La convinta e diffusa
adesione alla prima versione del “Io resto a casa”, ricordiamo tutti le canzoni
dai balconi e il fiorire dei cartelli “andrà tutto bene”, sembra purtroppo
essersi via via ridimensionata anche perché non poco soffocata dal successivo
incalzare di norme e codicilli, sempre più pesanti, sempre più confusi, sempre
più diversi da Regione a Regione. Quella che, sull’onda della reazione ad un eccezionale
evento pandemico, sembrava essere una occasione straordinaria di rinascita di
senso civico e di appartenenza comunitaria non pare proprio essere stata
confortata dal proliferare dei provvedimenti legislativi affidati alla
decretazione d’urgenza. Per non disperdere ulteriormente questa potenzialità,
indispensabile per uscire dall’emergenza e per avviare una vera ripresa, è necessario
recuperare e valorizzare la partecipazione ed il senso di responsabilità di
tutti noi cittadini. Per farlo occorre che la “norma” non incida negativamente in questo
senso. Il seguente articolo di Gustavo Zagrebelsky ci offre proprio una
lucidissima lettura del rapporto fra Norme e Responsabilità
La pandemia
e i decreti di Conte:
se non basta
obbedire
Articolo di Gustavo Zagrebelsky - La Repubblica del 29 APRILE
La nostra responsabilità di fronte
al virus: il difetto è la confusione tra due concetti, uno giuridico e l'altro
etico
Bisogna leggerli
per rendersi conto di qualcosa di meraviglioso e, al tempo stesso, di
patologico nel rapporto tra governo e cittadini. Parlo dei Dpcm - i decreti del
presidente del Consiglio dei ministri, acronimo del nostro tempo, misterioso e
minaccioso - sul contenimento della diffusione dell'infezione virale. Sono
testi meravigliosi nel senso etimologico della parola: stupefacenti. Mi
riferisco all'idea di base: che le abitudini, le attività e le esigenze
materiali e spirituali delle persone siano materia inerte, modellabile come
cera fin nei più piccoli dettagli. Modellabile attraverso atti d'autorità che
aprono e chiudono, concedono e vietano, impongono e consigliano, disapprovano,
esortano e raccomandano. L'essere umano non come persona naturalis capace di autodeterminazione,
ma come persona legalis forgiata dalla legge: l'ideale del giuridicismo
estremo. Nelle 70 pagine dell'ultimo Dpcm con i suoi allegati c'è il
disciplinamento di buona parte delle nostre giornate, in casa propria, per
strada, nei luoghi di lavoro e di ricreazione, nelle scuole, nei negozi, nei
ristoranti e nelle mense, nei parchi pubblici e nel modo di sedere e di salire
e scendere dai mezzi di trasporto, eccetera. Leggiamo di divieti di
spostamento, di obblighi di distanziamento, di modalità di comportamento
super-dettagliate perfino sul modo di starnutire, soffiarsi il naso, collocare
le mascherine tra il mento e il naso medesimo. Le situazioni personali e
personalissime, come la deambulazione e l'esercizio fisico, le occasioni di
socialità come nei ritrovi amicali nelle case, nei servizi funebri, nelle
cerimonie religiose e nei raduni in luoghi pubblici o aperti al pubblico sono
oggetto di minutissima descrizione e regolamentazione. Le attività industriali,
commerciali e professionali sono distinte in categorie dettagliatissime, dagli
estetisti e parrucchieri ai lavoratori negli iper-mercati e nelle fabbriche. Leggiamo
ammirati questa enciclopedia. Gli storici che, nel quarto millennio, si
chiederanno come si viveva nel nostro inizio del terzo, troveranno in questo
documento una summa che esaudirà e quasi esaurirà le loro curiosità.
Apprenderanno che c'erano passeggiate solitarie e in coppia, cinematografi,
teatri, pub, scuole di ballo, sale giochi scommesse e bingo, discoteche e
locali assimilati (?). L'insidia del virus epidemico è invasiva al massimo
grado e, dunque, la risposta non può essere grossolana e generica. Questo è
ovvio. Tanti, anzi tantissimi, sono i momenti e i luoghi dell'esistenza che
offrono occasioni all'infezione. Giusto che si faccia attenzione a tutte le
pieghe in cui il contagio può insinuarsi e riprodursi. Solo certi giuristi
credono, però, che le abitudini di vita si possano cambiare a colpi di decreti:
le abitudini si cambiano con altre abitudini, non soltanto con le leggi. In
qualunque società libera, le leggi senza le abitudini soccombono o, comunque,
durano poco. Prima o poi, la loro efficacia, senza la collaborazione dei
cittadini, perde mordente e rischia di finire come le grida impotenti del tempo
di un'altra epidemia, quattrocento anni fa. Già ora si riscontra, nei discorsi
e nelle condotte del tempo del coronavirus, un distacco, un'indifferenza e
un'insofferenza crescenti. All'allentamento del timore o anche all'abitudine al
pericolo corrisponde l'allentamento dei comportamenti. C'è perfino un inizio di
teorizzazione in nome della libertà: che m'importa della salute e addirittura
della vita se mi si priva della libertà? Nobilissimo è l'argomento. Ignora
però, e questo è molto meno nobile, il piccolo particolare che nelle infezioni
epidemiche in gioco non c'è solo la propria salute, la propria vita, la propria
libertà, ma anche quella degli altri. È la tipica situazione "olista"
in cui bene e male del singolo e di tutti si convertono l'uno nell'altro. L'argomento
della libertà, come dotazione individuale, non vale. È un prezzo che la libertà
individuale paga alla "globalizzazione", la globalizzazione dei
rischi. Non c'è oggi una questione di "deriva autoritaria" o di
"corsa ai pieni poteri", secondo categorie ricevute dal passato e
usate per interpretare il momento presente. Almeno così mi pare. Anzi, mi
paiono eccessivi e, talora, anche ridicoli gli alti lai sulla democrazia
sospesa, sulla Costituzione violata, sui proclami al Paese di stampo peronista
del presidente del Consiglio, eccetera. Mi chiedo quanto ci sia di esagerato e
di strumentale in questi "al lupo, al lupo" e quanta incomprensione
della natura del problema che abbiamo di fronte a noi. La critica, piuttosto,
mi pare debba essere indirizzata altrove: in quella pretesa di trasformarci in
persone modellate giuridicamente, di cui si diceva all'inizio, come se la virtù
del buon cittadino sia di essere semplicemente un "osservante" che
s'inchina a un legislatore onnipossente. In una società libera e di fronte a
problemi dove il bene dei singoli e il bene di tutti si implicano strettamente,
la legge incontra limiti di efficacia se non può contare sulla partecipazione
responsabile di ciascuno e di tutti. E questa è una questione etica. Orbene, i
Dpcm da cui siamo partiti mescolano vere e proprie prescrizioni giuridiche, con
annessa comminazione di sanzioni, a consigli ed esortazioni che, evidentemente,
di giuridico hanno poco o nulla ma riguardano l'assunzione di condotte autonome
e responsabili. Bene sarebbe distinguere: una cosa è l'ubbidienza, altra cosa è
la responsabilità. Il difetto è la confusione. La prima è cosa giuridica, la
seconda è cosa etica. I mezzi per promuovere l'ubbidienza non sono quelli per
promuovere la responsabilità. Anche quest'ultima implica doveri, ma sono doveri
autonomi che ciascuno impone a se stesso in nome della libertà propria e degli
altri, in nome cioè della solidarietà. Mescolare ubbidienza e responsabilità è
cosa contraria alla natura dell'una e dell'altra, come mescolare soggezione e
adesione, vincolo e libertà. Chiamare all'ubbidienza e sollecitare la
responsabilità sono cose profondamente diverse. A ciascuno il suo: al governo
le prescrizioni giuridiche (vietare, consentire e imporre), alla società nelle
sue tante articolazioni, la promozione dell'etica della responsabilità.
Caro Gustavo permetti che un'82enne segregata dall'età e dagli acciacchi ti risponda. Fino a qual punto l'attuale articolazione sociale nazionale e mondiale è inquinata da interessi corporativi di stampo mafioso e criminale? Dove:e' caro Gustavo quell'EDUCAZIONE alla quale tanti come me hanno dedicato la vita cercando di e ducare tanti giovani insieme alle famiglie e ai loro insegnanti alla conquista e al mantenimento del principio ETICO della responsabilità personale e collettiva? Certo normare con decreti significa confondere giuridico con etico
RispondiEliminaMa solo l'esercizio diiturno dell'educazione con la SCUOLA può consentire di raggiungere l'obiettivo. Cari saluti
Mariangela Ranzini Colombo