venerdì 1 aprile 2016

La parola del mese - APRILE 2016


LA PAROLA DEL MESE 

A turno si propone una parola, evocativa di pensieri collegabili ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni

Aprile 2016
 

Comunita’

Dal latino “comunitas” (comunanza) derivato da “comunis” (comune)  - contiene diverse accezioni riferibili ad ambiti diversi, la definizione che qui più interessa è:

 
insieme di individui che condividono lo stesso ambiente fisico e tecnologico, formando un gruppo riconoscibile, unito da vincoli organizzativi, linguistici, religiosi, economici, interessi e consuetudini comuni, e più in generale da un elemento di comunione riconosciuto come tale dagli individui stessi, tali da farlo perseguire fini comuni

1 commento:

  1. Alle considerazioni di Massima aggiungo qualche breve nota da modesta raccoglitrice di memorie. Alcuni di voi ricorderanno certo quegli incontri che abbiamo impostato alcuni anni fa in Biblioteca, attivando e mescolando ricordi d’infanzia sotto l’auspicio di una delle città invisibili di Calvino (quell’Eufemia dove persone di ogni luogo e colore intrecciano e confondono i loro ricordi al bagliore dei fuochi accesi nella notte).
    In quei momenti conviviali, la parola comunità era spesso presente in una delle sue svariate forme – potevano essere cortili, quartieri, spazi di vicinato o altri variamente associativi – ma sempre con un duplice volto. Quello amabile, che dava al nostro infantile scoprire il mondo occasioni di confronto e di apprendimento e dove i molti sguardi che ci circondavano permettevano paradossalmente al nostro esplorare una libertà che poteva essere ben più ampia di quella oggi possibile, perché eravamo in un certo senso figli di molti. D’altro canto avremmo ben presto percepito un volto meno accattivante, che stringeva sotto norme cogenti legate alla tradizione il nostro diventare grandi, scandendolo in tempi ben precisi, in ruoli attentamente definiti, in attività consentite o altrimenti vietate o inibite… Certo questo non ci ha impedito di contrastare queste norme, quando il tempo della storia per motivi diversi si è reso favorevole ad un movimento evolutivo, nondimeno abbiamo ben potuto sentirne ancora il peso e questo ci consente di capire ora come possa essere soffocante e marcato in comunità diverse, ancora più codificate e statiche di quella in cui abbiamo avuto la ventura di crescere.
    Questa duplicità, così evidente nei nostri ricordi, mi fa pensare in effetti ad una delle più celebri figure ambigue in cui alternativamente scorgiamo la sagoma lieve della dama piumata e il volto repellente della vecchia megera. Perché la comunità può essere – e qui torno alle suggestioni filosofiche, nello specifico al tema dell’utopia e della distopia che abbiamo di recente approfondito – lo spazio in cui il singolo si invera, e in cui il particolare e l’universale si possono comporre in modo virtuoso (tale era in effetti la Città del Sole immaginata da Campanella, se la guardiamo dal lato dell’utopia) ma anche il luogo dove l’abolizione della proprietà privata e dei legami familiari viene a negare un profondo bisogno dell’uomo creando le premesse di un suo rovesciamento distopico, che parimenti è possibile intravedere sia pure sotto traccia nella troppo accentuata uniformità della felice isola di Moro. Sebbene Paola Gatti, in un suo intervento sul tema, affermi che questa visione ambivalente delle due celebri utopie sia il frutto di un’interpretazione errata, che non sa separare la scelta metodologica compiuta da questi autori dalla loro intenzione “ virtuosa” di reagire alle spaventose condizioni del loro tempo offrendo materiali di pensiero evolutivo, nondimeno personalmente sono sensibile a questa possibilità di rovesciamento distopico. Nutro pertanto come Massima una certa diffidenza per le spinte comunitariste, anche se ritengo che l’universalismo “classico” vada certamente ripensato alla luce delle esigenze di riconoscimento e di particolarità senza cui i soggetti resterebbero imbrigliati in un’isola non necessariamente felice.

    RispondiElimina