Gran parte delle speranze di risolvere in
modo più risolutivo la pandemia covid19 è affidata alla scoperta di un vaccino,
sicuro ed efficace. Le notizie che circolano al riguardo sono confuse e
alternano ottimismo a cautela. Il seguente articolo, proposto da Antonietta
Fonnesu, fa un interessante a articolato punto, innanzitutto tecnico, della
attuale situazione ed al contempo invita a tenere in grande considerazione
anche gli aspetti di gestione politica della distribuzione equa dell’auspicato
vaccino
Come far arrivare a tutti
un vaccino contro il coronavirus
Articolo di Roxanne Khamsi Rivista “Le scienze”
Trovare un vaccino contro COVID-19 non basterà a fermare
la pandemia se non sarà prodotto e distribuito in modo da garantire una
copertura globale, e non solo nei paesi più ricchi. Gli ostacoli da superare
riguardano la strategia di produzione, che dipende dal tipo di vaccino
prescelto, il finanziamento delle spese - stimate in un minimo di 3 miliardi di
dollari - e il varo di accordi internazionali contro gli accaparramenti
Mentre il mondo
cerca un modo per mettere fine alla pandemia di coronavirus, è iniziata la gara per trovare e
produrre un vaccino. Alcune previsioni ottimistiche suggeriscono che potrebbe
esserne disponibile uno tra 12-18 mesi, ma gli esperti già ammoniscono che
forse non sarà possibile
produrre abbastanza dosi per tutti e che i paesi ricchi potrebbero accaparrarne
le scorte. Gli impianti necessari per la produzione dipenderanno da quale tipo
di vaccino si dimostrerà più efficace. Alcuni ricercatori sostengono che
governi e finanziatori privati dovrebbero sovvenzionare in anticipo i
produttori di vaccini perché aumentino la propria capacità di produzione, anche
se magari quegli impianti non saranno mai usati. Finanziamenti in questo senso
sono stati promessi, ma l’offerta si ferma ben al di sotto dei miliardi di
dollari che sono necessari secondo gli esperti di salute pubblica. Sarà anche
necessario bilanciare le risorse per il coronavirus con il bisogno di altri
vaccini. Gli impianti di produzione in tutto il mondo riescono a sfornare ogni
anno centinaia di milioni di dosi di vaccini contro l’influenza e le aziende
sono abituate ad aumentare la produzione nei periodi di maggiore richiesta. Ma
se miliardi di persone avranno bisogno di un nuovo tipo di vaccino contro il
coronavirus e le aziende continuano a produrre la solita gamma di vaccini
contro influenza, morbillo, parotite, rosolia e altre malattie, i livelli di
produzione possono rivelarsi carenti, dice David Heymann, specialista di
malattie infettive alla London School of Hygiene and Tropical Medicine e a capo
di un comitato consultivo dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per
le emergenze connesse a malattie, come la pandemia di COVID-19. L’OMS afferma di
lavorare anche a un piano per garantire la distribuzione equa dei vaccini, ma non è chiaro come
lo si potrebbe imporre nella pratica. “Durante una pandemia, l’ultima cosa che vogliamo è
che i vaccini siano accessibili solo ai paesi che li producono e non in modo
universale”, sostiene Mariana Mazzucato, un’economista che dirige l’Institute
for Innovation and Public Purpose allo University College di Londra. I limiti
di approvvigionamento, sia fisici che politici, sono una “grande
preoccupazione”, concorda Seth Berkley, che dirige GAVI, the Vaccine Alliance,
un’organizzazione pubblico privata senza fini di lucro con sede a Ginevra, il
cui obiettivo è di aumentare l’accesso alle vaccinazioni in tutto il mondo. Una
delle grandi sfide per produrre grosse quantità di vaccino in poco tempo è il
passaggio alla produzione su larga scala, perché le infrastrutture necessarie
sono diverse a seconda del tipo di preparazione da produrre. Il vaccino
potrebbe essere una versione indebolita o inattivata del coronavirus, oppure
una parte di una sua proteina di superficie o ancora una sequenza di RNA o DNA,
iniettata nel corpo all’interno di una nanoparticella o di un altro virus, lper
esempio quello del morbillo. Potrebbe essere necessario coltivarlo in vasche di
cellule, crearlo con una macchina che sintetizza RNA o DNA, o addirittura farlo
crescere su piante di tabacco. Se a dimostrarsi più efficaci saranno i vaccini
messi a punto a partire da forme inattivate di SARS-CoV-2, dovrebbe essere più
facile stimare che cosa serve per produrne tante dosi, perché la tecnologia
industriale per questo processo esiste almeno dagli anni cinquanta, afferma
Felipe Tapia, che studia ingegneria dei bioprocessi all'Istituto Max Planck di dinamica
dei sistemi tecnici complessi di Magdeburgo, in Germania. Ciò detto, la produzione
e la purificazione del virus SARS-CoV-2 intero ad alte concentrazioni può richiedere
impianti con livello di biosicurezza 3 certificato. Queste strutture sono rare,
continua Tapia, e forse è per questo che pochissime aziende stanno portando
avanti tentativi con questo approccio. Sono oltre una decina le aziende che
esplorano la possibilità di iniettare nel corpo formulazioni di RNA o di DNA
che spingerebbero le nostre cellule a produrre una delle proteine usate dal
SARS-CoV-2. “Le piattaforme RNA e DNA possono comportare un processo più
semplice, per cui è probabile che sia più facile iniziarne una produzione su larga
scala”, sostiene Charlie Weller, a capo del programma vaccini di Wellcome, un
ente che finanzia la ricerca biomedica a Londra. Però finora nessun vaccino
basato su questo approccio è stato approvato per l’uso negli esseri umani, per
nessuna malattia. Un’azienda che sta conducendo sperimentazioni su questa linea
è Moderna, con sede a Cambridge, in Massachusetts, che a metà marzo ha
iniettato a un volontario il primo vaccino sperimentale a RNA contro il
coronavirus; un’altra è CureVac, a Tubinga, in Germania, che afferma di avere a
disposizione gli impianti necessari per produrre fino a 400 milioni di dosi
l’anno del suo vaccino a RNA. Entrambi i tentativi hanno ricevuto fondi dalla
Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI), un fondo di
finanziamento con sede a Oslo, lanciato nel 2017 in forma di alleanza globale per
finanziare e coordinare i vaccini in caso di epidemie. CEPI ha annunciato
sovvenzioni anche per altri sei gruppi di ricerca sui vaccini, tra cui una collaborazione
che intende rielaborare un vaccino contro il morbillo in modo che produca all’interno
del corpo una proteina immunizzante contro il SARS-CoV-2. Come spiega Marie Paule
Kieny, virologa e direttrice della ricerca all’INSERM, l’istituto nazionale
francese per la ricerca biomedica, se questo metodo avesse successo forse si
potrebbero usare gli impianti di produzione del vaccino contro il morbillo per
preparare quello contro COVID-19. E’ però probabile che sarebbe necessario
aumentarne la capacità, per evitare di interferire con il loro scopo
originario, avverte la virologa. Altri elementi del
processo produttivo potrebbero creare colli di bottiglia. I vaccini “a subunità”, composti da
una proteina di SARS-CoV-2, o da un frammento chiave di una di queste proteine,
spesso hanno bisogno di adiuvanti, molecole aggiunte per aumentare la risposta
immunitaria. Questi possono richiedere ingredienti che durante una pandemia possono
scarseggiare, per esempio lipidi specifici, afferma Jaap Venema, direttore scientifico di US
Pharmacopeia (USP), un ente non governativo di Rockville, nel Maryland, che collabora a
determinare gli standard di qualità dei farmaci. Un’altra idea per produrre i
vaccini in fretta è quella di usare le piante. In aprile, il grande produttore
di sigarette British American Tobacco (BAT) ha annunciato che intende coltivare
vaccini (sviluppati dalla sua controllata Kentucky BioProcessing) nelle piante
di tabacco a crescita rapida. Venema fa però notare che questi prodotti
vaccinali a base vegetale sono sottoposti a vincoli normativi aggiuntivi, per
esempio il rispetto delle regole sugli organismi geneticamente modificati, per
cui potrebbe rivelarsi molto difficile velocizzare il processo. Una domanda
aperta riguarda come assicurare che i governi di tutto il mondo e le aziende investano
abbastanza fondi adesso perché i vaccini si possano produrre rapidamente nel 2021.
La CEPI afferma che per sviluppare i vaccini candidati e produrne la quantità necessaria
per le sperimentazioni sono necessari fondi per almeno due miliardi di dollari
a livello globale, dei quali finora i governi nazionali hanno promesso 690
milioni. Quando si sarà individuato un vaccino efficace contro SARS-CoV-2, sarà
necessario un altro miliardo di dollari per produrlo e distribuirlo a livello
mondiale, aggiunge CEPI. Ma potrebbe rivelarsi necessario stanziare molti altri
miliardi di dollari per aiutare le aziende ad aumentare la propria capacità
produttiva, anche se questa alla fine potrebbe rimanere inutilizzata, ha
osservato all’agenzia di comunicazione STAT l’amministratore delegato di CEPI
Richard Hatchett. Anche il filantropo miliardario Bill Gates, codirettore della
Bill & Melinda Gates Foundation di Seattle, sostiene che le strutture vanno
costruite in anticipo. Gates ha dichiarato alla stampa statunitense che la sua
fondazione avrebbe contribuito a finanziare questo approccio “semplicemente per non perdere tempo” finché
non sapremo quale piattaforma sarà la più efficace per il vaccino. Però la
Gates Foundation non ha fornito altri dettagli quando è stata contattata per
questo articolo. Un’azienda che si è assicurata un grosso investimento è il
gigante farmaceutico Johnson & Johnson, che a Marzo
ha annunciato una collaborazione con la Biomedical Advanced Research and
Development Authority del governo degli Stati Uniti per il valore di un
miliardo di dollari, con l’obiettivo di sviluppare un vaccino basato su una
versione modificata di un adenovirus. Il progetto include un piano per
aumentare rapidamente la capacità produttiva, con l’obiettivo di “offrire una
fornitura globale di oltre un miliardo di dosi di vaccino”. (In una prima
indicazione di prezzo, Paul Stoffels, direttore scientifico dell’azienda, ha
ipotizzato che in teoria il vaccino potrrebbe costare circa 10 dollari o 10
euro a dose.) Ohid Yaqub, ricercatore sulle politiche sanitarie all’Università
del Sussex a Brighton, nel Regno Unito, afferma che i governi potrebbero
aiutare i produttori di vaccini a prepararsi per il futuro indicando quante
dosi intendono acquistare e a chi raccomanderanno la vaccinazione. Un passo ulteriore
sarebbe quello di stabilire quelli che si chiamano impegni anticipati di mercato, ossia di
impegnarsi all’acquisto di farmaci a un prezzo specifico prima che il vaccino sia approvato, come è avvenuto per la
distribuzione del vaccino antipneumococco ai bambini attraverso GAVI. Berkley e
altri sostengono anche che alcuni paesi donatori potrebbero vendere
obbligazioni agli investitori per finanziare i vaccini per le popolazioni che
non se li possono permettere. Anche questo approccio è già stato impiegato con
successo: l’International Finance
Facility for Immunisation (IFFIm) l’ha usato per raccogliere i fondi per i
vaccini somministrati da GAVI ai bambini. Però, anche producendo il vaccino in
grandi quantità, non sembra ci sia modo di obbligare i paesi a condividerlo.
Durante la pandemia di influenza H1N1del 2009, l’Australia fu tra i primi a
creare un vaccino, ma non lo esportò subito perché prima voleva assicurarsi di
avere le dosi per i suoi cittadini, dice Amesh Adalja del Johns Hopkins Center
for Health Security di Baltimora, nel Maryland. “Quasi tutti i paesi hanno in
vigore leggi che permettono al governo di obbligare i produttori a vendere
internamente, e non prevedo che le cose cambino”, spiega. CEPI afferma che ancora non c’è un accordo sui
principi o sulle regole per un sistema di distribuzione equa che si possa
incorporare nei contratti e che sia applicabile e attuabile in maniera
uniforme. Non esiste neanche un ente globale responsabile di ordinare e pagare
la produzione di vaccini su scala mondiale. “Questa è una sfida che i governi,
i leader sanitari mondiali e i legislatori devono affrontare con urgenza e
collettivamente mentre continua lo sviluppo del vaccino contro COVID-19”, afferma
Mario Christodoulou, direttore delle comunicazioni di CEPI. In passato l’OMS ha
cercato di intervenire per far sì che le scorte di vaccino fossero divise equamente,
afferma Alexandra Phelan, del Center for Global Health Science and Security della
Georgetown University a Washington DC. Dopo l’insorgere dell’epidemia di H5N1
in paesi come la Cina, l’Egitto e l’Indonesia, gli stati membri dell’OMS
adottarono una risoluzione chiamata Pandemic Influenza Preparedness (PIP)
Framework. Ai sensi dell’accordo PIP, i paesi forniscono campioni di virus a
una rete di laboratori coordinati dall’OMS, con l’intesa che in caso di
pandemia influenzale l’organizzazione ne terrebbe conto per l’accesso alle
scorte OMS di vaccini, strumenti diagnostici e farmaci. Tuttavia l’accordo PIP
è pensato per l’influenza e quindi non si applica all’attuale epidemia di coronavirus.
Le nazioni potrebbero arrivare a un accordo simile al PIP anche per la pandemia
attuale, ma è molto improbabile che una bozza di accordo sia pronta in tempo
per l’Assemblea mondiale della sanità in programma a maggio, quando gli stati
membri dovrebbero votarla. Inoltre, dato che SARS-CoV-2 è già ampiamente in
circolazione, non è chiaro se un accordo di questo genere potrebbe funzionare,
perché i produttori di vaccini hanno già accesso ai campioni di virus
provenienti dai laboratori privati, afferma Phelan. È possibile che per quando
ci sarà un vaccino gran parte del mondo sarà già stato infettato dal nuovo
coronavirus. Anche in quel caso, però, molti potranno volere il vaccino per
migliorare l’immunità. E pensare ad assicurare una sufficiente capacità di
produzione dei vaccini per qualsiasi epidemia futura continua a essere di
importanza vitale, sostiene Yaqub. “Il pensiero di come produrre vaccini in
modo efficiente, affidabile e sicuro ci sarà sempre – afferma – anche se non
riuscissimo a ottenere un vaccino contro il coronavirus o se trovassimo altri
modi per affrontarlo.”
------------------------(L'originale di questo articolo è stato pubblicato su "Scientific American" il 9 aprile 2020 Traduzione di Francesca Bernardis, editing a cura di Le Scienze)
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