 mesi, ma gli esperti già ammoniscono che forse non sarà possibile produrre abbastanza dosi per tutti e che i paesi ricchi potrebbero accaparrarne le scorte. Gli impianti necessari per la produzione dipenderanno da quale tipo di vaccino si dimostrerà più efficace. Alcuni ricercatori sostengono che governi e finanziatori privati dovrebbero sovvenzionare in anticipo i produttori di vaccini perché aumentino la propria capacità di produzione, anche se magari quegli impianti non saranno mai usati. Finanziamenti in questo senso sono stati promessi, ma l’offerta si ferma ben al di sotto dei miliardi di dollari che sono necessari secondo gli esperti di salute pubblica. Sarà anche necessario bilanciare le risorse per il coronavirus con il bisogno di altri vaccini. Gli impianti di produzione in tutto il mondo riescono a sfornare ogni anno centinaia di milioni di dosi di vaccini contro l’influenza e le aziende sono abituate ad aumentare la produzione nei periodi di maggiore richiesta. Ma se miliardi di persone avranno bisogno di un nuovo tipo di vaccino contro il coronavirus e le aziende continuano a produrre la solita gamma di vaccini contro influenza, morbillo, parotite, rosolia e altre malattie, i livelli di produzione possono rivelarsi carenti, dice David Heymann, specialista di malattie infettive alla London School of Hygiene and Tropical Medicine e a capo di un comitato consultivo dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per le emergenze connesse a malattie, come la pandemia di COVID-19. L’OMS afferma di lavorare anche a un piano per garantire la distribuzione equa dei vaccini, ma non è chiaro come lo si potrebbe imporre nella pratica. “Durante una pandemia, l’ultima cosa che vogliamo è che i vaccini siano accessibili solo ai paesi che li producono e non in modo universale”, sostiene Mariana Mazzucato, un’economista che dirige l’Institute for Innovation and Public Purpose allo University College di Londra. I limiti di approvvigionamento, sia fisici che politici, sono una “grande preoccupazione”, concorda Seth Berkley, che dirige GAVI, the Vaccine Alliance, un’organizzazione pubblico privata senza fini di lucro con sede a Ginevra, il cui obiettivo è di aumentare l’accesso alle vaccinazioni in tutto il mondo. Una delle grandi sfide per produrre grosse quantità di vaccino in poco tempo è il passaggio alla produzione su larga scala, perché le infrastrutture necessarie sono diverse a seconda del tipo di preparazione da produrre. Il vaccino potrebbe essere una versione indebolita o inattivata del coronavirus, oppure una parte di una sua proteina di superficie o ancora una sequenza di RNA o DNA, iniettata nel corpo all’interno di una nanoparticella o di un altro virus, lper esempio quello del morbillo. Potrebbe essere necessario coltivarlo in vasche di cellule, crearlo con una macchina che sintetizza RNA o DNA, o addirittura farlo crescere su piante di tabacco. Se a dimostrarsi più efficaci saranno i vaccini messi a punto a partire da forme inattivate di SARS-CoV-2, dovrebbe essere più facile stimare che cosa serve per produrne tante dosi, perché la tecnologia industriale per questo processo esiste almeno dagli anni cinquanta, afferma Felipe Tapia, che studia ingegneria dei bioprocessi all'Istituto Max Planck di dinamica dei sistemi tecnici complessi di Magdeburgo, in Germania. Ciò detto, la produzione e la purificazione del virus SARS-CoV-2 intero ad alte concentrazioni può richiedere impianti con livello di biosicurezza 3 certificato. Queste strutture sono rare, continua Tapia, e forse è per questo che pochissime aziende stanno portando avanti tentativi con questo approccio. Sono oltre una decina le aziende che esplorano la possibilità di iniettare nel corpo formulazioni di RNA o di DNA che spingerebbero le nostre cellule a produrre una delle proteine usate dal SARS-CoV-2. “Le piattaforme RNA e DNA possono comportare un processo più semplice, per cui è probabile che sia più facile iniziarne una produzione su larga scala”, sostiene Charlie Weller, a capo del programma vaccini di Wellcome, un ente che finanzia la ricerca biomedica a Londra. Però finora nessun vaccino basato su questo approccio è stato approvato per l’uso negli esseri umani, per nessuna malattia. Un’azienda che sta conducendo sperimentazioni su questa linea è Moderna, con sede a Cambridge, in Massachusetts, che a metà marzo ha iniettato a un volontario il primo vaccino sperimentale a RNA contro il coronavirus; un’altra è CureVac, a Tubinga, in Germania, che afferma di avere a disposizione gli impianti necessari per produrre fino a 400 milioni di dosi l’anno del suo vaccino a RNA. Entrambi i tentativi hanno ricevuto fondi dalla Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI), un fondo di finanziamento con sede a Oslo, lanciato nel 2017 in forma di alleanza globale per finanziare e coordinare i vaccini in caso di epidemie. CEPI ha annunciato sovvenzioni anche per altri sei gruppi di ricerca sui vaccini, tra cui una collaborazione che intende rielaborare un vaccino contro il morbillo in modo che produca all’interno del corpo una proteina immunizzante contro il SARS-CoV-2. Come spiega Marie Paule Kieny, virologa e direttrice della ricerca all’INSERM, l’istituto nazionale francese per la ricerca biomedica, se questo metodo avesse successo forse si potrebbero usare gli impianti di produzione del vaccino contro il morbillo per preparare quello contro COVID-19. E’ però probabile che sarebbe necessario aumentarne la capacità, per evitare di interferire con il loro scopo originario, avverte la virologa. Altri elementi del processo produttivo potrebbero creare colli di bottiglia. I vaccini “a subunità”, composti da una proteina di SARS-CoV-2, o da un frammento chiave di una di queste proteine, spesso hanno bisogno di adiuvanti, molecole aggiunte per aumentare la risposta immunitaria. Questi possono richiedere ingredienti che durante una pandemia possono scarseggiare, per esempio lipidi specifici, afferma Jaap Venema, direttore scientifico di US Pharmacopeia (USP), un ente non governativo di Rockville, nel Maryland, che collabora a determinare gli standard di qualità dei farmaci. Un’altra idea per produrre i vaccini in fretta è quella di usare le piante. In aprile, il grande produttore di sigarette British American Tobacco (BAT) ha annunciato che intende coltivare vaccini (sviluppati dalla sua controllata Kentucky BioProcessing) nelle piante di tabacco a crescita rapida. Venema fa però notare che questi prodotti vaccinali a base vegetale sono sottoposti a vincoli normativi aggiuntivi, per esempio il rispetto delle regole sugli organismi geneticamente modificati, per cui potrebbe rivelarsi molto difficile velocizzare il processo. Una domanda aperta riguarda come assicurare che i governi di tutto il mondo e le aziende investano abbastanza fondi adesso perché i vaccini si possano produrre rapidamente nel 2021. La CEPI afferma che per sviluppare i vaccini candidati e produrne la quantità necessaria per le sperimentazioni sono necessari fondi per almeno due miliardi di dollari a livello globale, dei quali finora i governi nazionali hanno promesso 690 milioni. Quando si sarà individuato un vaccino efficace contro SARS-CoV-2, sarà necessario un altro miliardo di dollari per produrlo e distribuirlo a livello mondiale, aggiunge CEPI. Ma potrebbe rivelarsi necessario stanziare molti altri miliardi di dollari per aiutare le aziende ad aumentare la propria capacità produttiva, anche se questa alla fine potrebbe rimanere inutilizzata, ha osservato all’agenzia di comunicazione STAT l’amministratore delegato di CEPI Richard Hatchett. Anche il filantropo miliardario Bill Gates, codirettore della Bill & Melinda Gates Foundation di Seattle, sostiene che le strutture vanno costruite in anticipo. Gates ha dichiarato alla stampa statunitense che la sua fondazione avrebbe contribuito a finanziare questo approccio  “semplicemente per non perdere tempo” finché non sapremo quale piattaforma sarà la più efficace per il vaccino. Però la Gates Foundation non ha fornito altri dettagli quando è stata contattata per questo articolo. Un’azienda che si è assicurata un grosso investimento è il gigante farmaceutico Johnson & Johnson, che a Marzo ha annunciato una collaborazione con la Biomedical Advanced Research and Development Authority del governo degli Stati Uniti per il valore di un miliardo di dollari, con l’obiettivo di sviluppare un vaccino basato su una versione modificata di un adenovirus. Il progetto include un piano per aumentare rapidamente la capacità produttiva, con l’obiettivo di “offrire una fornitura globale di oltre un miliardo di dosi di vaccino”. (In una prima indicazione di prezzo, Paul Stoffels, direttore scientifico dell’azienda, ha ipotizzato che in teoria il vaccino potrrebbe costare circa 10 dollari o 10 euro a dose.) Ohid Yaqub, ricercatore sulle politiche sanitarie all’Università del Sussex a Brighton, nel Regno Unito, afferma che i governi potrebbero aiutare i produttori di vaccini a prepararsi per il futuro indicando quante dosi intendono acquistare e a chi raccomanderanno la vaccinazione. Un passo ulteriore sarebbe quello di stabilire quelli che si chiamano impegni anticipati di mercato, ossia di impegnarsi all’acquisto di farmaci a un prezzo specifico prima che il  vaccino sia approvato, come è avvenuto per la distribuzione del vaccino antipneumococco ai bambini attraverso GAVI. Berkley e altri sostengono anche che alcuni paesi donatori potrebbero vendere obbligazioni agli investitori per finanziare i vaccini per le popolazioni che non se li possono permettere. Anche questo approccio è già stato impiegato con successo:  l’International Finance Facility for Immunisation (IFFIm) l’ha usato per raccogliere i fondi per i vaccini somministrati da GAVI ai bambini. Però, anche producendo il vaccino in grandi quantità, non sembra ci sia modo di obbligare i paesi a condividerlo. Durante la pandemia di influenza H1N1del 2009, l’Australia fu tra i primi a creare un vaccino, ma non lo esportò subito perché prima voleva assicurarsi di avere le dosi per i suoi cittadini, dice Amesh Adalja del Johns Hopkins Center for Health Security di Baltimora, nel Maryland. “Quasi tutti i paesi hanno in vigore leggi che permettono al governo di obbligare i produttori a vendere internamente, e non prevedo che le cose cambino”, spiega.  CEPI afferma che ancora non c’è un accordo sui principi o sulle regole per un sistema di distribuzione equa che si possa incorporare nei contratti e che sia applicabile e attuabile in maniera uniforme. Non esiste neanche un ente globale responsabile di ordinare e pagare la produzione di vaccini su scala mondiale. “Questa è una sfida che i governi, i leader sanitari mondiali e i legislatori devono affrontare con urgenza e collettivamente mentre continua lo sviluppo del vaccino contro COVID-19”, afferma Mario Christodoulou, direttore delle comunicazioni di CEPI. In passato l’OMS ha cercato di intervenire per far sì che le scorte di vaccino fossero divise equamente, afferma Alexandra Phelan, del Center for Global Health Science and Security della Georgetown University a Washington DC. Dopo l’insorgere dell’epidemia di H5N1 in paesi come la Cina, l’Egitto e l’Indonesia, gli stati membri dell’OMS adottarono una risoluzione chiamata Pandemic Influenza Preparedness (PIP) Framework. Ai sensi dell’accordo PIP, i paesi forniscono campioni di virus a una rete di laboratori coordinati dall’OMS, con l’intesa che in caso di pandemia influenzale l’organizzazione ne terrebbe conto per l’accesso alle scorte OMS di vaccini, strumenti diagnostici e farmaci. Tuttavia l’accordo PIP è pensato per l’influenza e quindi non si applica all’attuale epidemia di coronavirus. Le nazioni potrebbero arrivare a un accordo simile al PIP anche per la pandemia attuale, ma è molto improbabile che una bozza di accordo sia pronta in tempo per l’Assemblea mondiale della sanità in programma a maggio, quando gli stati membri dovrebbero votarla. Inoltre, dato che SARS-CoV-2 è già ampiamente in circolazione, non è chiaro se un accordo di questo genere potrebbe funzionare, perché i produttori di vaccini hanno già accesso ai campioni di virus provenienti dai laboratori privati, afferma Phelan. È possibile che per quando ci sarà un vaccino gran parte del mondo sarà già stato infettato dal nuovo coronavirus. Anche in quel caso, però, molti potranno volere il vaccino per migliorare l’immunità. E pensare ad assicurare una sufficiente capacità di produzione dei vaccini per qualsiasi epidemia futura continua a essere di importanza vitale, sostiene Yaqub. “Il pensiero di come produrre vaccini in modo efficiente, affidabile e sicuro ci sarà sempre – afferma – anche se non riuscissimo a ottenere un vaccino contro il coronavirus o se trovassimo altri modi per affrontarlo.”
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(L'originale di questo articolo è stato pubblicato su "Scientific American" il 9 aprile 2020 Traduzione di Francesca Bernardis, editing a cura di Le Scienze)

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