Acrescita
Per una nuova
economia
Saggio di Mauro Gallegati (Professore di
Economia presso l’Università delle Marche)
(N.B. = le frasi in grassetto sono estratti dal testo del
saggio)
Il breve saggio di Gallegati è sicuramente
consigliabile a chiunque voglia meglio capire cosa succede nel campo delle
attuali teorie economiche, vuoi per interesse personale o vuoi perché mosso
dalla consapevolezza che dietro tutti gli evidenti limiti e le innegabili
nefandezze delle politiche economiche neoliberiste (ma non solo) si celino
elaborazioni teoriche economiche non meno imperfette e nefande. E’ un saggio
agile e coinvolgente, scritto in modo semplice e chiaro anche per non addetti
ai lavori, con la piacevole aggiunta di un tono ironico che regala alcune
“battute” da far invidia al miglior Woody Allen.
Il giudizio di Gallegati sulla attuale
teoria economica dominante (mainstream) è evidente fin dalle primissime righe:
visto cosa sta succedendo dal 2008 in poi all’economia reale mondiale un
complesso teorico che non solo non sa spiegare l’origine della crisi, ma che
“rifiuta” la possibilità che il quadro economico da essa stessa creato possa
andare in crisi, qualche problema evidentemente ce l’ha. Nel Capitolo Primo
Gallegati anticipa i temi che approfondirà nei successivi Capitoli inserendoli
all’interno di una visione globale dell’attuale quadro economico (e ambientale).
Sono due, in particolare, i punti deboli della teoria economica “mainstream”.
Il primo consiste, per l’appunto, nella convinzione, del tutto fideistica, che
il mercato, il libero gioco di domanda/offerta, realizzi sempre, se non
intervengono fattori esterni imprevedibili, una situazione di perfetto
equilibrio e che quindi esso sia esente da crisi. Il secondo sta nell’idea
della “crescita” infinita. Il primo aspetto viene approfondito nel successivo
Capitolo Secondo, per quanto concerne invece la crescita Gallegati non ha dubbi
che essa, in un mondo con risorse limitate, non possa essere altro che un mito,
che auto-genera in modo crescente le proprie contraddizioni. L’impatto che i
processi economici hanno sull’ambiente, a partire dalla rivoluzione industriale,
è tale da porre in seria discussione la sopravvivenza dell’intero pianeta. Ciò
nonostante le evidenti manifestazioni di questo impatto non sembrano avere
influenza sui sostenitori della crescita “all’infinito”……eppure la scienza, dopo Darwin, è stata
chiara: l’uomo è parte della natura ed il suo benessere dipende dai beni e dai
servizi ricavati dall’interazione con l’ecosistema. Se qualcosa questo ci
insegna è che l’economia è connessa con la natura e che nulla è per sempre.
Neppure la crescita……Il problema è che la teoria economica mainstream
è talmente convinta della validità dei propri modelli al punto da rifiutare la
realtà. Con la conseguenza che slegando l’economia dalla natura la stessa
crescita diviene una …trappola evolutiva….rincorriamo il benessere
identificandolo con il PIL, ma se cresce a prescindere dalla natura ci porta a
comprometterla, in una sorta di crescita negativa di cui il PIL non tiene
conto….non possiamo fare altro che correre, più o meno infelici, verso il
collasso….e non è in questione il se, ma il quando…..
Da tempo e da più parti l’utilizzo del solo
PIL come misuratore del tenore di vita è fortemente contestato proprio perché
esso, volutamente, trascura l’incidenza delle conseguenze negative prodotte
dalla crescita. Oltre ad essere, spesso, inefficace e fallace per il suo stesso
scopo principale. Andare oltre il PIL diventa quindi un imperativo urgente ed
inderogabile, farlo però non implica solo la definizione di un indicatore più
significativo, ma lo sforzo di superare la logica del mercato come valore di
per sé…..la
misurazione del benessere (del
vero e completo “ben essere” che non coincide con il solo possesso di beni) non è un
problema puramente tecnico poiché riflette valori e preferenze di una società e
degli individui che la compongono…..
In sintesi sono quattro i punti principali
di critica al mito della crescita che Gallegati evidenzia:
1. ha inevitabili e devastanti effetti
negativi sull’ambiente naturale
2. incoraggia, per autoalimentarsi,
bisogni artificiali
3. per mantenersi costante consuma
risorse oltre il consentito dalla natura
4. da sola, non conduce ad una miglior
distribuzione del reddito che produce
La conclusione, anticipata nel Capitolo
Primo ma meglio sviluppata in quelli successivi, è la necessità non più
rinviabile di un “progresso” sostenibile, che non deteriori cioè le risorse non
riproducibili, o…..meglio di una Acrescita
sostenibile…un benessere multisistemico non basato sul solo PIL….
Nel Capitolo Secondo Gallegati
affronta i termini della “crisi dell’economia”, della teoria economica, fin qui
definita “mainstream” [ossia
dal complesso di “assiomi”, opinioni assurte a rango di verità
incontrovertibili, di dogmi, messi a punto sul ceppo delle teorie economiche
“classiche”, seppure con posizioni anche molto contrastanti, dalla “scuola di
Chicago” (meglio conosciuta come i “Chicago boys di Milton Friedman”,
altrimenti detti “gli economisti di acqua dolce” assurti, a partire dagli anni
settanta, a ispiratori delle politiche neo-liberiste) e da quelle di Boston e
California (che affacciandosi su oceani, a differenza di Chicago che si
affaccia su di un fiume, sono detti “gli economisti di acqua salata”, il cui
ispiratore principale è Maynard Keynes). I contrasti di fondo fra queste due
“scuole” consistono nel ruolo del mercato, ritenuto perfetto da quelli d’acqua
dolce e relativamente imperfetto da quelli d’acqua salata, e delle politiche
economiche, inutili per i primi, efficaci per i secondi]
E’ la crisi di questi anni che ha messo a
nudo le incoerenze “interne” ed “esterne” dell’economia “mainstream”.
Incoerenze che sono inevitabilmente destinate a manifestarsi visti i suoi
presupposti di partenza, le radici di questa impasse sono infatti lontane.
L’economia nasce come disciplina autonoma
solo a seguito della rivoluzione industriale, ma a differenza di altre
discipline, anch’esse legate ai nuovi scenari economici e sociali (scienze
sociali), si imposta adottando, con una presunzione non giustificata, il
modello della fisica newtoniana allora imperante. Ne consegue, per analogia allo studio delle
relazioni fisiche fra grandi corpi, che fin dal suo sorgere l’economia
mainstream dedichi una specifica attenzione alla macro-economia attribuendole
valore universale. Salvo poi non seguire, con analoga evoluzione, gli sviluppi
della fisica teorica che, con la meccanica quantistica, accerta ed accetta
l’esistenza di regole diverse da quelle dei grandi corpi per l’infinitamente
piccolo. Non solo: verso la fine del 1800 le teorie economiche macro conoscono
una ulteriore evoluzione grazie alla loro “matematizzazione”, la presunzione di
essere una pseudo-scienza trova da qui in poi il suo apogeo. Con la conseguenza
inevitabile di far diventare “opinioni” e “ipotesi” dei veri e propri
“assiomi”, delle leggi certe e indiscutibili proprio perché “scientifiche”.
Peccato però che tali non siano perché……rispetto alla fisica manca una gamba: quella della falsificabilità……
Con il paradosso che quando la realtà, unica occasione di verifica, di
falsificabilità, delle teorie economiche pare non piegarsi ad esse, è la realtà
che non si adegua alla legge……quando la realtà si ostina a non obbedire alle
prescrizioni del modello mainstream l’economia assiomatica rinnega la realtà……La
obbliga cioè a piegarsi, andando davvero “contro-natura”, a presunte regole e
indicazioni “scientifiche”: da qui, ad esempio, la mitizzazione della
flessibilità. L’applicazione delle leggi di macro-economia all’’intera
dimensione economica, a giudizio di Gallegati, consente alla teoria economia
mainstream di asserire come regole certe:
·
la
tendenza spontanea del mercato, in assenza di disturbi esterni, verso un punto
di perfetto equilibrio
·
la
conseguente sicurezza che ogni agente economico raggiunga, in tale quadro, una analoga
posizione ottimale di equilibrio
·
l’estensione,
all’interno di un sistema universale di scambio basato su domanda-offerta, di
uno stato di equilibrio uguale in tutti i mercati
Peccato però che il parallelismo con la
fisica sia stato bellamente disatteso perché, ragionando a livello di
“infinitamente piccolo, là dove in fisica intervengono altre leggi, in economia
a livello di singoli individui, di singoli agenti economici…….alla domanda se
possiamo sperare di ottenere unicità e stabilità globali la risposta è un no
categorico…..in quanto…..le curve di domanda ed offerta aggregate non possono
derivare direttamente dalle funzioni individuali perché occorre tenere conto
dell’interazione tra individui……i quali, esattamente come i quanti,
come le particelle infinitesimali, si comportano in modo in gran parte
imprevedibile. Tradotto in pratica questo significa che una stessa indicazione,
derivante dagli assiomi della teoria economica, può produrre in contesti e
momenti diversi risultati contrastanti. Pesano tantissimo infatti, ad esempio,
le aspettative degli agenti, le interazioni fra gli individui, l’incidenza di
stati d’animo collettivi, tutti fattori in grado di contrastare piuttosto che
di accelerare oltre misura. Incide inoltre, sulla inefficacia di fondo del
modello economico, l’errata convinzione che tutti gli agenti economici,
chiamati in causa dal gioco di domanda ed offerta, sappiano sempre esattamente
come comportarsi e non siano invece, come la realtà dimostra, ogni volta in una
fase di “apprendimento”. Sarebbe come pretendere che i quanti decidano dove
muoversi perché dotati di pensiero. La critica radicale di Gallegati spiazza
non poco tutti coloro che, stando in buona parte nelle fila della sinistra,
ritengono le politiche economiche keynesiane una valida alternativa a quelle
neo-liberiste. Gallegati prende in esame il modello mainstream “New keynesian”
(DSGE, sul quale tornerà in modo analitico più avanti) che, come il modello
originario elaborato da Keynes negli anni Trenta, ritiene realizzabile un
percorso verso l’equilibrio grazie a mirate politiche economiche. Ma anche
questa versione “di sinistra” del pensiero economico mainstream soffre della
contraddizione di fondo evidenziata da Gallegati: l’indifferenzialità fra micro
e macro. Non per nulla anche le politiche keynesiane si sono rivelate efficaci
in alcuni passaggi storici ma altrettanto inefficaci in altri momenti all’apparenza
sufficientemente simili. Il problema sta per l’appunto nel fatto che….possono esserci
interdipendenze bidirezionali tra gli agenti e le proprietà globali tali da
produrre fenomeni complessi…..spesso non prevedibili…..in quanto
derivati da semplici inclinazioni individuali…..L’errore che al
riguardo compiono sia gli economisti di acqua salata che, a maggior ragione
quelli di acqua dolce, è di ritenere che……gli agenti economici si comportino in modo razionale e
che non interagiscano tra di loro se non attraverso il mercato, ovvero
attraverso i prezzi…..
Gallegati aggiunge inoltre, nell’ambito del
collegamento fisica-economia, che la fisica statistica dimostra esattamente il
contrario: non sono i dati macro ad influenzare quelli micro ma il macro è
esattamente la sommatoria del comportamento del micro……applicare le leggi macro al micro è, ben
che vada, fuorviante……Ad esempio una delle “regole” mainstream
indica nella riduzione dei salari, la via più semplice per ottenere una
riduzione del costo del lavoro, uno strumento per combattere la disoccupazione
(norma macro), ma spesso tale misura non ha prodotto altro che una diminuzione
della domanda aggregata e quindi ulteriore minore occupazione, per la semplice
ragione che (livello micro) la propensione al consumo richiede stabilità di
reddito……la
precarietà uccide i consumi………..
Si conferma quindi, secondo Gallegati, che
le presunti leggi dell’economia (anche se non mancano nel mercato tendenze
sufficientemente stabili da poter essere definite delle “costanti”, ad esempio
la propensione del comsumatore all’acquisto di beni di pari qualità ad un
prezzo minore)
altro non sono che ipotesi, valide in alcuni periodi ma non in altri.
La ragione di fondo, oltre al fallace
rapporto macro-micro, consiste nella mancanza di interazione tra teoria e
realtà, in quanto in economia, a differenza che in fisica, non sono possibili
esperimenti “ripetibili” sulla base di condizioni di partenza sicuramente
identiche….in
economia teoria e realtà corrono in parallelo, non si intersecano…….
Ne consegue, per Gallegati, che le teorie
economiche per essere di una qualche utilità devono essere costantemente pronte
a modificarsi abbandonando ogni pretesa di eterna validità “scientifica”.
Un passo fondamentale in questa direzione
viene indicato da Gallegati nel …..passaggio dall’homo oeconomicus (l’individuo
che si muove solo sulla base di logiche economiche) all’agente sociale che apprende dalla
propria e dall’altrui esperienza……….. Ossia nella opportunità di
abbandonare il modello mainstream (dolce o salato che sia) basato sulla
convinzione di un mercato composto da agenti tutti uguali fra di loro, in
quanto mossi dalle stesse logiche, e che quindi il livello macro non sia altro
che la moltiplicazione di ciò che fa il singolo agente per il numero totale di
agenti. Il già citato modello mainstream DSGE (Dynamic Stochastic
General Equipment) si basa proprio su questa convinzione. Gallegati
(riprendendo riflessioni in corso in modo diffuso nel campo delle teorie
economiche) propone un modello definito ABM (Agent Based
Model) che fonda le scelte di politica
economica, mirate a determinati obiettivi, sulle risultanze dell’analisi dei
comportamenti di agenti sociali visti…..come atomi sociali che tra loro si relazionano…..agenti
eterogenei che interagiscono muovendosi in contesti di informazione parziale e
di razionalità limitata……
Concretamente questi ABM sono:
·
insiemi
di agenti (nel e sul mercato) che interagiscono tra loro e con l’ambiente
·
agenti
autonomi cioè non mossi da regole comportamentali aprioristicamente simili
·
agenti
molto diversi ed eterogenei che si adattano costantemente ad un ambiente
economico che muta propria in conseguenza delle loro azioni, e che, stante la
disponibilità limitata di informazioni, non attuano scelte automaticamente
ottimali bensì “soddisfacenti”
tradotti in esempi riconoscibili sono, a
seconda dello specifico contesto economico sul quale si intende intervenire:
famiglie, imprese (di dimensioni varie), banche (idem) settori industriali,
territori ed aree nazionale e transnazionali, risparmiatori, ed i campi sui
quali misurarli possono essere, alternandosi, la propensione al consumo, al
risparmio, agli investimenti, i livelli di reddito disponibili.
Il raggruppamento all’interno del modello
ABM dell’insieme di questi agenti e fattori consentirebbe la definizione di
scelte economiche più calibrate sulla realtà che su assiomi e presunte certezze
teoriche…….modellare
il comportamento degli ABM implica che l’insieme non è uguale alla somma delle
sue parti come nel riduzionismo degli assiomatici……piuttosto le
caratteristiche del sistema nel suo complesso determinano (in una
sorta di feed back) il comportamento del singolo….in questo senso
il tutto è più della somma delle sue parti…..
Gallegati precisa che questo approccio
innovativo….ha
guadagnato popolarità negli ultimi decenmi come “scienza della complessità”…….e
questi modelli sono ormai usati per analizzare i più diversi aspetti della
macroeconomia (ad esempio le crisi, i cicli, le distribuzioni di ricchezza,
reddito e dimensione d’impresa)
In definitiva…..mentre nei modelli mainstream l’equilibrio
è uno stato in cui la domanda (individuale ed aggregata) uguaglia l’offerta
negli ABM l’equilibrio è statistico, cioè l’equilibrio aggregato è compatibile
con lo squilibrio individuale………….
Concetti sicuramente innovativi e di non
facile comprensione a livello diffuso, ma in grado, secondo Gallegati di
fornire una base analitica e di indirizzo sulla quale costruire idee e
politiche meglio fondate per uscire dalla crisi
Ed è quanto viene analizzato nel Capitolo
Terzo dedicato alla “economia della crisi”, una crisi che, se ancora affrontata
con le teorie mainstream, in particolare quelle neo-liberiste di acqua dolce,
rischia davvero di diventare la Grande Depressione del mondo intero. Una crisi
che poggia in special modo su due ragioni:
·
la
maggior produttività complessiva ottenuta con la crescente sostituzione di
lavoro umano mediante macchine
·
la
globalizzazione del mercato del lavoro che ha innescato una forte moderazione
salariale
In relazione a questo quadro e adottando,
come base analitica e di intervento, il modello ABM Gallegati articola, per
uscire dalla crisi e con riferimento alla situazione italiana, otto possibili
interventi:
1.
Riqualificazione della
spesa pubblica
Considerato che il
debito pubblico a partire dall’Unità d’Italia è stato per ben 113 anni
superiore al PIL di almeno il 60% e rappresenta in sostanza una costante (gli
anni dal secondo dopoguerra agli anni settanta con una percentuale inferiore al
35% sono di fatto un’eccezione) occorre considerare che recenti studi (Reinhart
& Rogoff) hanno dimostrato l’esistenza di gravi errori metodologici nel
rapportare il deficit al PIL. Non solo: se sono innegabili vaste aree di
consistente spreco il rapporto deficit/PIl, già messo in discussione del suo,
de visto nel suo totale può risultare fuorviante, il deficit italiano se
riferito alla sola spesa primaria, escludendo cioè gli interessi sul debito
cumulato, è inferiore alla media europea e al di sotto degli obiettivi fissati.
Perde quindi significato una politica di riduzione deficit che mira ad
intervenire, solo, sulla spesa primaria.
Con la grave aggiunta che le politiche di austerity colpiscono le fasce deboli
della popolazione lasciando intatti buona parte dei sottoscrittori del debito….il problema del
debito pubblico italiano non deriva dunque da un generico eccesso di spesa
statale, ma dal fatto che lo Stato spende male…….Per recuperare
risorse da destinare all’abbattimento del debito consolidato, e quindi degli
interessi, può essere un suicidio ridurre in modo indistinto (non intervenendo
solo sulle aree di spreco) la spesa pubblica, che va invece orientata ad
investimenti mirati (modello ABM), ricerca ed istruzione in primo luogo, agli
agenti ed ai settori in grado di generare aumento qualitativo di produttività
2.
Recupero dell’evasione
fiscale
Gallegati premette,
citando il lavoro di Livadiotti Stefano “ Ladri” – Bompiani 2014, che…… il fisco sa nomi
e cognomi di chi evade, ma non fa nulla…….. ed evidenzia che il
problema dell’evasione è strettamente collegato a quello della spesa pubblica.
Abbassare la
tassazione sulla produzione di reddito, aumentare quella su rendite e ricchezza
(risultato finale dell’evasione: la Banca d’Italia, dati del Bilancio delle
famiglie italiane 2010, attesta che il 10% delle famiglie più ricche possiede
il 47% della ricchezza netta familiare), semplificare il sistema impositivo,
eliminare il più possibile la circolazione di contante (il contrario di quello
che è stato fatto)
3.
Azzeramento degli oneri
finanziari
Tornando alla
fotografia del debito pubblico Gallegati precisando che…..da oltre vent’anni l’Italia conosce un
avanzo primario della spesa statale, quella al netto degli interessi……trova
difficile resistere alla tentazione di una drastica ristrutturazione del debito
pubblico, che però può avvenire solo in un quadro di unità europea basato su
una politica di bassi tassi di interesse ed una circolazione monetaria
dell’euro non più finalizzata al ssostegno delle politiche neo-liberiste
4.
Monetizzare il debito
pubblico
Uno degli aspetti
della realtà economica che smentisce la presunta scientificità delle teoria
assiomatica è l’attuale livello inflattivo. Sostiene la regola assiomatica che
un eccesso di moneta circolante a fronte di una produzione costante genera
inflazione, eppure da anni l’Europa mantiene bassi livelli di inflazione a
fronte di una costante immissione di liquidità. Esistono quindi ampi margini
per la monetizzazione del debito pubblico (copertura del debito mediante
emissione di moneta), oggi possibile solo se tale monetizzazione non confluisce
solamente nei bilanci bancari ed abbandonando ogni assurda idea di abbandono
dell’euro. L’Italia, se uscisse dall’euro, ricaverebbe più conseguenze negative,
proprio per l’elevato debito, che vantaggi dalla svalutazione della
reintrodotta lira
5. Il benessere dei popoli dell’Europa e non solo
Andare oltre il PIL,
puntare su un benessere ampio, reale, non basato solo sul possesso di beni (Acrescita)……il lento
deteriorarsi delle prospettive di crescita si traduce in malessere ed in un
marcato squilibrio tra le generazioni…..la crisi economica può essere letta
come una crisi del modo di vivere, cioè di consumare per giustificare altra produzione
da consumare e così via….. L’unica prospettiva che ne consegue è il
ripensamento degli obiettivi dell’economia:….dal PIL al benessere…. …
6. Inventare lavori sostenibili
Consapevole del
rischio che la Acrescita possa comportare un aggravio occupazionale Gallegati
ritiene utile pensare sia alla riduzione dell’orario di lavoro sia
all’introduzione di un reddito sociale, in cambio della fornitura di lavori
socialmente utili, sia allo sviluppo di “servizi dematerializzati”, sia
investendo su innovazioni tecnologiche, ad esempio in campo energetico, in
grado di creare occupazione…….se la tecnologia distrugge i lavori noti occorre
inventarne di nuovi e tornare a quelli artigiani del recupero, se non del
riciclo, dei beni in uso…..Preliminare a questa svolta è la
sconfitta definitiva dell’assioma della flessibilità. L’economia mainstream
sostiene, una “funzione” matematica dell’occupazione: il tasso naturale di
disoccupazione. Ovvero quel tasso di disoccupati prodotto da rigidità del
mercato del lavoro che impediscono l’incontro fra domanda ed offerta. Peccato
che negli ultimi decenni, a fronte di una crescente estensione della
flessibilità, il tasso di disoccupazione, ad esempio in Italia ed in Spagna,
sia praticamente raddoppiato. E’ evidente che i due fattori già richiamati,
globalizzazione e morte della manifattura, stanno comportando per l’intero
Occidente una drammatica riduzione di manodopera, non recuperabile con la
concorrenza salariale visto l’enorme divario con i salari dei paesi emergenti.
Prima ancora della Acrescita occorre quindi investire da subito su innovazione
e terziario avanzato
7.
Salvare le persone non
le banche
…….uno dei modi più
naturali per sostenere la domanda è quello di redistribuire il reddito…..a
questa considerazione, persino ovvia, continua ad opporsi l’assioma
neo-liberista dell’effetto a cascata (trickle-down economics): la
disuguaglianza incentiva al miglioramento. Tutti i dati analitici dimostrano il
contrario: il trasferimento di reddito verso l’alto non ha effetti positivi
sulla domanda, il contrario si. Lo attestano gli studi di economisti come
Stiglitz (effetto moltiplicatore) lo testimoniano gli stessi dati dell’indagine
della Banca d’Italia sulle famiglie italiane (2010): il 10% più povero ha una
propensione al consumo pari al 95% del proprio reddito, il 10% più ricco solo
del 65%, o meglio ancora……l’80% del reddito prodotto va al 20% della popolazione,
l’effetto a cascata proprio non c’è…….
8.
Come se fosse un
terremoto prevedere le crisi
Gallegati torna a
confrontare i due modelli, DSGE e ABM, per riflettere sulla possibilità di
prevedere e governare le crisi. In particolare evidenzia la rigidità del
modello DSGE nel presupporre che le azioni degli agenti economici siano
naturalmente razionali ed ottimali e l’impossibilità di prevedere eventuali elementi
di disturbo esterni al modello. Il modello ABM al contrario presuppone,
ponendoli alla base delle analisi degli scenari futuri che….gli agenti siano
eterogenei, in possesso di informazioni limitate, spesso mossi da effetti
imitativi…..questo generà non linearità, ma complessità…...Ed è
all’interno di questa complessità che si annidano i germi della crisi, sulla
quale i fattori esterni possono, in aggiunta, fungere da moltiplicatori. Le
crisi possono quindi essere ampiamente previste, semmai come per i terremoti si
può sapere in anticipo dove si manifesteranno e se ci sono segnali premonitori
a breve, l’esatto attimo della scossa è pressochè impossibile prevederlo (al
momento). Il cambio di paradigma nel valutare i rischi di crisi implica inoltre
l’opportunità di……spostare le politiche di sorveglianza da quelli troppo grandi per
(lasciarli) fallire
a quelli troppo collegati per (lasciarli)
fallire…….
Nel conclusivo Capitolo Quarto Gallegati
cita alcuni dati per rafforzare l’urgenza di una riflessione radicale sul mito
della crescita…….tra
il 1890 ed il 1990 l’economia mondiale è cresciuta di 14 volte, la popolazione
di 4, l’utilizzo d’acqua di9, le emissioni di anidride solforosa di 13,
l’utilizzo di energia di 16, le emissioni di CO2 di 17 (John Mc Neil
-2000)…..Tim Jackson in “Prosperità senza crescita” ci ricorda che nel 2050 per
mantenere gli attuali standard di produzione e consumo, rapportati ai futuri nove
miliardi di abitanti, il volume dell’economia dovrebbe crescere di 15 volte
rispetto all’attuale…..Sono dati impressionanti.
La Acrescita richiede sicuramente di andare
oltre le rigidità, le inadeguatezze, gli errori, la cecità delle teorie
economiche mainstream, ma il vero incentivo ad iniziare ad attuarla sta innanzitutto
nella conquista della consapevolezza che……il benessere non dipende, soddisfatti i beni primari,
dalla quantità di merci a disposizione, ma dalla possibilità (per tutti) di godersi la vita senza compromettere una uguale
opportunità alle generazioni future….
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