lunedì 9 maggio 2016

Referendum Costituzionale - Contributo n° 3


DOCUMENTAZIONE VARIA IN MERITO AL PROSSIMO QUESITO REFERENDARIO SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE



Proseguiamo nella pubblicazione di documenti utili, si spera, a capire e, conseguentemente, a maturare opinioni su basi più consistenti in merito al quesito referendario costituzionale del prossimo Ottobre. Dopo il prospetto comparativo fra la Costituzione originaria e quella risultante dalle modifiche apportate, dopo il parere “tecnico” dei Docenti di Diritto Pubblico Umberto Allegretti e Enzo Balboni proponiamo una scheda sintetica degli aspetti più rilevanti delle modifiche, ad opera del Prof. Gaetano Azzariti (autore di un nuovo saggio in corso di uscita su queste tematiche) ed una raccolta di “precisazioni e commenti” al riguardo. Entrambi privilegiano gli aspetti controversi e più discussi con un taglio “critico”.


Le modifiche Costituzionali in sintesi.



Scheda/commento del Prof. Gaetano Azzariti  (Professore ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma “La Sapienza”. Ha fondato ed è condirettore della rivista on line “Costituzionalismo.it”. Collabora al quotidiano “il manifesto”. Di recente ha pubblicato Il costituzionalismo moderno può sopravvivere?¸ Roma-Bari,Laterza, 2013






Eliminato il rapporto di fiducia tra il Governo e il Senato: sarà la sola Camera ad accordare o revocare la fiducia al Governo.

In raccordo con la legge elettorale n. 52 del 2015 (c.d. Italicum), che assicura una maggioranza assoluta dei seggi all’unica lista che ottiene il miglior risultato (al primo turno se supera la soglia del 40% dei voti espressi; al ballottaggio senza la previsione di una soglia di partecipazione, dunque anche nel caso di una astensione maggioritaria), si produrrà l’effetto che un solo partito potrà formare il Governo e ottenere la fiducia alla Camera, anche se espressione di una esigua minoranza di votanti.

Differenziate le funzioni delle Camere:

• alla Camera dei deputati sono attribuite la rappresentanza della Nazione, la funzione legislativa, la funzione di indirizzo politico e quella di controllo dell’operato del Governo;

• al Senato della Repubblica sono attribuite la rappresentanza delle Istituzioni territoriali, la partecipazione al procedimento legislativo, la funzione di raccordo tra lo Stato e gli enti territoriali e la valutazione delle politiche pubbliche e dell’attività delle pubbliche amministrazioni.

Mentre è chiaro il ruolo politico-costituzionale della Camera dei Deputati, risulta indeterminato e confuso il ruolo del Senato: rappresenta gli enti territoriali, ma svolge anche altre funzioni non omogenee.

La composizione e l’elezione del nuovo Senato

Il Senato non è più eletto a suffragio universale e diretto. La Camera dei deputati resta l’unica Camera eletta direttamente dai cittadini.

Viene ridotto il numero complessivo dei senatori a 100 (rispetto ai 315 senatori attuali), dei quali:

− 74 saranno consiglieri regionali eletti dai Consigli regionali di appartenenza, in conformità alle scelte espresse dagli elettori in sede di elezione degli stessi Consigli;

− 21 saranno sindaci eletti dai Consigli regionali, nella misura di uno per ciascuno, fra tutti i sindaci dei comuni della Regione;

− 5 nominati dal Presidente della Repubblica tra i cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario (con mandato di sette anni non rinnovabile).

La modalità di scelta dei Senatori è rimasta del tutto indeterminata. Non sciolta l’alternativa tra elezione indiretta (da parte dei Consigli regionali) o diretta (da parte del corpo elettorale), si è rinviata ad una successiva legge ordinaria.

Non è stato chiarito in che modo verranno scelti i 21 sindaci. Anche in questo caso sarà la legge ordinaria a specificarlo.

È stata introdotta una figura di senatori del tutto nuova: di nomina Presidenziale “a tempo” (anziché “a vita”, com’è adesso). La durata di sette anni è la stessa della durata del mandato presidenziale, il che collegherà questi senatori ai Presidenti in carica, con un’attenuazione della autonomia istituzionale.

Stravolgimento del procedimento legislativo

Stravolto il procedimento legislativo: la partecipazione paritaria delle due Camere sarà limitata a un numero definito di leggi bicamerali (leggi costituzionali e leggi in materia di elezione del Senato, referendum popolare e ordinamento degli enti territoriali).

Per tutte le altre leggi, il Senato potrà solo proporre modifiche sulle quali la Camera si pronuncia in via definitiva.

Introdotto il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali delle Camere: è riconosciuta ad un terzo dei senatori o ad un quarto dei deputati la possibilità di sottoporre alla Corte Costituzionale le leggi elettorali prima della loro promulgazione.

L’iter di formazione delle leggi si complica: sono una decina le diverse modalità previste di approvazione di una legge. È forte il rischio di aumentare il contenzioso davanti alla Corte costituzionale. Saranno i Presidenti di Camera e Senato a risolvere i (prevedibilmente numerosi) casi controversi, ovvero se seguire l’uno o l’altro iter di formazione.
Il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali rischia di politicizzare il giudizio della Corte costituzionale: esso avverrà subito dopo l’approvazione delle legge e sarà di natura generale e astratta. La Corte costituzionale – mediante una dichiarazione del Presidente della Corte – si era opposta a questa nuova competenza. Non è stato definito il rapporto tra questa nuova competenza (sindacato in via preventiva) e quella attualmente svolta (sindacato in via successiva): potrà una legge elettorale essere sindacata anche successivamente? E che influenza eserciterà il giudizio preventivo su quello successivo?

Nuovo sistema di elezione degli organi costituzionali di garanzia

Modificato il sistema di elezione del Presidente della Repubblica in conseguenza della riduzione del numero dei senatori: per l’elezione del Presidente da parte del Parlamento in seduta comune (630 deputati + 100 senatori) sono richieste le seguenti maggioranze qualificate:

− 2/3 dell’assemblea dal primo al terzo scrutinio;
− 3/5 dell’assemblea dal quarto al sesto scrutinio;
− 3/5 dei votanti dal settimo scrutinio.

Modificato anche il sistema di elezione dei giudici costituzionali: dei cinque giudici di espressione parlamentare, tre saranno nominati dalla Camera e due dal Senato.

Aumenta il peso della Camera nella scelta del Capo dello Stato. In raccordo con la legge elettorale n. 52 del 2015 (c.d. Italicum), aumenta in proporzione il peso del partito che ha – grazie al premio elettorale conseguito per poter formare il Governo – la maggioranza alla Camera

La previsione delle diverse maggioranze qualificate è stato proposto per compensare lo sbilanciamento a favore del partito che ha la maggioranza dei seggi alla Camera (oltre ai propri rappresentanti in Senato) tende a preservare il carattere “non maggioritario” della scelta del Presidente della Repubblica, che rappresenta l’unità nazionale. Dal settimo scrutinio, però, la maggioranza dei 3/5 è calcolata “sui votanti” e non “sui componenti”. Non può escludersi dunque un Presidente eletto con maggioranze parlamentari ridotte (qualora una o più forze politiche decidano di non presentarsi al voto).

L’elezione dei due giudici costituzionali da parte del Senato introduce una logica di parte (il Senato rappresenta le istituzioni territoriali) entro un organo di garanzia costituzionale non territoriale, bensì costituzionale.

Prerogative del Governo

Ammessa la possibilità per il Governo di chiedere alle Camere la votazione prioritaria dei disegni di legge dichiarati essenziali per l’attuazione del programma di governo.            Questo comporta che:

− il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro 5 giorni dalla richiesta, che un disegno di legge sia iscritto con priorità all’ordine del giorno;

− il disegno di legge prioritario dovrà essere sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei deputati entro il termine di 70 giorni;

− sono ridotti della metà i termini già esigui per la deliberazione di proposte di modificazione da parte del Senato.

Tale procedura di esame e votazione prioritaria è esclusa per: le leggi ad approvazione paritaria di camera e Senato, le leggi in materia elettorale, le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, le leggi di concessione dell’amnistia e dell’indulto e la legge che reca il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri per l’equilibrio di bilancio.

Introdotti alcuni vincoli alla decretazione d’urgenza, peraltro oggi già fissati dalle leggi ordinarie e dai principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale: la possibilità di ricorso al decreto-legge è espressamente esclusa per le leggi in materia costituzionale ed elettorale, le deleghe al Governo, l’autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, l’approvazione di bilanci e il ripristino di norme che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittime.

Vengono introdotti alcuni limiti con riferimento alla decretazione d’urgenza, compensati dalla possibilità data al Governo di far approvare i disegni di legge entro termini certi. Alla compressione dell’autonomia della Camera (obbligata a esprimersi entro un tempo prefissato) si somma l’aumento del potere del Governo in Parlamento.

Il rapporto tra lo Stato e le istituzioni territoriali: la nuova riforma del Titolo V

Abolita la legislazione concorrente tra Stato e Regioni, per come delineata dalla riforma del titolo V del 2001, e rivisto conseguentemente il perimetro delle materie di competenza esclusiva, rispettivamente, statale e regionale.

Ricondotte alla competenza esclusiva dello Stato alcune materie, già concorrenti, tra cui: grandi reti di trasporto e navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; promozione della concorrenza; tutela della salute; tutela e sicurezza del lavoro; politiche sociali; istruzione e formazione professionale.

Introdotta la cosiddetta “clausola di supremazia statale”: ai fini della tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica o dell’interesse nazionale, si è previsto che su proposta del Governo – che se ne assume pertanto la responsabilità – la legge statale possa intervenire anche in materie di competenza esclusiva delle Regioni.

Abolite le Province quali organi costituzionali dotati di funzioni e poteri propri.

Abolito il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL).

Eliminata la competenza concorrente e re-introdotta la “clausola di supremazia”, il potere legislativo delle Regioni si riduce. Sembra ci si allontani dal modello “solidale” di federalismo (basato sulla leale collaborazione e la “concorrenza” tra le funzioni), per avvicinarsi al modello “competitivo” (basato sulla netta separazione tra Stato e Regioni e tra Regioni). Si è conservato il vecchio criterio di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni (il criterio delle materie) che è stato indicato dalla Corte costituzionale come un fattore di destabilizzazione. Non si è colta l’occasione per passare ad un criterio diverso (ad esempio quello delle funzioni) che potesse effettivamente semplificare e ridurre il contenzioso tra centro e periferia.

La concorrenza tra la funzione legislativa dello Stato e quella delle Regioni, formalmente eliminata, in realtà avrà ancora la possibilità di essere esercitata in tutte quelle materie dove la competenza esclusiva dovrà limitarsi alle “disposizioni generali e comuni”. Questa nuova formulazione appare di incerto significato: dovrà intervenire la Corte costituzionale a chiarirne la portata.

L’abolizione delle Province elimina la “copertura costituzionale”, ma non produce l’effetto automatico della cancellazione di questi enti territoriali, che potranno continuare ad essere regolati dalla legge, almeno fin tanto che la maggioranza e il Governo lo riterrà utile.

Strumenti di democrazia diretta

Viene innalzato fino a 150mila (attualmente 50mila) il numero delle firme richieste per la loro presentazione alle Camere dei i disegni di legge d’iniziativa popolare. Si vincolano i Regolamenti parlamentari a prevedere, per questi disegni di legge, tempi certi di esame e votazione.

Viene modificato l’istituto del referendum abrogativo, con l’introduzione di un doppio quorum:

• in caso di sottoscrizione della proposta da parte di 500mila elettori, per la validità della consultazione sarà necessaria la partecipazione al referendum della maggioranza degli aventi diritto al voto;

• in caso di sottoscrizione della proposta da parte di 800mila elettori, sarà sufficiente la partecipazione della maggioranza dei votanti all’ultima elezione della Camera dei deputati.

Gli strumenti di democrazia diretta non vengono favoriti: da un lato si prevede l’innalzamento del numero delle firme necessarie per poter presentare disegni di legge d’iniziativa popolare, dall’altro si rinvia ai Regolamenti parlamentari di stabilire le regole per la presa in esame da parte delle Camere.

Si introduce un doppio quorum di validità del referendum in base al numero si sottoscrittori. Si semplifica assai una questione in realtà molto complessa


Precisazioni e commenti (in ordine sparso)    
raccolte/i in Rete al fine di individuare i punti controversi (sono stati quindi selezionati, in questa fase di approccio alla tematica, prevalentemente quelli che esprimono  critiche e perplessità)
v La prima obiezione avanzata al percorso di riforma costituzionale è quella sollevata da alcuni costituzionalisti che ritengono che dopo la sentenza n.1 del 2014 della Corte Costituzionale (sentenza che dichiarava incostituzionale il sistema elettorale Porcellum con il quale questo Parlamenrto è stato eletto) l Parlamento non fosse idoneo ad intraprendere un percorso di riforme così impegnativo. Sono stati infatti modificati oltre 40 articoli della Costituzione
v Nel nostro ordinamento costituzionale infatti al Governo non spettano tutti i poteri, bensì solo alcune fondamentali, ma pur sempre definite, funzioni. Esso principalmente è titolare – assieme ad altri organi – dell’indirizzo politico che si realizza nel programma di governo. Tradizionalmente sfugge all’esecutivo la materia costituzionale ed è per questo che le iniziative per l’eventuale revisione della costituzione sono prese dal Parlamento, che è l’organo a cui spetta il potere di revisione. La ragione sostanziale che porta a questa separazione di compiti (al Governo l’ordinaria gestione del potere, al Parlamento la straordinaria manutenzione del testo della costituzione) dovrebbe essere intuitiva e accettata da ogni persona che abbia consapevolezza dell’importanza del principio della divisione dei poteri: ad evitare il rischio che una maggioranza politica intervenga impropriamente sulle regole di tutti. L’assunzione della responsabilità diretta della revisione da parte del governo Renzi evidenzia quindi, a giudizio di molti costituzionalisti, uno squilibrio a favore dell’esecutivo e a scapito del legislativo.
v Una seconda perplessità pregiudiziale e di metodo è rappresentata dal fatto che il Governo, con la sua proposta, prima, e poi con le condizioni imperative di contenuti e di tempi ha giocato un ruolo che nelle riforme costituzionali non gli è proprio, usurpando spazi delle prerogative delle Camere
v Il bicameralismo perfetto è stato pensato, in una fase storica particolare – subito dopo la guerra, introduzione del suffragio universale, passaggio alla Repubblica - dai costituenti come strumento per permettere una maggiore ponderazione e approfondimento sui provvedimenti del Parlamento,
v E’ da anni sottoposto a critiche per il rallentamento che comporta il doppio passaggio di qualsiasi provvedimento in entrambe le Camere: una legge non può entrare in vigore se non è approvata, con contenuto identico, in entrambi i rami dell’assemblea parlamentare
v Inoltre il sistema bicamerale rende particolarmente instabile l’operato del governo, essendo sufficiente il dissenso di una sola delle due parti del Parlamento per farlo cadere.
v Prima di entrare nel merito dei diversi punti “critici” è opportuno capire il collegamento della discussione parlamentare, e non, per definire questo impianto riformatore con il dibattito che nei decenni precedenti si era già sviluppato al riguardo. Secondo alcuni costituzionalisti pare che si possa dire che le modifiche apportate hanno certamente radici lontane ( non c’è progetto che sia stato elaborato in passato che non abbia toccato il nodo rappresentato dalla nostra formula bi-camerale o il rapporto tra Stato e Regioni, sia sotto il profilo dei criteri di riparto delle competenze legislative, sia sotto il profilo dei necessari meccanismi di raccordo tra centro e periferia idonei a garantire la coerenza complessiva del nostro ordinamento)
v Se dunque, in termini generali pare prevalere l’idea di una sostanziale continuità (che vale quasi unanimemente per la riforma del bicameralismo paritario attraverso la trasformazione della seconda Camera in sede di rappresentanza degli interessi regionali e locali, già ipotizzata  dalla stessa  Assemblea costituente) sorgono diverse perplessità in relazione a quello che dovrebbe diventare il nuovo Titolo V della seconda parte della Costituzione. A quest’ultimo riguardo, l’ispirazione e le concrete soluzioni adottate paiono a molti caratterizzate da una forte discontinuità rispetto al passato. Rispetto ad una linea mai abbandonata che, dalla Costituente in poi, ha concepito la Regione come ente di programmazione e legislazione (una linea di tendenza che ha trovato la sua più piena realizzazione nell’impianto della riforma del 2001 del Titolo V), la riforma comporta una vera e propria inversione di tendenza (qualcuno ha parlato di una vera e propria “controriforma” a sottolineare appunto la forte discontinuità con il passato). 
v Nel nuovo sistema di “bicameralismo differenziato” prevista dalla Riforma Costituzionale (definita dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi la “madre di tutte le riforme) è stato quindi previsto che, pur mantenendo la struttura bicamerale, le competenze della Camera e quelle del Senato risultino fortemente diversificate, con un’importante limitazione dei poteri di quest’ultimo Infatti solo la Camera dei Deputati voterà la fiducia al Governo, e sempre la Camera sarà l’unica ad avere una competenza legislativa piena
v La necessità della approvazione del Senato, e quindi il permanere del sistema di bicameralismo perfetto, riguarderà solamente alcune materie: le più importanti sono: le leggi costituzionali, la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le normativa riguardanti Comuni e città metropolitane
v Per quanto riguarda le altre leggi, il Senato potrà chiedere alla Camera d modificarle, ma questa non sarà tenuta a farlo. In particolare, se il Senato chiede alla Camera di modificare una legge che riguarda il rapporto tra Stato e Regioni la Camera potrà respingere la richiesta solo a maggioranza assoluta. In caso di contrasto e divergenze è previsto che i Presidenti dei due rami del Parlamento trovino una via di uscita. Non è specificato come procedere nel caso che anche in questo caso non sia stato trovato un accordo
v Inoltre, e questo è uno dei passaggi più dibattuti, il Senato cambia anche composizione, con il superamento dell’elezione diretta dei senatori. L’idea dei promotori della riforma è quella di tornare all’idea di un ramo del Parlamento che sia espressione delle istanze delle autonomie locali, come era stato inteso dalla Costituzione quando all’art. 57 ne ha previsto l’elezione su base regionale.
v La Costituzione, all’articolo 57, prevede infatti che il Senato sia eletto su base regionale. Fin dalla nascita della Repubblica il Senato ha sempre avuto in teoria il ruolo di rappresentare nel Parlamento le istanze del territorio e delle regioni (come ad esempio il Senato francese e il Bundesrat tedesco). Di fatto in Italia il Senato è sempre stato eletto con leggi elettorali simili o identiche a quelle della Camera e ne ha sempre condiviso gli stessi poteri.
v Quindi, come sostengono alcuni costituzionalisti, è diventato un vero e proprio doppione della Camera perdendo la sua specificità di rappresentante delle istituzioni locali. I sostenitori della riforma dicono pertanto che dopo la sua approvazione il Senato tornerà ad essere il ramo del Parlamento dove sono rappresentate le istanze locali come era inteso originariamente dalla Costituzione.
v I poteri che vengono riconosciuti a questo nuovo Senato sono molto modesti, con l’eccezione che abbiamo detto delle leggi costituzionali e delle nomine degli organi costituzionali, e la partecipazione al processo legislativo è equivalente a quella di un organo consultivo. Questi poteri non sono lontani da quelli della Conferenza unificata Stato Regioni. Non risulterà un doppione?
v Il numero dei senatori sarà ridotto a 100, ripartiti in 74 membri dei Consigli Regionali, 21 sindaci, e 5 nominati dal Presidente della Repubblica per 7 anni. Spariscono, pertanto, i senatori a vita.
v E’ particolarmente complesso il meccanismo di nomina dei Senatori rappresentanti delle Regioni, il testo definitivo della riforma prevede infatti che per i 74 senatori eletti in rappresentanza delle Regioni (ai quali si aggiungono i 21 sindaci eletti direttamente dai Consigli Regionali e i 5 senatori indicati dal Presidente della Repubblica) saranno i cittadini elettori delle singole Regioni, al momento di eleggere i Consigli Regionali, a indicare quali consiglieri saranno anche senatori. I Consigli, una volta insediati, saranno tenuti a ratificare la scelta
v I membri rimangono in carica per la stessa durata del loro mandato territoriale, con la conseguenza composizione del Senato che potrebbe cambiare maggioranza politica più volte nel corso della stessa legislatura
v Sul piano più strettamente politico appare di conseguenza evidente che il percorso di scelta da parte degli elettori, direttamente o indirettamente, di Camera e Senato è così diverso da lasciar presupporre maggioranze politiche anche radicalmente diverse e tali da complicare l’iter di approvazione legislativo.  E’ vero che non vi sarà fiducia né il voto sul bilancio, ma su altre prerogative (leggi costituzionali e nomine di organi costituzionali) queste possibili diverse composizioni politiche potrebbero risultare imbarazzanti
v In sintesi la domanda che a molti pare essere quella fondamentale è la seguente: dopo l’approvazione di questa riforma avremmo rafforzato o indebolito il sistema parlamentare? Qui per alcuni scatta l’allarme: la riduzione della seconda camera a organo privato di legittimazione diretta e di funzioni di garanzia, senza un corrispettivo aumento dei poteri dell’altro ramo del parlamento, nonché la concentrazione di ulteriori poteri nelle mani del governo (la «ghigliottina» per l’approvazione delle leggi), rende questa riforma costituzionale temibile.
v La riforma costituzionale rimette mano anche sul travagliato assetto dei rapporti tra Stato e Regioni, in particolare modificando l’articolo 117 della Costituzione
v Sono riportate in capo allo Stato alcune competenze come energia, infrastrutture strategiche e sistema nazionale di protezione civile. Ma si prevede soprattutto un nuovo e incisivo potere di intervento dello Stato sulle materie regionali: su proposta del governo, la Camera potrà approvare leggi anche nei campi di competenza delle Regioni, “quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.
v A giudizio di molti costituzionalisti la strada migliore era quella di riportare alla competenza dello Stato alcune materie nevralgiche come ordinamento delle professioni; grandi reti strategiche di trasporto e di navigazione di interesse nazionale; ordinamento della comunicazione/produzione strategica, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, lasciando inalterate le restanti attuali competenze regionali oppure semplicemente bastava introdurre come in Germania la clausola di supremazia a favore dello Stato
v Altra novità è il meccanismo della “devolution” solo per le Regioni virtuose.  Solo alle Regioni virtuose – che realizzano un equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio – lo Stato potrà decidere di devolvere ulteriori poteri, comprese le “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e il commercio con l’estero
v Inoltre sono definitivamente abolite le Province, così come sparisce il CNEL, Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.
v Questa ridefinizione dei rapporti Stato-Regioni è stata oggetto di numerose opinioni critiche, molti costituzionalisti, ma anche i partiti autonomisti, hanno sottolineato come si tratti di una riforma con effetti punitivi per le autonomie.
v A giudizio dei quali la creazione del Senato come rappresentante delle istanze locali non sarebbe comunque sufficiente a bilanciare i nuovi poteri previsti nel Titolo V della Costituzione
v In particolare le critiche si concentrano sulla nuova clausola di supremazia statale, che si fonda su presupposti generici e vaghi come “l’interesse nazionale”.
v La critica più pregnante, soprattutto se si pone questa riforma in relazione a quella concomitante della Legge Elettorale (Italicum), è quella che questa impostazione introduce un “presidenzialismo di fatto”. Togliendo la possibilità al Senato di revocare la fiducia al Governo, risulterebbe un sistema istituzionale eccessivamente sbilanciato a favore dell’esecutivo
v Non pochi evidenziano che, il bicameralismo differenziato sarebbe una forma di “monocameralismo” di fatto, visto il depotenziamento totale del Senato. Tanto varrebbe, secondo molti, eliminarlo del tutto


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