domenica 15 maggio 2016

Referendum Costituzionale - Contributo n° 5


DOCUMENTAZIONE IN MERITO AL PROSSIMO QUESITO REFERENDARIO SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE



Completiamo, con quest’ultimo, la pubblicazione di documenti che speriamo siano utili a meglio capire e muoverci nelle complicazioni, di sostanza e di metodo, relative al quesito referendario del prossimo autunno. I tre testi qui inseriti si riferiscono alla nuova Legge Elettorale che al momento non è oggetto di approvazione/cancellazione referendaria, anche se, come si può leggere nel secondo testo è partita una iniziativa di raccolta firme per la sua abrogazione sulla base delle motivazioni addotte dal Comitato promotore. E’ comunque opinione condivisa che il quesito referendario sulla revisione costituzionale può essere meglio capito proprio in relazione alle importanti novità introdotte dalla nuova Legge Elettorale, riepilogato nel primo documento a seguire. Completa infine questo documento l’intervento del Prof. Carlo Fusaro di risposta ad alcune perplessità e critiche.

Italicum: la nuova legge elettorale in 9 punti

NUOVA SCHEDA ELETTORALE. La riforma introduce una nuova scheda elettorale: ogni casella sarà composta dal contrassegno del partito al centro, a sinistra il nome e il cognome del capolista mentre a destra due righe per le preferenze.

100 COLLEGI PLURINOMINALI. Le liste dei candidati sono presentate in 20 circoscrizioni elettorali suddivise nell`insieme in 100 collegi plurinominali, fatti salvi i collegi uninominali nelle circoscrizioni Valle d`Aosta e Trentino-Alto Adige, per le quali verranno reintrodotti i collegi uninominali; 

PREMIO DI MAGGIORANZA. Sono attribuiti 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40 per cento dei voti validi.

BALLOTTAGGIO. Nel caso in cui nessuna lista raggiunga il 40% dei consensi si procede a un turno di ballottaggio tra le due con il maggior numero di voti. E' esclusa ogni forma di collegamento tra liste o di apparentamento tra i due turni di votazione.

SOGLIA DI SBARRAMENTO. Accedono alla ripartizione dei seggi le liste che ottengono, su base nazionale, almeno il tre per cento dei voti validi.

PARITA' DI GENERE. In ciascuna lista i candidati sono presentati in ordine alternato per sesso, i capolista dello stesso sesso non eccedono il sessanta per cento del totale in ogni circoscrizione, nessuno può essere candidato, in più collegi, neppure di altra circoscrizione, salvo i capolista nel limite di dieci collegi. L`elettore può esprimere fino a due preferenze, per candidati di sesso diverso tra quelli che non sono capolista.

CAPILISTA BLOCCATI E POI PREFERENZE. Sono eletti prima i capolista nei collegi, quindi i candidati che hanno ottenuto il maggior numero di preferenze. L'elettore può esprimere fino a due preferenze, per candidati di sesso diverso tra quelli che non sono capolista

COLLEGI ELETTORALI. I collegi elettorali sono determinati con decreto legislativo da emanare entro cinque mesi e secondo i principi e i criteri direttivi stabiliti dall'Italicum.

NORMA ANTI-FLIPPER. La norma prevede un meccanismo di ripartizione dei seggi eccedentari che tutela anche le liste minori. Nel nuovo testo approvato al Senato la lista che ha raccolto più voti (eccedentari) cede il seggio a quella più piccola dove questa ha raccolto più consensi.

STATUTO OBBLIGATORIO. Per presentare la propria lista alle elezioni sarà necessario depositare anche uno Statuto.



Italicum, due firme per bloccare la legge con un referendum, contro lo strapotere del partito unico


Documento che i promotori del “Comitato contro l’Italicum per la democrazia” lanciano in occasione della partenza della raccolta firme per il referendum contrario alla legge elettorale del 6 maggio 2015 n.52 - di  Stefano Rodotà, Massimo Villone, Alfiero Grandi e Silvia Manderino

Adesso che la riforma elettorale (Italicum) è stata trasformata in legge (L. 6 maggio 2015 n. 52) il discorso sul sistema elettorale del nostro Paese non è chiuso. Per l’Italicum si è voluto procedere a tappe forzate, ricorrendo addirittura alla fiducia, come avvenne nel 1953 per la legge truffa, evidentemente per nascondere sotto l’asfalto del decisionismo governativo le scorie tossiche (per la democrazia) del nuovo sistema ed evitare ogni reale dibattito. E tuttavia, proprio com’è accaduto per il Porcellum, è l’insostenibilità costituzionale e politica del nuovo sistema che rende necessario riaprire il dibattito per far emergere le storture che devono essere corrette. La legge elettorale, lungi dal rappresentare un’asettica tecnica di selezione della rappresentanza, è il principale strumento attraverso il quale si realizza un ordinamento rappresentativo e viene data concreta attuazione al principio supremo posto dall’art. 1 della Costituzione che statuisce: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Orbene la Corte costituzionale, con una pronuncia storica è intervenuta nel campo del diritto elettorale, riconoscendo che anche questo terreno squisitamente politico deve essere coerente con i principi costituzionali e con diritti politici del cittadino. È da qui che bisogna partire per giudicare la sostenibilità del nuovo sistema elettorale.

La Corte costituzionale con la sentenza 1/2014 ha dichiarato incostituzionali due istituti della legge Calderoli:

1) Le liste bloccate, riconoscendo ai cittadini elettori il diritto di scegliersi i propri rappresentanti esprimendo (almeno) una preferenza
2) Il meccanismo che attribuiva alla minoranza “vincente” un premio di maggioranza senza soglia minima.

La Corte non ha contestato di per sé qualsiasi meccanismo correttivo dei voti espressi attraverso un premio di maggioranza, ma ha dichiarato costituzionalmente intollerabile che possa essere attribuito un premio di maggioranza “senza soglia” perché l’effetto sarebbe quello di produrre una distorsione enorme fra la volontà espressa dagli elettori e il risultato in seggi, determinando un vulnus intollerabile all’eguaglianza del voto e al principio stesso della sovranità popolare. Nessun sistema elettorale è in grado di assicurare una perfetta corrispondenza fra i voti espressi e i seggi conseguiti da ciascuna forza politica che partecipa all’agone elettorale. Questo però non consente di buttare a mare il principio espresso dall’art. 48 della Costituzione secondo cui il voto è libero e uguale, diretta conseguenza del principio di eguaglianza e di partecipazione espresso dall’art. 3.

La legge Calderoli aveva istituzionalizzato la diseguaglianza dei cittadini italiani nel voto, attraverso il meccanismo previsto dall’art. 83 che prevedeva la formazione di un “quoziente di maggioranza” e di un “quoziente di minoranza”. Nelle elezioni del 2013 il quoziente di maggioranza è stato di circa 29mila voti, mentre quello di minoranza è stato superiore a 81mila voti (cioè per eleggere un deputato nei partiti “premiati” sono stati sufficienti 29mila voti popolari, mentre per eleggere un deputato per tutti gli altri partiti sono occorsi più di 81mila voti popolari). Il rapporto fra i due quozienti è stato di 2,66. Basti pensare che il Pd con 8.646.457 voti (25,42%) ha ottenuto 292 seggi (pari al 47%) mentre il Movimento 5 stelle con 8.704.969 (25,56%) ha ottenuto 102 seggi (pari al 16,5%). La Consulta ha dichiarato incostituzionale il Porcellum proprio per evitare il ripetersi di una simile insostenibile distorsione fra la volontà espressa dal popolo italiano ed i risultati in termini di composizione della Camera rappresentativa. Orbene l’Italicum finge di adeguarsi alle prescrizioni della Corte sia per quanto riguarda le liste bloccate, sia per quanto riguarda il premio di maggioranza, ma in realtà si sbarazza dei paletti che la Consulta ha posto alla discrezionalità del legislatore, riesumando una versione peggiorata del Porcellum.

L’Italicum apparentemente abbandona il sistema delle liste bloccate (in cui i deputati sono eletti in base all’ordine di lista, senza che l’elettore possa mettervi becco), rendendo bloccati “soltanto” i capilista, mentre gli altri deputati vengono eletti sulla base delle preferenze. Però c’è un trucco. Vengono creati 100 collegi di dimensioni variabili da tre a sei seggi. Poiché difficilmente un partito elegge, in collegi così ridotti, più di un deputato, ecco che buona parte dei deputati non saranno scelti dagli elettori con il voto di preferenza ma saranno direttamente “nominati” dai capi dei partiti. Ma ancor maggiore è lo scostamento dalle prescrizioni della Consulta in tema di premio di maggioranza. Anche in questo versante l’Italicum finge di adeguarsi perché introduce una soglia minima al premio di maggioranza (40%), con ciò legittimando, peraltro, un premio di maggioranza notevolissimo (il 15%, pari a circa 90 seggi), equivalente a quello stabilito dalla legge truffa. Nella realtà quest’adeguamento viene rinnegato con un trucco. Alle elezioni del 1953, la coalizione governativa non raggiunse per pochi voti la soglia minima (50%) e il premio di maggioranza non scattò. Per evitare questo rischio il legislatore moderno ha risolto il problema, rendendo la soglia minima rimuovibile, attraverso l’istituto del ballottaggio su base nazionale fra le due liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti.

In questo modo l’Italicum non solo non abolisce il meccanismo del premio di maggioranza senza soglia censurato dalla Corte costituzionale, ma addirittura lo esalta perché attribuisce il premio a una unica lista, anziché alle coalizioni. È questo l’aspetto più preoccupante della nuova legge elettorale. L’Italicum smantella ogni possibile coalizione perché attribuisce il premio di maggioranza a una sola lista. Per legge viene attribuita la maggioranza politica e la guida del governo a un solo partito, a prescindere dalla volontà del popolo sovrano. In questo modo viene reintrodotto nel nostro Paese un sistema di governo basato sul partito unico. Per rendersi conto della gravità di questa svolta, basti pensare che dal 24 aprile del 1944 (secondo governo Badoglio) ad oggi si sono sempre e solo succeduti governi di coalizione, o quantomeno sostenuti da una maggioranza di coalizione, mentre un governo del partito unico in Italia è esistito soltanto nel ventennio fascista. Fu proprio la legge elettorale dell’epoca (legge Acerbo) che consentì l’avvento di un partito unico al governo, attribuendo nelle elezioni del 1924 una maggioranza garantita al “listone”. Poiché il sistema politico italiano non è bipolare, né tantomeno bipartitico il meccanismo elettorale congegnato è destinato a produrre naturalmente – soprattutto attraverso il ballottaggio – una fortissima distorsione fra la volontà espressa dal corpo elettorale e i seggi conseguiti dalle singole forze politiche, istituzionalizzando la diseguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto di voto.

Le due simulazioni che seguono rendono più chiari gli effetti perversi di questo sistema. Distribuzione diseguale dei seggi e diseguaglianza dei cittadini nel voto con l’Italicum.

Simulazione I

Si prenda una platea di 30.000.000 di voti. Concorrono alla distribuzione dei seggi, avendo superato la soglia di sbarramento del 3%, n. 5 partiti. Nessuno dei partiti concorrenti riesce a superare la soglia del 40% per cui si rende necessario il ballottaggio. A seguito del ballottaggio l’ufficio centrale nazionale determina il quoziente di maggioranza e quello di minoranza e procede alla distribuzione dei seggi come raffigurato in tabella.

Partito
Voti ricevuti
Percentuale
Seggi

Lista n.1
7.500.000
25%
340

Lista n. 2
7.500.000
25%
93

Lista n. 3
7.490.000
24,97%
93

Lista n. 4
4.000.000
13,33%
49

Lista n. 5
3.510.000
11,7%
43

Quoziente di maggioranza = 7.500.000/340 = 22.058
Quoziente di minoranza     = 22.500.000/278 = 80.935
Rapporto fra i 2 quozienti = 80.935/22.025 = 3,67

N.B. Il voto del cittadino di maggioranza vale 3,67 volte in più del voto del cittadino di “minoranza”

Simulazione II

Si prenda una platea di 30.000.000 di voti. concorrono alla distribuzione dei seggi, avendo superato la soglia di sbarramento del 3%, n. 5 partiti. Nessuno dei partiti concorrenti riesce a superare la soglia del 40% per cui si rende necessario il ballottaggio che vince la lista seconda classificata al primo turno. A seguito del ballottaggio l’ufficio centrale nazionale determina il quoziente di maggioranza e quello di minoranza e procede alla distribuzione dei seggi come raffigurato in tabella.

Partito
Voti ricevuti
Percentuale
Seggi

Lista n.1
10.000.000
33,33%
121

Lista n. 2
7.000.000
23,33%
340

Lista n. 3
6.000.000
20,00%
73

Lista n. 4
4.000.000
13,33%
48

Lista n. 5
3.000.000
10,00%
36

Quoziente di maggioranza = 7.000.000/340 = 20.588
Quoziente di minoranza = 23.000.000/278 =82.733
Rapporto fra i 2 quozienti = 82.733/20.588 = 4,01


N.B. il voto del cittadino di maggioranza vale 4,01 volte in più del voto del cittadino di “minoranza”

Queste semplici considerazioni dimostrano che l’Italicum è una legge insostenibile poiché aggredisce i fondamenti della democrazia repubblicana e ferisce uno dei principi che non può essere oggetto di revisione costituzionale: quello dell’eguaglianza dei cittadini. L’aspetto più preoccupante dell’Italicum è che attraverso questo percorso di manipolazione della rappresentanza viene cambiata profondamente la forma di governo e squilibrata ogni forma di contrappeso istituzionale poiché un solo partito – per legge – avrà in mano le chiavi del governo e della maggioranza parlamentare. Senza mediare con nessuno, potrà determinare l’elezione del presidente della Repubblica e attraverso di lui influire sulla composizione della Corte costituzionale, neutralizzandone la funzione di controllo. L’Italicum è una minaccia per la democrazia. Questa minaccia può essere disinnescata soltanto attraverso i due referendum abrogativi proposti dal Comitato per il No all’Italicum

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Un articolo a firma di Carlo Fusaro (Professore di Diritto Pubblico, Università di Firenze) apparso su “Quaderni  Costituzionali” 2015,

Le critiche al ballottaggio dell'Italicum o del rifiuto di rafforzare la governabilità per via elettorale attraverso il premio alla lista

 Era inevitabile: la sentenza 1/2014 della Corte costituzionale sulla legge 270/2005 ha vieppiù esaltato la già forte propensione di politici e accademici a contrabbandare le proprie opinioni per solenni, sofferti e in genere ansiogeni dubbi (che dico: certezze!) di (il)legittimità costituzionale. Non un solo dettaglio di quella legge s’è salvato dal venire, prima o dopo, tacciato di incostituzionalità prefiguranti le più nefaste conseguenze sulle sorti della patria democrazia: destino che non poteva non toccare anche al ballottaggio, previsto quando la lista più votata non consegua almeno il 40%. Non è una sorpresa. Il ballottaggio è l’unico strumento per conciliare una significativa soglia per l’assegnazione del premio (in ossequio al diktat della sentenza 1/2014), con la scelta di elezioni potenzialmente “decisive” (con premio majority assuring). Diversamente, si deve rinunciare sia al premio sia all’investitura elettorale di un vincitore, abbandonando la strategia che punta a rafforzare la nostra forma di governo attraverso un regime parlamentare del primo ministro, secondo l’ipotesi della Commissione Quagliariello: non nascosto obiettivo dei critici dell’Italicum. Non a caso, sono stati invece i fautori della riforma a salutare con favore l’innalzamento della soglia dall’iniziale 32% (calibrato, non era un caso, sui consensi delle prime due coalizioni alle Politiche 2013) al 37%, e, poi al 40% (calibrato sui consensi Pd alle Europee 2014), auspicandone anzi l’elevazione al 50% più un voto: illudendosi di fare così fatto piazza pulita di ogni discussione in ordine alla legittimazione (premio majority assuring solo al secondo turno; majority reinforcing, al primo). Provo (ma è difficile) a distinguere fra critiche di merito e (presunte) critiche giuridiche rispetto al ballottaggio e – in particolare – al modo come questo è disciplinato.  Una prima (merito), lamenta che si tratta di un sistema “unico al mondo”: quasi sempre in effetti il ballottaggio è previsto per attribuire singoli seggi in collegi uninominali. L’argomento è però debole. Prima di tutto, vi sono pur rari esempi (Messico, Corea del Sud,  San Marino, Francia comunali, dipartimentali e regionali, Italia comuni); in secondo luogo, poiché il ballottaggio altro non è che la previsione che, quando non si diano certe condizioni, la scelta sia affidata all’intero corpo elettorale, convocato di nuovo, in assoluta trasparenza e con piena consapevolezza della posta in palio; in terzo luogo, perché qualsiasi legge elettorale va valutata non in astratto ma nel contesto dato. Non si può un giorno insegnare che i modelli istituzionali non si possono importare acriticamente, il giorno dopo censurare scelte calibrate sul contesto nazionale solo perché... originali. Una seconda critica riguarda i modi del ballottaggio: il fatto che vi accedono solo liste (e non coalizioni); il divieto di apparentamenti; il fatto che, trattandosi di vero e proprio ballottaggio, non di secondo turno, l’accesso è limitato alle prime due liste (non ad altre che abbiano superato una soglia minima di consensi). La questione liste vs. coalizioni (a parte il fatto che – come si è detto sin dai tempi della legge 81/1993 – vi possono essere anche liste di coalizione: con la differenza che la lista maggiore, con liste di coalizione, negozia da condizioni di maggior forza), sembra posta da chi non rammenta le mille lamentazioni contro le coalizioni disomogenee “buone solo a vincere le elezioni, ma non a governare”, delle quali si sono avuti esempi plurimi (ai tempi delle leggi Mattarella come ai tempi della Calderoli). E da chi non ricorda, altresì, che la Corte dette il via al referendum Guzzetta (2009) che proprio questo avrebbe comportato. L’inammissibilità di apparentamenti fra i due turni, poi, da un lato è coerente con la scelta di una (auspicata) maggior omogeneità delle liste, dall’altro sconta storici e recenti precedenti che han fatto parlare in Italia e, soprattutto, in Francia, di mercato delle vacche (accentuato nel doppio turno di collegio rispetto al doppio turno di lista). Quanto all’ammissione delle sole due prime liste, essa è coerente con la cercata maggior legittimazione che si persegue col ballottaggio: legata alla decisione di una maggioranza dei votanti.  Non ha più pregio la critica – riesumata per l’ennesima volta – secondo la quale il ballottaggio non si adatterebbe a un sistema partitico non (più) bipolare, ma tripolare se non quadripolare: per cui il legislatore pretenderebbe incautamente di ingabbiare quel sistema in una camicia di forza. Il ballottaggio serve certo per ricondurre a binaria la scelta di governo, ma nel rispetto di una larga possibilità di rappresentanza comunque garantita con il voto al primo turno. Precisamente è in questa combinazione, su base di lista, che risiede una delle qualità dell’Italicum (come di leggi analoghe: comunale, regionale Toscana, per es.): grazie ad essa non può accadere, per capirci, quanto successo più volte in Francia e nel maggio 2015 nel Regno Unito. Rende l’idea il ricalcolo fatto da una rivista (www.inkiesta) dell’esito di quelle elezioni applicando l’Italicum (ipotesi di ballottaggio vinto da Cameron): conservatori 351 deputati (vs. 331); Labour 151 (229); Ukip 63 (1); Lib-Dem 38 (8); Snp 24 (56); Greens 19 (1).  Una quarta contestazione deriva dalla previsione (ragionevole) secondo la quale il ballottaggio come scelta binaria fra liste con leader (il “capo della forza politica”) finirà per conferire forte legittimazione non solo al partito “premiato”, ma, appunto, a chi lo guida (Onida V., Corriere della Sera, 10 marzo 2015; Volpi M., Le riforme e la forma di govermo, in “AIC”, n. 2/2015). Lasciando da parte l’uggiosa disputa sui limiti che ne deriverebbero per il presidente della Repubblica (uggiosa perché trascura la fondamentale distinzione fra aspetti formali-giuridici e sostanziali-politici), siamo davanti a un’altra obiezione che investe, legittimamente, la strategia politico-istituzionale di cui la nuova legge elettorale è espressione: dunque il merito. Sotto il profilo (vagamente) giuridico, le censure – alcune vorrei definire “spiazzanti” (ma non tenendo conto della logica di fondo dei critici, di cui ho detto) – sono queste. La prima, seria solo in apparenza, è quella secondo la quale il ballottaggio condurrebbe all’elusione del requisito imposto dalla Corte nella 1/2014 sulla soglia ai fini del premio che chi vince deve raggiungere. Si dice (D’Anna G., Strutturale incostituzionalità e irragionevolezza del ballottaggio, in “Dem. e dir.”, n. 1/2014, 103-113; Dickmann R., A proposito dell’Italicum, in “Forumcost.”, 3 giugno 2015; Onida V., ibi.), Ragusa F., Il perfezionamento imperfetto dei ballottaggi..., in “Riforme.net”, 9 giugno 2014; Trucco L., Il sistema elettorale Italicum-bis alla prova della sent. Corte cost. n. 1 del 2014, in “Consultaonline”, 27 aprile 2015, 285-305; Volpi M., Italicum due: una legge elettorale abnorme, in “Questione giustizia”, n. 1/2015): se si va al secondo turno è perché nessuno ha ottenuto il 40% dei voti validi; quindi... la lista arrivata seconda ancor meno (e qui ci si scatena in casi di scuola: tipo il 10%, il 15% o altro numero basso a scelta). Ma allora, se quest’ultima vince il premio..., soglia non c’è. A parte che non si vede perché si farebbe mai un ballottaggio se a chi ha avuto meno voti al primo turno fosse... precluso vincere, il vero è che questo modo di ragionare trascura il piccolo dettaglio che, non a caso, si indice una seconda apposita votazione cui tutto il corpo elettorale è chiamato, appunto per stabilire quale delle due liste ammesse “vince”.. le elezioni: con le scontate, note sin dall’inizio, trasparenti, conseguenze sul piano dell’assegnazione dei seggi. Qui si coglie la chiave di lettura di queste e di quasi tutte le altre critiche: apoditticamente considerano “vero”, pienamente legittimo anche costituzionalmente, solo il voto proporzionale del primo turno. E giudicano il ballottaggio una superfetazione destinata a distorcerne l’unica autentica “genuinità”. Infatti c’è chi è arrivato a giudicare criticamente il ballottaggio proprio perché indurrebbe l’elettore a esprimere un voto strategico «dato secondo raziocinio e convenienza, e non secondo cuore, dunque meno genuino...» (lo nota Maestri G., La legge elettorale dopo la Consulta..., in “Nomos”, n. 3/2013). In realtà il ballottaggio, che rimette a tutti la scelta, si spiega proprio per aver introdotto una soglia al primo turno: ed è mero effetto ottico da prestidigitatore sostenere che la lista vittoriosa al ballottaggio (col 50% + 1 voto!) sarebbe premiata in elusione a qualsiasi soglia, sol perché in teoria il vincente potrebbe aver avuto pochi (pochi rispetto a cosa?) voti... al primo turno! Così vero che – sia pure in relazione a elezioni locali – la sent. 275/2014, sia richiamando la 107/1996 sia giurisprudenza del Consiglio di stato (n. 4680/2013) conferma un punto di fondo: elezioni a un solo turno ed elezioni a doppio turno rispondono a logiche diverse e non si può giudicare le seconde con gli schemi di quelle a turno unico.  Sulla base di ragionamenti del genere, vi sono quanti avrebbero voluto un quorum strutturale anche per il ballottaggio (dicono che, in mancanza, questo sarebbe costituzionalmente illegittimo: dimenticando, fra l’altro, che proprio nel nostro ordinamento c’è un art. 138 Cost. che, per una decisione non da poco, modificare la costituzione, prevede il referendum senza quorum!): sono gli stessi secondo i quali non ci sarebbe ragione per cui il premio debba essere attribuito “per forza”. C’è perfino chi considera il non superamento della soglia da parte di alcuna lista, al primo turno, come una pronuncia dell’elettorato contro l’assegnazione del premio (che il ricorso al ballottaggio illegittimamente contraddirebbe, Volpi in Italicum due, v. sopra). Una variante è infine quella di chi chiede che le soglie (anche in sede di ballottaggio) siano calcolate non sui voti validi, ma sugli aventi diritto (Lara Trucco, ibi., ma in parte anche Rauti A., l?Italicum fra ‘liturgia’ elettorale e porve di bipartitismo, in “AIC”, n. 2/2015, 12 giugno 2015). Motivazione aggiuntiva di presunta illegittimità sarebbe, infine, la probabilità (in parte confermata dall’esperienza) che si registri una minor partecipazione (Volpi, Trucco): col che, però, il diritto non si vede cosa c’entri (se mai l’opportunità). C’è poi chi considera ragione di illegittimita costituzionale il fatto che... l’elettore possa votare diversamente al ballottaggio rispetto al voto espresso al primo turno (Dickmann R., A proposito dell’Italicum..., in “Forumcost.”, 3 giugno 2015): «elettori già rappresentati per effetto di preferenze espresse al primo turno a una lista diversa dalle due ammesse..., votando in questa seconda consultazione... finirebbero con l’esprimere preferenze contraddittorie fra i due turni...». Ebbé? Ciò è, come dire, in re ipsa. Certo: il ballottaggio determina per tutte le liste perdenti (ammesse o non ammesse al secondo voto) una ridotta attribuzione di seggi: ma questa deriva appunto... dal fatto che han perso le elezioni! Il vero è che molti critici, e Dickmann più di ogni altro, rifiutano l’idea stessa che – giuridicamente – l’Italicum (bello o brutto che sia) preveda un unico sistema di voto, trasparentemente fondato (a proposito di affidamento e aspettative degli elettori) su uno o due turni: entrambi parimenti e congiuntamente concorrenti a permettere agli elettori di determinare la composizione della Camera (e la presumibile formazione al suo interno di una maggioranza). Sempre Dickmann giudica illegittimo che il turno di ballottaggio non preveda preferenze: il che si sarebbe anche potuto prevedere (con problemi: è un voto a collegio unico nazionale), ma non si vede perché non averlo fatto violi la Costituzione o anche la più fantasiosa interpretazione... delle interpretazioni di cui alla sent. 1/2014: in ogni caso, a individure gli eletti, decisi i seggi da ripartire grazie al combinato disposto di quelle due votazioni, saranno, capolista a parte, le preferenze date al primo turno.    Denunciano, infine, la compressione della libertà degli elettori che al primo turno avessero votato per le liste non ammesse e considerano illegittimo obbligarli a scegliere fra due sole sia Onida sia Volpi (“competizione falsata” secondo il primo; un “sistema... sicuramente antidemocratico” per il secondo). Ma qui si torna al merito: formula costrittiva o modo di incoraggiare gli elettori a una scelta pragmatica, magari difforme dalla prima, senza restare aggrappati al “tutto o nulla” delle identità irrinunciabili e settarie del passato (Pasquino P., Replica a Scalfari, in https:/ stefanoceccanti.wordpress.com/, 14 aprile 2015)?.   Chiudo. Proprio alla luce della 1/2014, è difficile pensare che l’Italicum possa essere considerato costituzionalmente illegittimo. A parte le questioni sulla scelta dei rappresentanti e sull’idoneità della formula a favorire la governabilità, è proprio il ballottaggio – diversamente delle opinioni riportate – che legittima l’attribuzione del premio: questo ha un tetto, e prevede o la soglia o una voto ad hoc. Il fatto che questo sia limitato alle due liste più votate non ne inficia, ma ne esalta la legittimazione, e quella di chi vince.  Il fatto è che da parte di alcuni non si riesce ad accettare il fatto che, in regime parlamentare, funzione dell’assemblea non è solo garantire rappresentanza, ma assicurare governabilità; e che tale funzione è bene sia esercitata, per il possibile, al momento del voto, su impulso diretto del corpo elettorale. Tanto più ora che i partiti di massa sono al tramonto o già tramontati: non sarebbe ragionevole affidare la guida del paese solo ed esclusivamente a ciò che, semplicemente, non c’è più (e che anche quando c’era, non sembrava più saperlo fare così bene). Certo, anche queste sono opinioni: che non mi sogno di ammantare di giuridicità.  

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