lunedì 9 maggio 2016

Acrescita - saggio dell'economista Mauro Gallegati


Acrescita

Per una nuova economia

Saggio di Mauro Gallegati (Professore di Economia presso l’Università delle Marche)



(N.B. = le frasi in grassetto sono estratti dal testo del saggio)



Il breve saggio di Gallegati è sicuramente consigliabile a chiunque voglia meglio capire cosa succede nel campo delle attuali teorie economiche, vuoi per interesse personale o vuoi perché mosso dalla consapevolezza che dietro tutti gli evidenti limiti e le innegabili nefandezze delle politiche economiche neoliberiste (ma non solo) si celino elaborazioni teoriche economiche non meno imperfette e nefande. E’ un saggio agile e coinvolgente, scritto in modo semplice e chiaro anche per non addetti ai lavori, con la piacevole aggiunta di un tono ironico che regala alcune “battute” da far invidia al miglior Woody Allen.

 

Il giudizio di Gallegati sulla attuale teoria economica dominante (mainstream) è evidente fin dalle primissime righe: visto cosa sta succedendo dal 2008 in poi all’economia reale mondiale un complesso teorico che non solo non sa spiegare l’origine della crisi, ma che “rifiuta” la possibilità che il quadro economico da essa stessa creato possa andare in crisi, qualche problema evidentemente ce l’ha. Nel Capitolo Primo Gallegati anticipa i temi che approfondirà nei successivi Capitoli inserendoli all’interno di una visione globale dell’attuale quadro economico (e ambientale). Sono due, in particolare, i punti deboli della teoria economica “mainstream”. Il primo consiste, per l’appunto, nella convinzione, del tutto fideistica, che il mercato, il libero gioco di domanda/offerta, realizzi sempre, se non intervengono fattori esterni imprevedibili, una situazione di perfetto equilibrio e che quindi esso sia esente da crisi. Il secondo sta nell’idea della “crescita” infinita. Il primo aspetto viene approfondito nel successivo Capitolo Secondo, per quanto concerne invece la crescita Gallegati non ha dubbi che essa, in un mondo con risorse limitate, non possa essere altro che un mito, che auto-genera in modo crescente le proprie contraddizioni. L’impatto che i processi economici hanno sull’ambiente, a partire dalla rivoluzione industriale, è tale da porre in seria discussione la sopravvivenza dell’intero pianeta. Ciò nonostante le evidenti manifestazioni di questo impatto non sembrano avere influenza sui sostenitori della crescita “all’infinito”……eppure la scienza, dopo Darwin, è stata chiara: l’uomo è parte della natura ed il suo benessere dipende dai beni e dai servizi ricavati dall’interazione con l’ecosistema. Se qualcosa questo ci insegna è che l’economia è connessa con la natura e che nulla è per sempre. Neppure la crescita……Il problema è che la teoria economica mainstream è talmente convinta della validità dei propri modelli al punto da rifiutare la realtà. Con la conseguenza che slegando l’economia dalla natura la stessa crescita diviene una …trappola evolutiva….rincorriamo il benessere identificandolo con il PIL, ma se cresce a prescindere dalla natura ci porta a comprometterla, in una sorta di crescita negativa di cui il PIL non tiene conto….non possiamo fare altro che correre, più o meno infelici, verso il collasso….e non è in questione il se, ma il quando…..

Da tempo e da più parti l’utilizzo del solo PIL come misuratore del tenore di vita è fortemente contestato proprio perché esso, volutamente, trascura l’incidenza delle conseguenze negative prodotte dalla crescita. Oltre ad essere, spesso, inefficace e fallace per il suo stesso scopo principale. Andare oltre il PIL diventa quindi un imperativo urgente ed inderogabile, farlo però non implica solo la definizione di un indicatore più significativo, ma lo sforzo di superare la logica del mercato come valore di per sé…..la misurazione del benessere (del vero e completo “ben essere” che non coincide con il solo possesso di beni) non è un problema puramente tecnico poiché riflette valori e preferenze di una società e degli individui che la compongono…..

In sintesi sono quattro i punti principali di critica al mito della crescita che Gallegati evidenzia:

1.    ha inevitabili e devastanti effetti negativi sull’ambiente naturale

2.    incoraggia, per autoalimentarsi, bisogni artificiali

3.    per mantenersi costante consuma risorse oltre il consentito dalla natura

4.    da sola, non conduce ad una miglior distribuzione del reddito che produce

La conclusione, anticipata nel Capitolo Primo ma meglio sviluppata in quelli successivi, è la necessità non più rinviabile di un “progresso” sostenibile, che non deteriori cioè le risorse non riproducibili, o…..meglio di una Acrescita sostenibile…un benessere multisistemico non basato sul solo PIL….



Nel Capitolo Secondo Gallegati affronta i termini della “crisi dell’economia”, della teoria economica, fin qui definita “mainstream” [ossia dal complesso di “assiomi”, opinioni assurte a rango di verità incontrovertibili, di dogmi, messi a punto sul ceppo delle teorie economiche “classiche”, seppure con posizioni anche molto contrastanti, dalla “scuola di Chicago” (meglio conosciuta come i “Chicago boys di Milton Friedman”, altrimenti detti “gli economisti di acqua dolce” assurti, a partire dagli anni settanta, a ispiratori delle politiche neo-liberiste) e da quelle di Boston e California (che affacciandosi su oceani, a differenza di Chicago che si affaccia su di un fiume, sono detti “gli economisti di acqua salata”, il cui ispiratore principale è Maynard Keynes). I contrasti di fondo fra queste due “scuole” consistono nel ruolo del mercato, ritenuto perfetto da quelli d’acqua dolce e relativamente imperfetto da quelli d’acqua salata, e delle politiche economiche, inutili per i primi, efficaci per i secondi]

E’ la crisi di questi anni che ha messo a nudo le incoerenze “interne” ed “esterne” dell’economia “mainstream”. Incoerenze che sono inevitabilmente destinate a manifestarsi visti i suoi presupposti di partenza, le radici di questa impasse sono infatti lontane.

L’economia nasce come disciplina autonoma solo a seguito della rivoluzione industriale, ma a differenza di altre discipline, anch’esse legate ai nuovi scenari economici e sociali (scienze sociali), si imposta adottando, con una presunzione non giustificata, il modello della fisica newtoniana allora imperante.  Ne consegue, per analogia allo studio delle relazioni fisiche fra grandi corpi, che fin dal suo sorgere l’economia mainstream dedichi una specifica attenzione alla macro-economia attribuendole valore universale. Salvo poi non seguire, con analoga evoluzione, gli sviluppi della fisica teorica che, con la meccanica quantistica, accerta ed accetta l’esistenza di regole diverse da quelle dei grandi corpi per l’infinitamente piccolo. Non solo: verso la fine del 1800 le teorie economiche macro conoscono una ulteriore evoluzione grazie alla loro “matematizzazione”, la presunzione di essere una pseudo-scienza trova da qui in poi il suo apogeo. Con la conseguenza inevitabile di far diventare “opinioni” e “ipotesi” dei veri e propri “assiomi”, delle leggi certe e indiscutibili proprio perché “scientifiche”. Peccato però che tali non siano perché……rispetto alla fisica manca una gamba: quella della falsificabilità…… Con il paradosso che quando la realtà, unica occasione di verifica, di falsificabilità, delle teorie economiche pare non piegarsi ad esse, è la realtà che non si adegua alla legge……quando la realtà si ostina a non obbedire alle prescrizioni del modello mainstream l’economia assiomatica rinnega la realtà……La obbliga cioè a piegarsi, andando davvero “contro-natura”, a presunte regole e indicazioni “scientifiche”: da qui, ad esempio, la mitizzazione della flessibilità. L’applicazione delle leggi di macro-economia all’’intera dimensione economica, a giudizio di Gallegati, consente alla teoria economia mainstream di asserire come regole certe:

·         la tendenza spontanea del mercato, in assenza di disturbi esterni, verso un punto di perfetto equilibrio

·         la conseguente sicurezza che ogni agente economico raggiunga, in tale quadro, una analoga posizione ottimale di equilibrio

·         l’estensione, all’interno di un sistema universale di scambio basato su domanda-offerta, di uno stato di equilibrio uguale in tutti i mercati

Peccato però che il parallelismo con la fisica sia stato bellamente disatteso perché, ragionando a livello di “infinitamente piccolo, là dove in fisica intervengono altre leggi, in economia a livello di singoli individui, di singoli agenti economici…….alla domanda se possiamo sperare di ottenere unicità e stabilità globali la risposta è un no categorico…..in quanto…..le curve di domanda ed offerta aggregate non possono derivare direttamente dalle funzioni individuali perché occorre tenere conto dell’interazione tra individui……i quali, esattamente come i quanti, come le particelle infinitesimali, si comportano in modo in gran parte imprevedibile. Tradotto in pratica questo significa che una stessa indicazione, derivante dagli assiomi della teoria economica, può produrre in contesti e momenti diversi risultati contrastanti. Pesano tantissimo infatti, ad esempio, le aspettative degli agenti, le interazioni fra gli individui, l’incidenza di stati d’animo collettivi, tutti fattori in grado di contrastare piuttosto che di accelerare oltre misura. Incide inoltre, sulla inefficacia di fondo del modello economico, l’errata convinzione che tutti gli agenti economici, chiamati in causa dal gioco di domanda ed offerta, sappiano sempre esattamente come comportarsi e non siano invece, come la realtà dimostra, ogni volta in una fase di “apprendimento”. Sarebbe come pretendere che i quanti decidano dove muoversi perché dotati di pensiero. La critica radicale di Gallegati spiazza non poco tutti coloro che, stando in buona parte nelle fila della sinistra, ritengono le politiche economiche keynesiane una valida alternativa a quelle neo-liberiste. Gallegati prende in esame il modello mainstream “New keynesian” (DSGE, sul quale tornerà in modo analitico più avanti) che, come il modello originario elaborato da Keynes negli anni Trenta, ritiene realizzabile un percorso verso l’equilibrio grazie a mirate politiche economiche. Ma anche questa versione “di sinistra” del pensiero economico mainstream soffre della contraddizione di fondo evidenziata da Gallegati: l’indifferenzialità fra micro e macro. Non per nulla anche le politiche keynesiane si sono rivelate efficaci in alcuni passaggi storici ma altrettanto inefficaci in altri momenti all’apparenza sufficientemente simili. Il problema sta per l’appunto nel fatto che….possono esserci interdipendenze bidirezionali tra gli agenti e le proprietà globali tali da produrre fenomeni complessi…..spesso non prevedibili…..in quanto derivati da semplici inclinazioni individuali…..L’errore che al riguardo compiono sia gli economisti di acqua salata che, a maggior ragione quelli di acqua dolce, è di ritenere che……gli agenti economici si comportino in modo razionale e che non interagiscano tra di loro se non attraverso il mercato, ovvero attraverso i prezzi…..

Gallegati aggiunge inoltre, nell’ambito del collegamento fisica-economia, che la fisica statistica dimostra esattamente il contrario: non sono i dati macro ad influenzare quelli micro ma il macro è esattamente la sommatoria del comportamento del micro……applicare le leggi macro al micro è, ben che vada, fuorviante……Ad esempio una delle “regole” mainstream indica nella riduzione dei salari, la via più semplice per ottenere una riduzione del costo del lavoro, uno strumento per combattere la disoccupazione (norma macro), ma spesso tale misura non ha prodotto altro che una diminuzione della domanda aggregata e quindi ulteriore minore occupazione, per la semplice ragione che (livello micro) la propensione al consumo richiede stabilità di reddito……la precarietà uccide i consumi………..

Si conferma quindi, secondo Gallegati, che le presunti leggi dell’economia (anche se non mancano nel mercato tendenze sufficientemente stabili da poter essere definite delle “costanti”, ad esempio la propensione del comsumatore all’acquisto di beni di pari qualità ad un prezzo minore) altro non sono che ipotesi, valide in alcuni periodi ma non in altri.

La ragione di fondo, oltre al fallace rapporto macro-micro, consiste nella mancanza di interazione tra teoria e realtà, in quanto in economia, a differenza che in fisica, non sono possibili esperimenti “ripetibili” sulla base di condizioni di partenza sicuramente identiche….in economia teoria e realtà corrono in parallelo, non si intersecano…….

Ne consegue, per Gallegati, che le teorie economiche per essere di una qualche utilità devono essere costantemente pronte a modificarsi abbandonando ogni pretesa di eterna validità “scientifica”.

Un passo fondamentale in questa direzione viene indicato da Gallegati nel …..passaggio dall’homo oeconomicus (l’individuo che si muove solo sulla base di logiche economiche) all’agente sociale che apprende dalla propria e dall’altrui esperienza……….. Ossia nella opportunità di abbandonare il modello mainstream (dolce o salato che sia) basato sulla convinzione di un mercato composto da agenti tutti uguali fra di loro, in quanto mossi dalle stesse logiche, e che quindi il livello macro non sia altro che la moltiplicazione di ciò che fa il singolo agente per il numero totale di agenti. Il già citato modello mainstream DSGE (Dynamic Stochastic General Equipment) si basa proprio su questa convinzione. Gallegati (riprendendo riflessioni in corso in modo diffuso nel campo delle teorie economiche) propone un modello definito ABM (Agent Based Model) che fonda le scelte di politica economica, mirate a determinati obiettivi, sulle risultanze dell’analisi dei comportamenti di agenti sociali visti…..come atomi sociali che tra loro si relazionano…..agenti eterogenei che interagiscono muovendosi in contesti di informazione parziale e di razionalità limitata……

Concretamente questi ABM sono:

·         insiemi di agenti (nel e sul mercato) che interagiscono tra loro e con l’ambiente

·         agenti autonomi cioè non mossi da regole comportamentali aprioristicamente simili

·         agenti molto diversi ed eterogenei che si adattano costantemente ad un ambiente economico che muta propria in conseguenza delle loro azioni, e che, stante la disponibilità limitata di informazioni, non attuano scelte automaticamente ottimali bensì “soddisfacenti”

tradotti in esempi riconoscibili sono, a seconda dello specifico contesto economico sul quale si intende intervenire: famiglie, imprese (di dimensioni varie), banche (idem) settori industriali, territori ed aree nazionale e transnazionali, risparmiatori, ed i campi sui quali misurarli possono essere, alternandosi, la propensione al consumo, al risparmio, agli investimenti, i livelli di reddito disponibili.

Il raggruppamento all’interno del modello ABM dell’insieme di questi agenti e fattori consentirebbe la definizione di scelte economiche più calibrate sulla realtà che su assiomi e presunte certezze teoriche…….modellare il comportamento degli ABM implica che l’insieme non è uguale alla somma delle sue parti come nel riduzionismo degli assiomatici……piuttosto le caratteristiche del sistema nel suo complesso determinano (in una sorta di feed back) il comportamento del singolo….in questo senso il tutto è più della somma delle sue parti…..

Gallegati precisa che questo approccio innovativo….ha guadagnato popolarità negli ultimi decenmi come “scienza della complessità”…….e questi modelli sono ormai usati per analizzare i più diversi aspetti della macroeconomia (ad esempio le crisi, i cicli, le distribuzioni di ricchezza, reddito e dimensione d’impresa)

In definitiva…..mentre nei modelli mainstream l’equilibrio è uno stato in cui la domanda (individuale ed aggregata) uguaglia l’offerta negli ABM l’equilibrio è statistico, cioè l’equilibrio aggregato è compatibile con lo squilibrio individuale………….

Concetti sicuramente innovativi e di non facile comprensione a livello diffuso, ma in grado, secondo Gallegati di fornire una base analitica e di indirizzo sulla quale costruire idee e politiche meglio fondate per uscire dalla crisi



Ed è quanto viene analizzato nel Capitolo Terzo dedicato alla “economia della crisi”, una crisi che, se ancora affrontata con le teorie mainstream, in particolare quelle neo-liberiste di acqua dolce, rischia davvero di diventare la Grande Depressione del mondo intero. Una crisi che poggia in special modo su due ragioni:

·         la maggior produttività complessiva ottenuta con la crescente sostituzione di lavoro umano mediante macchine

·         la globalizzazione del mercato del lavoro che ha innescato una forte moderazione salariale

In relazione a questo quadro e adottando, come base analitica e di intervento, il modello ABM Gallegati articola, per uscire dalla crisi e con riferimento alla situazione italiana, otto possibili interventi:

1.    Riqualificazione della spesa pubblica

Considerato che il debito pubblico a partire dall’Unità d’Italia è stato per ben 113 anni superiore al PIL di almeno il 60% e rappresenta in sostanza una costante (gli anni dal secondo dopoguerra agli anni settanta con una percentuale inferiore al 35% sono di fatto un’eccezione) occorre considerare che recenti studi (Reinhart & Rogoff) hanno dimostrato l’esistenza di gravi errori metodologici nel rapportare il deficit al PIL. Non solo: se sono innegabili vaste aree di consistente spreco il rapporto deficit/PIl, già messo in discussione del suo, de visto nel suo totale può risultare fuorviante, il deficit italiano se riferito alla sola spesa primaria, escludendo cioè gli interessi sul debito cumulato, è inferiore alla media europea e al di sotto degli obiettivi fissati. Perde quindi significato una politica di riduzione deficit che mira ad intervenire, solo,  sulla spesa primaria. Con la grave aggiunta che le politiche di austerity colpiscono le fasce deboli della popolazione lasciando intatti buona parte dei sottoscrittori del debito….il problema del debito pubblico italiano non deriva dunque da un generico eccesso di spesa statale, ma dal fatto che lo Stato spende male…….Per recuperare risorse da destinare all’abbattimento del debito consolidato, e quindi degli interessi, può essere un suicidio ridurre in modo indistinto (non intervenendo solo sulle aree di spreco) la spesa pubblica, che va invece orientata ad investimenti mirati (modello ABM), ricerca ed istruzione in primo luogo, agli agenti ed ai settori in grado di generare aumento qualitativo di produttività

2.    Recupero dell’evasione fiscale

Gallegati premette, citando il lavoro di Livadiotti Stefano “ Ladri” – Bompiani 2014, che…… il fisco sa nomi e cognomi di chi evade, ma non fa nulla…….. ed evidenzia che il problema dell’evasione è strettamente collegato a quello della spesa pubblica.

Abbassare la tassazione sulla produzione di reddito, aumentare quella su rendite e ricchezza (risultato finale dell’evasione: la Banca d’Italia, dati del Bilancio delle famiglie italiane 2010, attesta che il 10% delle famiglie più ricche possiede il 47% della ricchezza netta familiare), semplificare il sistema impositivo, eliminare il più possibile la circolazione di contante (il contrario di quello che è stato fatto)

3.    Azzeramento degli oneri finanziari

Tornando alla fotografia del debito pubblico Gallegati precisando che…..da oltre vent’anni l’Italia conosce un avanzo primario della spesa statale, quella al netto degli interessi……trova difficile resistere alla tentazione di una drastica ristrutturazione del debito pubblico, che però può avvenire solo in un quadro di unità europea basato su una politica di bassi tassi di interesse ed una circolazione monetaria dell’euro non più finalizzata al ssostegno delle politiche neo-liberiste

4.    Monetizzare il debito pubblico

Uno degli aspetti della realtà economica che smentisce la presunta scientificità delle teoria assiomatica è l’attuale livello inflattivo. Sostiene la regola assiomatica che un eccesso di moneta circolante a fronte di una produzione costante genera inflazione, eppure da anni l’Europa mantiene bassi livelli di inflazione a fronte di una costante immissione di liquidità. Esistono quindi ampi margini per la monetizzazione del debito pubblico (copertura del debito mediante emissione di moneta), oggi possibile solo se tale monetizzazione non confluisce solamente nei bilanci bancari ed abbandonando ogni assurda idea di abbandono dell’euro. L’Italia, se uscisse dall’euro, ricaverebbe più conseguenze negative, proprio per l’elevato debito, che vantaggi dalla svalutazione della reintrodotta lira

5.    Il benessere dei popoli dell’Europa e non solo

Andare oltre il PIL, puntare su un benessere ampio, reale, non basato solo sul possesso di beni (Acrescita)……il lento deteriorarsi delle prospettive di crescita si traduce in malessere ed in un marcato squilibrio tra le generazioni…..la crisi economica può essere letta come una crisi del modo di vivere, cioè di consumare per giustificare altra produzione da consumare e così via….. L’unica prospettiva che ne consegue è il ripensamento degli obiettivi dell’economia:….dal PIL al benessere…. …

6.    Inventare lavori sostenibili

Consapevole del rischio che la Acrescita possa comportare un aggravio occupazionale Gallegati ritiene utile pensare sia alla riduzione dell’orario di lavoro sia all’introduzione di un reddito sociale, in cambio della fornitura di lavori socialmente utili, sia allo sviluppo di “servizi dematerializzati”, sia investendo su innovazioni tecnologiche, ad esempio in campo energetico, in grado di creare occupazione…….se la tecnologia distrugge i lavori noti occorre inventarne di nuovi e tornare a quelli artigiani del recupero, se non del riciclo, dei beni in uso…..Preliminare a questa svolta è la sconfitta definitiva dell’assioma della flessibilità. L’economia mainstream sostiene, una “funzione” matematica dell’occupazione: il tasso naturale di disoccupazione. Ovvero quel tasso di disoccupati prodotto da rigidità del mercato del lavoro che impediscono l’incontro fra domanda ed offerta. Peccato che negli ultimi decenni, a fronte di una crescente estensione della flessibilità, il tasso di disoccupazione, ad esempio in Italia ed in Spagna, sia praticamente raddoppiato. E’ evidente che i due fattori già richiamati, globalizzazione e morte della manifattura, stanno comportando per l’intero Occidente una drammatica riduzione di manodopera, non recuperabile con la concorrenza salariale visto l’enorme divario con i salari dei paesi emergenti. Prima ancora della Acrescita occorre quindi investire da subito su innovazione e terziario avanzato

7.    Salvare le persone non le banche

…….uno dei modi più naturali per sostenere la domanda è quello di redistribuire il reddito…..a questa considerazione, persino ovvia, continua ad opporsi l’assioma neo-liberista dell’effetto a cascata (trickle-down economics): la disuguaglianza incentiva al miglioramento. Tutti i dati analitici dimostrano il contrario: il trasferimento di reddito verso l’alto non ha effetti positivi sulla domanda, il contrario si. Lo attestano gli studi di economisti come Stiglitz (effetto moltiplicatore) lo testimoniano gli stessi dati dell’indagine della Banca d’Italia sulle famiglie italiane (2010): il 10% più povero ha una propensione al consumo pari al 95% del proprio reddito, il 10% più ricco solo del 65%, o meglio ancora……l’80% del reddito prodotto va al 20% della popolazione, l’effetto a cascata proprio non c’è…….

8.    Come se fosse un terremoto prevedere le crisi

Gallegati torna a confrontare i due modelli, DSGE e ABM, per riflettere sulla possibilità di prevedere e governare le crisi. In particolare evidenzia la rigidità del modello DSGE nel presupporre che le azioni degli agenti economici siano naturalmente razionali ed ottimali e l’impossibilità di prevedere eventuali elementi di disturbo esterni al modello. Il modello ABM al contrario presuppone, ponendoli alla base delle analisi degli scenari futuri che….gli agenti siano eterogenei, in possesso di informazioni limitate, spesso mossi da effetti imitativi…..questo generà non linearità, ma complessità…...Ed è all’interno di questa complessità che si annidano i germi della crisi, sulla quale i fattori esterni possono, in aggiunta, fungere da moltiplicatori. Le crisi possono quindi essere ampiamente previste, semmai come per i terremoti si può sapere in anticipo dove si manifesteranno e se ci sono segnali premonitori a breve, l’esatto attimo della scossa è pressochè impossibile prevederlo (al momento). Il cambio di paradigma nel valutare i rischi di crisi implica inoltre l’opportunità di……spostare le politiche di sorveglianza da quelli troppo grandi per (lasciarli) fallire a quelli troppo collegati per (lasciarli) fallire…….



Nel conclusivo Capitolo Quarto Gallegati cita alcuni dati per rafforzare l’urgenza di una riflessione radicale sul mito della crescita…….tra il 1890 ed il 1990 l’economia mondiale è cresciuta di 14 volte, la popolazione di 4, l’utilizzo d’acqua di9, le emissioni di anidride solforosa di 13, l’utilizzo di energia di 16, le emissioni di CO2 di 17 (John Mc Neil -2000)…..Tim Jackson in “Prosperità senza crescita” ci ricorda che nel 2050 per mantenere gli attuali standard di produzione e consumo, rapportati ai futuri nove miliardi di abitanti, il volume dell’economia dovrebbe crescere di 15 volte rispetto all’attuale…..Sono dati impressionanti.

La Acrescita richiede sicuramente di andare oltre le rigidità, le inadeguatezze, gli errori, la cecità delle teorie economiche mainstream, ma il vero incentivo ad iniziare ad attuarla sta innanzitutto nella conquista della consapevolezza che……il benessere non dipende, soddisfatti i beni primari, dalla quantità di merci a disposizione, ma dalla possibilità (per tutti) di godersi la vita senza compromettere una uguale opportunità alle generazioni future….

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