DOCUMENTAZIONE VARIA IN MERITO AL PROSSIMO QUESITO
REFERENDARIO SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE
Proseguiamo nella pubblicazione di documenti utili, si spera, a capire e, conseguentemente, a maturare opinioni su basi più consistenti in merito al quesito referendario costituzionale del prossimo Ottobre. Dopo il prospetto comparativo fra la Costituzione originaria e quella risultante dalle modifiche apportate, dopo il parere “tecnico” dei Docenti di Diritto Pubblico Umberto Allegretti e Enzo Balboni proponiamo una scheda sintetica degli aspetti più rilevanti delle modifiche, ad opera del Prof. Gaetano Azzariti (autore di un nuovo saggio in corso di uscita su queste tematiche) ed una raccolta di “precisazioni e commenti” al riguardo. Entrambi privilegiano gli aspetti controversi e più discussi con un taglio “critico”.
Le modifiche Costituzionali in sintesi.
Eliminato
il rapporto di fiducia tra il Governo e il Senato: sarà la sola Camera ad
accordare o revocare la fiducia al Governo.
In
raccordo con la legge elettorale n. 52 del 2015 (c.d. Italicum), che assicura
una maggioranza assoluta dei seggi all’unica lista che ottiene il miglior
risultato (al primo turno se supera la soglia del 40% dei voti espressi; al
ballottaggio senza la previsione di una soglia di partecipazione, dunque anche
nel caso di una astensione maggioritaria), si produrrà l’effetto che un solo
partito potrà formare il Governo e ottenere la fiducia alla Camera, anche se
espressione di una esigua minoranza di votanti.
Differenziate
le funzioni delle Camere:
•
alla Camera dei deputati sono attribuite la rappresentanza della Nazione, la
funzione legislativa, la funzione di indirizzo politico e quella di controllo
dell’operato del Governo;
•
al Senato della Repubblica sono attribuite la rappresentanza delle Istituzioni
territoriali, la partecipazione al procedimento legislativo, la funzione di
raccordo tra lo Stato e gli enti territoriali e la valutazione delle politiche
pubbliche e dell’attività delle pubbliche amministrazioni.
Mentre
è chiaro il ruolo politico-costituzionale della Camera dei Deputati, risulta
indeterminato e confuso il ruolo del Senato: rappresenta gli enti territoriali,
ma svolge anche altre funzioni non omogenee.
La composizione e l’elezione del nuovo
Senato
Il
Senato non è più eletto a suffragio universale e diretto. La Camera dei
deputati resta l’unica Camera eletta direttamente dai cittadini.
Viene
ridotto il numero complessivo dei senatori a 100 (rispetto ai 315 senatori
attuali), dei quali:
−
74 saranno consiglieri regionali eletti dai Consigli regionali di appartenenza,
in conformità alle scelte espresse dagli elettori in sede di elezione degli
stessi Consigli;
−
21 saranno sindaci eletti dai Consigli regionali, nella misura di uno per
ciascuno, fra tutti i sindaci dei comuni della Regione;
−
5 nominati dal Presidente della Repubblica tra i cittadini che hanno illustrato
la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e
letterario (con mandato di sette anni non rinnovabile).
La
modalità di scelta dei Senatori è rimasta del tutto indeterminata. Non sciolta
l’alternativa tra elezione indiretta (da parte dei Consigli regionali) o
diretta (da parte del corpo elettorale), si è rinviata ad una successiva legge
ordinaria.
Non
è stato chiarito in che modo verranno scelti i 21 sindaci. Anche in questo caso
sarà la legge ordinaria a specificarlo.
È
stata introdotta una figura di senatori del tutto nuova: di nomina
Presidenziale “a tempo” (anziché “a vita”, com’è adesso). La durata di sette
anni è la stessa della durata del mandato presidenziale, il che collegherà
questi senatori ai Presidenti in carica, con un’attenuazione della autonomia
istituzionale.
Stravolgimento del procedimento legislativo
Stravolto
il procedimento legislativo: la partecipazione paritaria delle due Camere sarà
limitata a un numero definito di leggi bicamerali (leggi costituzionali e leggi
in materia di elezione del Senato, referendum popolare e ordinamento degli enti
territoriali).
Per
tutte le altre leggi, il Senato potrà solo proporre modifiche sulle quali la
Camera si pronuncia in via definitiva.
Introdotto
il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali delle Camere:
è riconosciuta ad un terzo dei senatori o ad un quarto dei deputati la
possibilità di sottoporre alla Corte Costituzionale le leggi elettorali prima
della loro promulgazione.
L’iter
di formazione delle leggi si complica: sono una decina le diverse modalità
previste di approvazione di una legge. È forte il rischio di aumentare il
contenzioso davanti alla Corte costituzionale. Saranno i Presidenti di Camera e
Senato a risolvere i (prevedibilmente numerosi) casi controversi, ovvero se
seguire l’uno o l’altro iter di formazione.
Il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali rischia di politicizzare il giudizio della Corte costituzionale: esso avverrà subito dopo l’approvazione delle legge e sarà di natura generale e astratta. La Corte costituzionale – mediante una dichiarazione del Presidente della Corte – si era opposta a questa nuova competenza. Non è stato definito il rapporto tra questa nuova competenza (sindacato in via preventiva) e quella attualmente svolta (sindacato in via successiva): potrà una legge elettorale essere sindacata anche successivamente? E che influenza eserciterà il giudizio preventivo su quello successivo?
Il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali rischia di politicizzare il giudizio della Corte costituzionale: esso avverrà subito dopo l’approvazione delle legge e sarà di natura generale e astratta. La Corte costituzionale – mediante una dichiarazione del Presidente della Corte – si era opposta a questa nuova competenza. Non è stato definito il rapporto tra questa nuova competenza (sindacato in via preventiva) e quella attualmente svolta (sindacato in via successiva): potrà una legge elettorale essere sindacata anche successivamente? E che influenza eserciterà il giudizio preventivo su quello successivo?
Nuovo sistema di elezione degli organi
costituzionali di garanzia
Modificato
il sistema di elezione del Presidente della Repubblica in conseguenza della
riduzione del numero dei senatori: per l’elezione del Presidente da parte del
Parlamento in seduta comune (630 deputati + 100 senatori) sono richieste le
seguenti maggioranze qualificate:
−
2/3 dell’assemblea dal primo al terzo scrutinio;
− 3/5 dell’assemblea dal quarto al sesto scrutinio;
− 3/5 dei votanti dal settimo scrutinio.
− 3/5 dell’assemblea dal quarto al sesto scrutinio;
− 3/5 dei votanti dal settimo scrutinio.
Modificato
anche il sistema di elezione dei giudici costituzionali: dei cinque giudici di
espressione parlamentare, tre saranno nominati dalla Camera e due dal Senato.
Aumenta
il peso della Camera nella scelta del Capo dello Stato. In raccordo con la
legge elettorale n. 52 del 2015 (c.d. Italicum), aumenta in proporzione il peso
del partito che ha – grazie al premio elettorale conseguito per poter formare
il Governo – la maggioranza alla Camera
La
previsione delle diverse maggioranze qualificate è stato proposto per compensare
lo sbilanciamento a favore del partito che ha la maggioranza dei seggi alla
Camera (oltre ai propri rappresentanti in Senato) tende a preservare il
carattere “non maggioritario” della scelta del Presidente della Repubblica, che
rappresenta l’unità nazionale. Dal settimo scrutinio, però, la maggioranza dei
3/5 è calcolata “sui votanti” e non “sui componenti”. Non può escludersi dunque
un Presidente eletto con maggioranze parlamentari ridotte (qualora una o più
forze politiche decidano di non presentarsi al voto).
L’elezione
dei due giudici costituzionali da parte del Senato introduce una logica di
parte (il Senato rappresenta le istituzioni territoriali) entro un organo di
garanzia costituzionale non territoriale, bensì costituzionale.
Prerogative del Governo
Ammessa
la possibilità per il Governo di chiedere alle Camere la votazione prioritaria
dei disegni di legge dichiarati essenziali per l’attuazione del programma di
governo. Questo comporta che:
−
il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro 5 giorni
dalla richiesta, che un disegno di legge sia iscritto con priorità all’ordine
del giorno;
−
il disegno di legge prioritario dovrà essere sottoposto alla pronuncia in via
definitiva della Camera dei deputati entro il termine di 70 giorni;
−
sono ridotti della metà i termini già esigui per la deliberazione di proposte
di modificazione da parte del Senato.
Tale
procedura di esame e votazione prioritaria è esclusa per: le leggi ad
approvazione paritaria di camera e Senato, le leggi in materia elettorale, le
leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, le leggi di
concessione dell’amnistia e dell’indulto e la legge che reca il contenuto della
legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri per l’equilibrio di
bilancio.
Introdotti
alcuni vincoli alla decretazione d’urgenza, peraltro oggi già fissati dalle
leggi ordinarie e dai principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale:
la possibilità di ricorso al decreto-legge è espressamente esclusa per le leggi
in materia costituzionale ed elettorale, le deleghe al Governo,
l’autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, l’approvazione di
bilanci e il ripristino di norme che la Corte Costituzionale ha dichiarato
illegittime.
Vengono
introdotti alcuni limiti con riferimento alla decretazione d’urgenza,
compensati dalla possibilità data al Governo di far approvare i disegni di
legge entro termini certi. Alla compressione dell’autonomia della Camera
(obbligata a esprimersi entro un tempo prefissato) si somma l’aumento del
potere del Governo in Parlamento.
Il rapporto tra lo Stato e le istituzioni
territoriali: la nuova riforma del Titolo V
Abolita
la legislazione concorrente tra Stato e Regioni, per come delineata dalla
riforma del titolo V del 2001, e rivisto conseguentemente il perimetro delle
materie di competenza esclusiva, rispettivamente, statale e regionale.
Ricondotte
alla competenza esclusiva dello Stato alcune materie, già concorrenti, tra cui:
grandi reti di trasporto e navigazione; ordinamento della comunicazione;
produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario; promozione della concorrenza;
tutela della salute; tutela e sicurezza del lavoro; politiche sociali;
istruzione e formazione professionale.
Introdotta
la cosiddetta “clausola di supremazia statale”: ai fini della tutela dell’unità
giuridica o economica della Repubblica o dell’interesse nazionale, si è
previsto che su proposta del Governo – che se ne assume pertanto la
responsabilità – la legge statale possa intervenire anche in materie di
competenza esclusiva delle Regioni.
Abolite
le Province quali organi costituzionali dotati di funzioni e poteri propri.
Abolito
il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL).
Eliminata
la competenza concorrente e re-introdotta la “clausola di supremazia”, il
potere legislativo delle Regioni si riduce. Sembra ci si allontani dal modello
“solidale” di federalismo (basato sulla leale collaborazione e la “concorrenza”
tra le funzioni), per avvicinarsi al modello “competitivo” (basato sulla netta
separazione tra Stato e Regioni e tra Regioni). Si è conservato il vecchio
criterio di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni (il
criterio delle materie) che è stato indicato dalla Corte costituzionale come un
fattore di destabilizzazione. Non si è colta l’occasione per passare ad un
criterio diverso (ad esempio quello delle funzioni) che potesse effettivamente
semplificare e ridurre il contenzioso tra centro e periferia.
La
concorrenza tra la funzione legislativa dello Stato e quella delle Regioni,
formalmente eliminata, in realtà avrà ancora la possibilità di essere
esercitata in tutte quelle materie dove la competenza esclusiva dovrà limitarsi
alle “disposizioni generali e comuni”. Questa nuova formulazione appare di
incerto significato: dovrà intervenire la Corte costituzionale a chiarirne la
portata.
L’abolizione
delle Province elimina la “copertura costituzionale”, ma non produce l’effetto
automatico della cancellazione di questi enti territoriali, che potranno
continuare ad essere regolati dalla legge, almeno fin tanto che la maggioranza
e il Governo lo riterrà utile.
Strumenti di democrazia diretta
Viene
innalzato fino a 150mila (attualmente 50mila) il numero delle firme richieste
per la loro presentazione alle Camere dei i disegni di legge d’iniziativa
popolare. Si vincolano i Regolamenti parlamentari a prevedere, per questi
disegni di legge, tempi certi di esame e votazione.
Viene
modificato l’istituto del referendum abrogativo, con l’introduzione di un
doppio quorum:
•
in caso di sottoscrizione della proposta da parte di 500mila elettori, per la
validità della consultazione sarà necessaria la partecipazione al referendum
della maggioranza degli aventi diritto al voto;
•
in caso di sottoscrizione della proposta da parte di 800mila elettori, sarà
sufficiente la partecipazione della maggioranza dei votanti all’ultima elezione
della Camera dei deputati.
Gli
strumenti di democrazia diretta non vengono favoriti: da un lato si prevede
l’innalzamento del numero delle firme necessarie per poter presentare disegni
di legge d’iniziativa popolare, dall’altro si rinvia ai Regolamenti
parlamentari di stabilire le regole per la presa in esame da parte delle
Camere.
Si
introduce un doppio quorum di validità del referendum in base al numero si
sottoscrittori. Si semplifica assai una questione in realtà molto complessa
Precisazioni
e commenti (in ordine sparso)
raccolte/i
in Rete al fine di individuare i punti controversi (sono stati quindi
selezionati, in questa fase di approccio alla tematica, prevalentemente
quelli che esprimono critiche e
perplessità)
v La prima obiezione
avanzata al percorso di riforma costituzionale è quella sollevata da alcuni
costituzionalisti che ritengono che dopo la sentenza n.1 del 2014 della Corte
Costituzionale (sentenza che dichiarava incostituzionale il sistema elettorale
Porcellum con il quale questo Parlamenrto è stato eletto) l Parlamento non
fosse idoneo ad intraprendere un percorso di riforme così impegnativo. Sono
stati infatti modificati oltre 40 articoli della Costituzione
v Nel nostro
ordinamento costituzionale infatti al Governo non spettano tutti i poteri,
bensì solo alcune fondamentali, ma pur sempre definite, funzioni. Esso
principalmente è titolare – assieme ad altri organi – dell’indirizzo politico
che si realizza nel programma di governo. Tradizionalmente sfugge all’esecutivo
la materia costituzionale ed è per questo che le iniziative per l’eventuale
revisione della costituzione sono prese dal Parlamento, che è l’organo a cui
spetta il potere di revisione. La ragione sostanziale che porta a questa
separazione di compiti (al Governo l’ordinaria gestione del potere, al
Parlamento la straordinaria manutenzione del testo della costituzione) dovrebbe
essere intuitiva e accettata da ogni persona che abbia consapevolezza
dell’importanza del principio della divisione dei poteri: ad evitare il rischio
che una maggioranza politica intervenga impropriamente sulle regole di tutti.
L’assunzione della responsabilità diretta della revisione da parte del governo
Renzi evidenzia quindi, a giudizio di molti costituzionalisti, uno squilibrio a
favore dell’esecutivo e a scapito del legislativo.
v Una seconda
perplessità pregiudiziale e di metodo è rappresentata dal fatto che il Governo,
con la sua proposta, prima, e poi con le condizioni imperative di contenuti e
di tempi ha giocato un ruolo che nelle riforme costituzionali non gli è
proprio, usurpando spazi delle prerogative delle Camere
v Il bicameralismo perfetto è
stato pensato, in una fase storica particolare – subito dopo la guerra,
introduzione del suffragio universale, passaggio alla Repubblica - dai
costituenti come strumento per permettere una maggiore ponderazione e
approfondimento sui provvedimenti del Parlamento,
v E’ da anni sottoposto a
critiche per il rallentamento che comporta il doppio passaggio di qualsiasi
provvedimento in entrambe le Camere: una legge non può entrare in vigore se non
è approvata, con contenuto identico, in entrambi i rami dell’assemblea
parlamentare
v Inoltre il sistema
bicamerale rende particolarmente instabile l’operato del governo, essendo
sufficiente il dissenso di una sola delle due parti del Parlamento per farlo
cadere.
v Prima di entrare nel merito dei diversi
punti “critici” è opportuno capire il collegamento della discussione
parlamentare, e non, per definire questo impianto riformatore con il dibattito
che nei decenni precedenti si era già sviluppato al riguardo. Secondo alcuni
costituzionalisti pare che si possa dire che le modifiche apportate hanno
certamente radici lontane ( non c’è progetto che sia stato elaborato in passato
che non abbia toccato il nodo rappresentato dalla nostra formula bi-camerale o
il rapporto tra Stato e Regioni, sia sotto il profilo dei criteri di riparto
delle competenze legislative, sia sotto il profilo dei necessari meccanismi di
raccordo tra centro e periferia idonei a garantire la coerenza complessiva del
nostro ordinamento)
v Se dunque, in termini generali pare
prevalere l’idea di una sostanziale continuità (che vale quasi unanimemente per
la riforma del bicameralismo paritario attraverso la trasformazione della
seconda Camera in sede di rappresentanza degli interessi regionali e locali,
già ipotizzata dalla stessa Assemblea costituente) sorgono diverse
perplessità in relazione a quello che dovrebbe diventare il nuovo Titolo V
della seconda parte della Costituzione. A quest’ultimo riguardo, l’ispirazione
e le concrete soluzioni adottate paiono a molti caratterizzate da una forte
discontinuità rispetto al passato. Rispetto ad una linea mai abbandonata che,
dalla Costituente in poi, ha concepito la Regione come ente di programmazione e
legislazione (una linea di tendenza che ha trovato la sua più piena
realizzazione nell’impianto della riforma del 2001 del Titolo V), la riforma
comporta una vera e propria inversione di tendenza (qualcuno ha parlato di una
vera e propria “controriforma” a sottolineare appunto la forte discontinuità
con il passato).
v Nel nuovo sistema di
“bicameralismo differenziato” prevista dalla Riforma Costituzionale (definita
dal Presidente
del Consiglio Matteo Renzi la “madre di tutte le
riforme) è stato quindi previsto che, pur mantenendo la struttura bicamerale, le
competenze della Camera e quelle del Senato risultino fortemente diversificate,
con un’importante limitazione dei poteri di quest’ultimo Infatti solo la Camera
dei Deputati voterà la fiducia al Governo, e sempre la Camera sarà l’unica ad
avere una competenza legislativa piena
v La necessità della
approvazione del Senato, e quindi il permanere del sistema di bicameralismo
perfetto, riguarderà solamente alcune materie: le più importanti sono: le leggi
costituzionali, la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le
normativa riguardanti Comuni e città metropolitane
v Per quanto riguarda le altre
leggi, il Senato potrà chiedere alla Camera d modificarle, ma questa non sarà
tenuta a farlo. In particolare, se il Senato chiede alla Camera di modificare
una legge che riguarda il rapporto tra Stato e Regioni la Camera potrà
respingere la richiesta solo a maggioranza assoluta. In caso di contrasto e
divergenze è previsto che i Presidenti dei due rami del Parlamento trovino una
via di uscita. Non è specificato come procedere nel caso che anche in questo
caso non sia stato trovato un accordo
v
Inoltre, e questo è uno dei passaggi più dibattuti, il Senato cambia anche
composizione, con il superamento dell’elezione diretta dei senatori. L’idea dei
promotori della riforma è quella di tornare all’idea di un ramo del Parlamento
che sia espressione delle istanze delle autonomie locali, come era stato inteso
dalla Costituzione quando all’art. 57 ne ha previsto l’elezione su base
regionale.
v
La
Costituzione, all’articolo 57, prevede infatti che il Senato sia
eletto su base regionale. Fin dalla nascita della Repubblica il Senato ha
sempre avuto in teoria il ruolo di rappresentare nel Parlamento le istanze del
territorio e delle regioni (come ad esempio il Senato francese e il Bundesrat
tedesco). Di fatto in Italia il Senato è sempre stato eletto con leggi
elettorali simili o identiche a quelle della Camera e ne ha sempre condiviso
gli stessi poteri.
v Quindi, come sostengono alcuni
costituzionalisti, è diventato un vero e proprio doppione della Camera perdendo
la sua specificità di rappresentante delle istituzioni locali. I sostenitori
della riforma dicono pertanto che dopo la sua approvazione il Senato tornerà ad
essere il ramo del Parlamento dove sono rappresentate le istanze locali come
era inteso originariamente dalla Costituzione.
v I poteri che vengono riconosciuti a
questo nuovo Senato sono molto modesti, con l’eccezione che abbiamo detto delle
leggi costituzionali e delle nomine degli organi costituzionali, e la
partecipazione al processo legislativo è equivalente a quella di un organo
consultivo. Questi poteri non sono lontani da quelli della Conferenza unificata
Stato Regioni. Non risulterà un doppione?
v Il numero dei senatori sarà
ridotto a 100, ripartiti in 74 membri dei Consigli Regionali, 21 sindaci, e 5
nominati dal Presidente della Repubblica per 7 anni. Spariscono, pertanto, i
senatori a vita.
v E’ particolarmente complesso
il meccanismo di nomina dei Senatori rappresentanti delle Regioni, il testo definitivo
della riforma prevede infatti che per i 74 senatori eletti in rappresentanza
delle Regioni (ai quali si aggiungono i 21 sindaci eletti direttamente dai
Consigli Regionali e i 5 senatori indicati dal Presidente della Repubblica) saranno
i cittadini elettori delle singole Regioni, al momento di eleggere i Consigli
Regionali, a indicare quali consiglieri saranno anche senatori. I Consigli, una
volta insediati, saranno tenuti a ratificare la scelta
v I membri rimangono in carica
per la stessa durata del loro mandato territoriale, con la conseguenza
composizione del Senato che potrebbe cambiare maggioranza politica più volte
nel corso della stessa legislatura
v Sul piano più strettamente
politico appare di conseguenza evidente che il percorso di scelta da parte
degli elettori, direttamente o indirettamente, di Camera e Senato è così
diverso da lasciar presupporre maggioranze
politiche anche radicalmente diverse e tali da complicare l’iter di
approvazione legislativo. E’ vero che
non vi sarà fiducia né il voto sul bilancio, ma su altre prerogative (leggi
costituzionali e nomine di organi costituzionali) queste possibili diverse
composizioni politiche potrebbero risultare imbarazzanti
v In sintesi la
domanda che a molti pare essere quella fondamentale è la seguente: dopo
l’approvazione di questa riforma avremmo rafforzato o indebolito il sistema
parlamentare? Qui per alcuni scatta l’allarme: la riduzione della seconda
camera a organo privato di legittimazione diretta e di funzioni di garanzia,
senza un corrispettivo aumento dei poteri dell’altro ramo del parlamento,
nonché la concentrazione di ulteriori poteri nelle mani del governo (la
«ghigliottina» per l’approvazione delle leggi), rende questa riforma
costituzionale temibile.
v La riforma costituzionale
rimette mano anche sul travagliato assetto dei rapporti tra Stato e Regioni, in
particolare modificando l’articolo 117 della Costituzione
v
Sono riportate in capo allo Stato alcune competenze come energia,
infrastrutture strategiche e sistema nazionale di protezione civile. Ma si
prevede soprattutto un nuovo e incisivo potere di intervento dello Stato sulle
materie regionali: su proposta del governo, la Camera potrà approvare leggi
anche nei campi di competenza delle Regioni, “quando lo richieda la tutela
dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela
dell’interesse nazionale”.
v
A
giudizio di molti costituzionalisti la strada migliore era quella di riportare
alla competenza dello Stato alcune materie nevralgiche come ordinamento delle
professioni; grandi reti strategiche di trasporto e di navigazione di interesse
nazionale; ordinamento della comunicazione/produzione strategica, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia, lasciando inalterate le restanti attuali
competenze regionali oppure semplicemente bastava introdurre come in Germania
la clausola di supremazia a favore dello Stato
v Altra novità è il meccanismo
della “devolution” solo per le Regioni virtuose. Solo alle Regioni
virtuose – che realizzano un equilibrio tra le entrate e le spese del proprio
bilancio – lo Stato potrà decidere di devolvere ulteriori poteri, comprese le
“disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche
sociali e il commercio con l’estero
v Inoltre sono definitivamente
abolite le Province, così come sparisce il CNEL, Consiglio nazionale
dell’economia e del lavoro.
v Questa ridefinizione dei
rapporti Stato-Regioni è stata oggetto di numerose opinioni critiche, molti
costituzionalisti, ma anche i partiti autonomisti, hanno sottolineato come si
tratti di una riforma con effetti punitivi per le autonomie.
v A giudizio dei quali la
creazione del Senato come rappresentante delle istanze locali non sarebbe
comunque sufficiente a bilanciare i nuovi poteri previsti nel Titolo V della
Costituzione
v In particolare le critiche
si concentrano sulla nuova clausola di supremazia statale, che si fonda su
presupposti generici e vaghi come “l’interesse nazionale”.
v La critica più pregnante,
soprattutto se si pone questa riforma in relazione a quella concomitante della
Legge Elettorale (Italicum), è quella che questa impostazione introduce un
“presidenzialismo di fatto”. Togliendo la possibilità al Senato di revocare la
fiducia al Governo, risulterebbe un sistema istituzionale eccessivamente sbilanciato
a favore dell’esecutivo
v Non pochi evidenziano che, il
bicameralismo differenziato sarebbe una forma di “monocameralismo” di fatto,
visto il depotenziamento totale del Senato. Tanto varrebbe, secondo molti,
eliminarlo del tutto
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