DOCUMENTAZIONE IN MERITO AL PROSSIMO QUESITO
REFERENDARIO SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE
Proseguiamo, con questo
quarto contributo, la pubblicazione di documentazione inerente il prossimo
Referendum Costituzionale. In attesa di un analogo documento/appello da parte
dei nascenti Comitati per il SI seguono……
….stralci del documento dell’’Associazione Libertà e Giustizia a
sostegno del NO al referendum sulla Riforma Costituzionale
……..nella campagna per il referendum costituzionale i fautori del Sì useranno alcuni slogan. Noi, i fautori del NO, risponderemo con argomenti. Loro diranno, ma noi diciamo.
1. Diranno che “gli italiani” aspettano queste riforme da vent’anni (o trenta, o anche settanta, secondo l’estro)
……..nella campagna per il referendum costituzionale i fautori del Sì useranno alcuni slogan. Noi, i fautori del NO, risponderemo con argomenti. Loro diranno, ma noi diciamo.
1. Diranno che “gli italiani” aspettano queste riforme da vent’anni (o trenta, o anche settanta, secondo l’estro)
Noi diciamo che da quando è stata approvata la Costituzione –
democrazia e lavoro – c’è chi non l’ha mai accettata e, non avendola accettata,
ha cercato in ogni modo, lecito e illecito, di cambiarla per imporre una
qualche forma di regime autoritario. Chi ha un poco di memoria, ricorda i nomi
Randolfo Pacciardi, Edgardo Sogno, Luigi Cavallo, Giovanni Di Lorenzo, Junio
Valerio Borghese, Licio Gelli, per non parlare di quella corrente
antidemocratica nascosta che di tanto in tanto fa sentire la sua presenza nella
politica italiana. A costoro devono affiancarsi, senza confonderli, coloro che
negli anni hanno cercato di modificare la Costituzione spostandone il
baricentro a favore del governo o del leader: commissioni bicamerali varie,
“saggi” di Lorenzago, “saggi” del presidente, eccetera. È vero: vi sono tanti
che da tanti anni aspettano e pensano che questa sia finalmente “la volta
buona”. Ma questi non sono certo “gli italiani”, i quali del resto, nella
maggioranza che si è espressa nel referendum di dieci anni fa, hanno respinto
col referendum un analogo tentativo, il tentativo che, più di tutti gli altri
sembrava vicino al raggiungimento dello scopo. A coloro che vogliono parlare
“per gli italiani”, diciamo: parlate per voi.
2. Diranno che “ce lo chiede l’Europa” (…)
Diteci che cosa rappresenta l’Europa di oggi se non
principalmente il tentativo di garantire equilibri economico-finanziari del
Continente per venire incontro alla “fiducia degli investitori” e a proteggerli
dalle scosse che vengono dal mercato mondiale. A questo fine, l’Europa ha
bisogno d’istituzioni statali che eseguano con disciplina i Diktat ch’essa
emana, come quello indirizzato il 5 agosto 2011 al “caro primo ministro”,
contenente un vero e proprio programma di governo ultra-liberista, in materia
economico-sociale, associato all’invito di darsi istituzioni decidenti per
eseguirlo in conformità. Dite: “Ce lo chiede l’Europa” e tacete della famosa
lettera Draghi-Trichet, parallela ad analoghi documenti provenienti da “analisti”
di banche d’affari internazionali, che chiede riforme istituzionali limitative
degli spazi di partecipazione democratica, esecutivi forti e parlamenti deboli,
in perfetta consonanza con ciò che significano le “riforme” in corso nel nostro
Paese. (…) A chi dice: ce lo chiede l’Europa, poniamo a nostra volta la
domanda: qual è l’Europa alla quale volete dare risposte?
3. Diranno che le riforme servono alla “governabilità”
(..) “Governabile” è chi si lascia docilmente governare e
chiediamo: chi si deve lasciar governare e da chi? Noi pensiamo che occorra
“governo”, non governabilità, e che governo, in democrazia, presupponga idee e
progetti politici capaci di suscitare consenso, partecipazione, sostegno. In
assenza, la democrazia degenera in linguaggio demagogico, rassicurazioni vuote,
altra faccia della rassegnazione, e dell’abulia: materia passiva,
irresponsabile e facile alla manipolazione. Questa è la governabilità. A chi
dice “governabilità” noi rispondiamo: partecipazione e governo democratico.
4. Diranno: ma la riforma è pur stata approvata dal Parlamento, l’organo della democrazia.
Ma noi diciamo: quale Parlamento? Il Parlamento illegittimo, eletto con una legge elettorale obbrobriosa, dichiarata incostituzionale, per l’appunto, per essere antidemocratica (deputati e senatori nominati e non eletti; premio di maggioranza abnorme che ha scollato gli eletti dagli elettori). La Corte costituzionale ha bollato quell’elezione come una specie di golpe elettorale, per avere “rotto il rapporto di rappresentanza” (testuale). È vero che la Corte aggiunse che, per l’esigenza di continuità costituzionale, le Camere così elette non sarebbero decadute immediatamente. Ma è chiaro a tutti coloro che hanno ancora un’idea seppur minima di democrazia che da quella sentenza si sarebbe dovuto procedere tempestivamente, per mezzo d’una nuova legge elettorale conforme alla Costituzione, a nuove elezioni, per ristabilire il rapporto di rappresentanza. (…) È vero che, scandalosamente, anche da parte delle più alte autorità della Repubblica, dell’informazione e da parte di non poca “dottrina” costituzionalistica, si fa finta che non esista una questione di legittimità che getta un’ombra su tutta questa vicenda, tanto più in quanto, se non vi fosse stato l’incostituzionale premio di maggioranza, sarebbero mancati i numeri necessari per portarla a compimento. (…)
5. Parleranno di atto d’orgoglio politico dei parlamentari, finalmente capaci di “autoriformarsi” senza guardare al proprio interesse
Noi parliamo, piuttosto, d’arroganza dell’esecutivo. Queste
riforme sono state avviate dall’esecutivo con l’impulso di quello che, per
debolezza e compiacenza, è potuto essere per diversi anni il vero capo
dell’esecutivo, il presidente della Repubblica; sono state recepite nel
programma di governo e tradotte in disegni di legge imposti all’approvazione
del Parlamento con ogni genere di pressione (minacce di scioglimento, di
epurazione, sostituzione dei dissenzienti, bollati come dissidenti), di
forzature (strozzamento delle discussioni parlamentari, caducazione di
emendamenti), di trasformismo parlamentare (passaggi dall’opposizione alla
maggioranza in cambio di favori e posti) fino ai voti di fiducia, come se la
Costituzione e le istituzioni fossero materia appartenente al governo, fino a
raggiungere il colmo: la questione di fiducia posta addirittura agli elettori,
sull’approvazione referendaria della riforma (o me o la riforma, sempre che
voglia prendere sul serio un simile proclama da parte di uno che non eccede in
coerenza ed eccede invece in spregiudicatezza). Questo non è il primato della
politica, ma delle minacce e degli allettamenti. Se volete parlare di politica,
noi diciamo: sì, ma sapendo che è mala politica.
6. S’inorgogliranno chiamandosi “governo costituente”
Noi diciamo che il “governo costituente”, in democrazia, è
un’espressione ambigua. Sono i governi dei caudillos e dei colonnelli
sud-americani, quelli che, preso il potere, si danno la propria costituzione:
costituzione non come patto sociale e garanzia di convivenza ma come strumento,
armatura del proprio potere. Il popolo e la sua rappresentanza, in democrazia,
possono essere “costituenti”. I governi, poiché sono espressione non di tutta
la politica, ma solo d’una parte, devono stare sotto la Costituzione, non sopra
come credono invece di stare d’essere i nostri riformatori che si fanno forti
dello slogan “abbiamo i numeri”, come se avere i numeri, comunque racimolati,
equivalga all’autorizzazione a fare quel che si vuole. (…)
7. Diranno che l’iniziativa del governo nelle faccende costituzionali non ha nulla d’anormale e, quelli che sanno, porteranno l’esempio della Francia, del generale De Gaulle e della sua riforma costituzionale del 1962.
7. Diranno che l’iniziativa del governo nelle faccende costituzionali non ha nulla d’anormale e, quelli che sanno, porteranno l’esempio della Francia, del generale De Gaulle e della sua riforma costituzionale del 1962.
Noi ci limitiamo a porre queste domande: credete davvero
d’essere dei nuovi De Gaulle, il capo della Resistenza repubblicana che sbarca
in Normandia al momento della liberazione? E di poter paragonare l’Italia di
oggi alla Francia d’allora? La riforma francese aveva alla sua base le idee
costituzionali enunciate “disinteressatamente” nel 1946 a Bayeux, guardando
lontano e radicandosi nel passato della storia della Repubblica francese. Noi
abbiamo invece testi raffazzonati all’ultima ora, la cui approvazione si è resa
possibile per equivoci compromessi concettuali e lessicali, proprio sul punto
centrale della riforma del Senato. (…)
8. Diranno che, anche ad ammettere che la riforma abbia avuto una genesi non democratica e un iter parlamentare telecomandato nei tempi e nei contenuti, alla fine la democrazia trionferà nel referendum confermativo.
8. Diranno che, anche ad ammettere che la riforma abbia avuto una genesi non democratica e un iter parlamentare telecomandato nei tempi e nei contenuti, alla fine la democrazia trionferà nel referendum confermativo.
Noi diciamo che la riforma forse sottoposta al giudizio degli
elettori porta il segno della sua origine tecnocratica unilaterale e che il
referendum richiesto dallo stesso governo che l’ha voluta lo trasformerà in un
plebiscito. Non si tratterà di un giudizio su una Costituzione destinata a
valere negli anni, ma di un voto su un governo temporaneamente in carica. (…)
Avremo una campagna referendaria in cui il governo avrà una presenza battente,
come se si trattasse d’una qualunque campagna elettorale a favore di una parte
politica, e farà valere il “plusvalore” che assiste sempre coloro che
dispongono del potere, complice anche un’informazione ormai quasi completamente
allineata.
9. Diranno che non c’è da fare tante storie, perché, in fondo,
si tratta d’una riforma essenzialmente tecnica, rivolta a razionalizzare i
percorsi decisionali e a renderli più spediti ed efficienti
Noi diciamo: altro che tecnica! È la razionalizzazione d’una
trasformazione essenzialmente incostituzionale, che rovescia la piramide democratica.
Le decisioni politiche, da tempo, si elaborano dall’alto, in sedi riservate e
poco trasparenti, e vengono imposte per linee discendenti sui cittadini e sul
Parlamento, considerato un intralcio e perciò umiliato in tutte le occasioni
che contano. La democrazia partecipativa è stata sostituita da un sistema
opposto di oligarchia riservata. (…) Le “riforme” costituzionali sono in realtà
adeguamenti della Costituzione a questa realtà oligarchica. Poiché siamo per la
democrazia, e non per l’oligarchia, siamo contrari a questo adeguamento
spacciato come riforma.
10. Diranno che i partiti di sinistra, già al tempo della Costituente, avevano criticato il bicameralismo (cuore della riforma) e che perfino Pietro Ingrao, ancora negli anni 80, si espresse per l’abolizione del Senato
10. Diranno che i partiti di sinistra, già al tempo della Costituente, avevano criticato il bicameralismo (cuore della riforma) e che perfino Pietro Ingrao, ancora negli anni 80, si espresse per l’abolizione del Senato
Noi diciamo: andate a leggere i resoconti di quei dibatti e vi
renderete conto che si trattava, allora, di semplificare le istituzioni
parlamentari per dare più forza alla rappresentanza democratica e fare del
Parlamento il centro della vita politica (si parlava di “centralità del
Parlamento”). La visione era quella della democrazia partecipativa o, nel
linguaggio di Ingrao, della “democrazia di massa”. Oggi è tutto il contrario:
si tratta di consolidare il primato dell’esecutivo emarginando la
rappresentanza, in quanto portatrice di autonome istanze democratiche. (…)
11. Diranno che siamo come i ciechi conservatori che hanno paura del nuovo, anzi del “futuro-che-è-oggi”, e sono paralizzati dal timore dell’ “uomo forte”
Noi diciamo che a noi non interessano “riforme” che riforme non sono, ma sono “consolidazioni” dell’esistente: un esistente che non ci piace affatto perché portatore di disgregazione costituzionale e di latenti istinti autoritari. Questi istinti non si manifestano necessariamente attraverso l’uso esplicito della forza da parte di un “uomo forte”. Questo accadeva in altri, più primitivi tempi. Oggi, si tratta piuttosto dell’occupazione dei posti strategici dell’economia, della politica e della cultura che forma l’ideologia egemonica del momento. Questo è ciò che sta accadendo manifestamente e solo chi chiude gli occhi e vuole non vedere, può vivere tranquillo. Si tratta, per portare a compimento questo disegno, di eliminare o abbassare gli ostacoli (pluralismo istituzionale, organi di controllo e di garanzia) che frenano il libero dispiegarsi del potere che si coagula negli organi esecutivi. Non occorre eliminarli, ma normalizzarli, ugualizzarli, standardizzarli, il che significa l’opposto del far opera costituente.
12. Diranno che siamo per l’immobilismo, cioè che difendiamo l’indifendibile: una condizione della politica che non ha mai toccato un punto così basso in tutta la storia repubblicana, mentre loro vogliono rianimarla e rinnovarla
Noi opponiamo una classica domanda alla quale i riformatori
costantemente sfuggono: sono più importanti le istituzioni o coloro che operano
nelle istituzioni? La risposta, che sta non solo in venerandi scritti sulla
politica e sulla democrazia – che i nostri riformatori, con tranquilla e beata
innocenza mostrano d’ignorare completamente – ma anche nelle lezioni della
storia, è la seguente: istituzioni imperfette possono funzionare
soddisfacentemente se sono in mano a una classe politica degna e consapevole
del compito di governo che è loro affidato, mentre la più perfetta delle
costituzioni è destinata a funzionare malissimo in mano a una classe politica
incapace, corrotta, inadeguata. Per questo noi diciamo: non accollate a una
Costituzione le colpe che sono vostre. (…)13. Diranno: non ve ne va bene una;
la vostra è una opposizione preconcetta. Non siete d’accordo nemmeno
sull’abolizione del Cnel e la riduzione dei “costi della politica”? Noi
diciamo: qualcosa c’è di ovvio, su cui voteremmo pure sì, ma è mescolato, come
argomento-specchietto, per far passare il resto presso un’opinione pubblica
orientata anti-politicamente. A parte il Cnel, che in effetti s’è dimostrato in
questi anni una scatola quasi vuota, la riduzione dei costi della politica
avrebbe potuto essere perseguito in diversi altri modi: riduzione drastica del
numero dei deputati, perfino abolizione pura e semplice del Senato in un
contesto di garanzie ed equilibri costituzionali efficaci. Non è stato così. Si
è voluto poter disporre d’un argomento demagogico che trova alimento nella
lunga tradizione antiparlamentare che ha sempre alimentato il qualunquismo
nostrano. Avere unificato in un unico voto referendario tanti argomenti tanto
diversi (forma di governo e autonomie regionali) è un abile trucco
costituzionalmente scorretto, che impedisce di votare sì su quelle parti della
riforma che, prese per sé e in sé, risultassero eventualmente condivisibili.
Voi dite di voler combattere l’antipolitica, ma proprio voi ne esprimete
l’essenza. (…)
14. Diranno: come è possibile disconoscere il serio lavoro fatto da numerosi esperti, a incominciare dai “saggi” del presidente della Repubblica, passando per la Commissione governativa, per le tante audizioni parlamentari di distinti costituzionalisti, fino ad approdare al Parlamento e al ministro competente per le riforme costituzionali. Tutto ciò non è per voi garanzia sufficiente d’un lavoro tecnicamente ben fatto?
(…) Le questioni costituzionali non sono mai solo tecniche. A
ogni modifica della collocazione delle competenze e delle procedure corrisponde
una diversa allocazione del potere. Nella specie, ciò che si sta realizzando,
per l’effetto congiunto della legge elettorale e della riforma costituzionale,
è l’umiliazione del Parlamento elettivo davanti all’esecutivo; l’esecutivo, un
organo che, non essendo “eletto”, potrà derivare dall’iniziativa del presidente
della Repubblica che, dall’alto, potrà manovrare – come è avvenuto – per
ottenere la fiducia della Camera. Quanto poi alla bontà del testo di riforma
dal punto di vista tecnico, ci limitiamo a questo esempio, la definizione delle
competenze legislative da esercitare insieme dalla Camera e dal Senato (sì, il
Senato rimane, il bicameralismo anche e, se la seconda Camera non si arenerà su
un binario morto, i suoi rapporti con la prima Camera daranno luogo a numerosi
conflitti): “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due
Camere per (sic!) le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi
costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni
costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum
popolari, le altre forme di consultazione di cui all’art. 71, per le leggi che
determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo,
le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le
disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che
stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione
dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche
dell’Unione europea, per quella (?) che determina i casi di ineleggibilità e di
incompatibilità con l’ufficio di senatore e di cui all’art. 65, primo comma, e
per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114,
terzo comma, 116 terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120,
secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma”. Se questo pasticcio è
il prodotto dei “tecnici”, noi diciamo che hanno trattato la Costituzione come
una legge finanziaria o, meglio, come un Decreto milleproroghe qualunque: sono
infatti formulati così. Quanto ai contenuti, come possono i “tecnici” non aver
colto le contraddizioni dell’art. 5, noto perché su di esso si è prodotta una
differenziazione nella maggioranza, poi rientrata. Riguarda la composizione del
Senato e non si capisce se i senatori rappresenteranno le Regioni in quanto
enti, i gruppi consiliari oppure le popolazioni; non si capisce poi se saranno
effettivamente scelti dagli elettori o dai Consigli regionali. Saranno eletti –
si scrive – dai Consigli regionali “In conformità alle scelte espresse dagli
elettori per i candidati consiglieri”. Ma, se queste scelte saranno vincolanti,
non ci sarà elezione ma, al più ratifica; se non saranno vincolanti, come si
può parlare di “conformità”. Un pasticcio dell’ultima ora che darà filo da
torcere a che dovrà darne attuazione: parallele convergenti, quadratura del
cerchio… Agli autorevoli fautori di norme come queste, citate qui a modo
d’esempio chiediamo sommessamente: dite con parole vostre e con parole chiare
che cosa avete voluto. (…) Questi tecnici non hanno dato il meglio di sé, forse
perché hanno dovuto nascondere nell’oscurità l’assenza di chiarezza che ha
regnato nella testa di coloro che hanno dato loro il mandato di scrivere queste
norme. Loro non lo diranno, ma lo diciamo noi. Nella confusione, una cosa è
chiara: l’accentramento a favore dello Stato a danno delle Regioni e, nello
Stato, a favore dell’esecutivo a danno dei cittadini e della loro rappresentanza
parlamentare. Orbene, noi della Costituzione abbiamo un’idea diversa: patto
solenne che unisce un popolo sovrano che così sceglie come stare insieme in
società. “Unisce”? Questa riforma non unisce ma divide. Non è una costituzione,
ma una s-costituzione. “Popolo sovrano”? Dov’è oggi svanita la sovranità,
quella sovranità che l’art. 1 della Costituzione pone nel popolo e che l’art.
11 autorizza bensì a “limitare”, ma precisando le condizioni (la pace e la
giustizia tra le Nazioni) e vietando che sia dismessa e trasferita presso
poteri opachi e irresponsabili? È superfluo ripetere quello che da tutte le
parti si riconosce: per molte ragioni, il popolo sovrano è stato spodestato. Se
manca la sovranità, cioè la libertà di decidere da noi della nostra libertà,
quella che chiamiamo costituzione non più è tale. Sarà, al più, uno strumento
di governo di cui chi è al potere si serve finché è utile e che si mette da
parte quando non serve più. La prassi è lì a dimostrare che proprio questo è
stato l’atteggiamento sfacciatamente strumentale degli ultimi anni: la
Costituzione non è stata sopra, ma sotto la politica e perciò è stata forzata e
disattesa innumerevoli volte nel silenzio compiacente della politica, della
stampa, della scienza costituzionale. Ora, la riforma non è altro che la
codificazione di questa perdita di sovranità. Apparentemente, la vicenda che
stiamo vivendo è una nostra vicenda. In realtà, chi la conduce lo fa in nome
nostro ma, invero, per conto d’altri che già hanno fatto il bello e il cattivo
tempo nei Paesi economicamente, politicamente e socialmente più deboli e
s’apprestano a continuare. Per questo, chiedono governi che non abbiano da
dipendere dai parlamenti e, ove sia il caso, dispongano di strumenti per
mettere i parlamenti, rappresentativi
E' ormai iniziato, seppure con notevole anticipo, il valzer dei sondaggi sulle intenzioni di voto al prossimo Referendum Costituzionale. Sondaggi che non significano nulla, ovviamente, al punto da non richiedere commento alcuno. Merita invece attenzione un sondaggio IPSOS (Nando Pagnoncelli) di questi giorni, il cui esito conferma, innanzitutto, la necessità di uno sforzo collettivo di informazione così come stiamo cercando di fare anche in questo "piccino" blog. Cosa è emerso da questo sondaggio? Che AD OGGI:
RispondiElimina- il 7% degli intervistati DICHIARA di conoscere bene il tema referendario e di essere informato nel merito
- il 28% di sapere genericamente di cosa si tratta
- il 44% di non sapere nulla sulle questioni oggetto del quesito referendario
- il 21% non sa che ad Ottobre ci sarà un referendum.
Ritratto preoccupante del "popolo sovrano".