DOCUMENTAZIONE IN MERITO AL PROSSIMO QUESITO REFERENDARIO
SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE
Completiamo,
con quest’ultimo, la pubblicazione di documenti che speriamo siano utili a
meglio capire e muoverci nelle complicazioni, di sostanza e di metodo, relative
al quesito referendario del prossimo autunno. I tre testi qui inseriti si
riferiscono alla nuova Legge Elettorale che al momento non è oggetto di
approvazione/cancellazione referendaria, anche se, come si può leggere nel secondo
testo è partita una iniziativa di raccolta firme per la sua abrogazione sulla
base delle motivazioni addotte dal Comitato promotore. E’ comunque opinione
condivisa che il quesito referendario sulla revisione costituzionale può essere
meglio capito proprio in relazione alle importanti novità introdotte dalla
nuova Legge Elettorale, riepilogato nel primo documento a seguire. Completa
infine questo documento l’intervento del Prof. Carlo Fusaro di risposta ad
alcune perplessità e critiche.
Italicum: la nuova legge elettorale in 9 punti
NUOVA SCHEDA ELETTORALE. La riforma introduce
una nuova scheda elettorale: ogni casella sarà composta dal contrassegno del
partito al centro, a sinistra il nome e il cognome del capolista mentre a
destra due righe per le preferenze.
100 COLLEGI PLURINOMINALI. Le liste dei candidati
sono presentate in 20 circoscrizioni elettorali suddivise nell`insieme in 100
collegi plurinominali, fatti salvi i collegi uninominali nelle circoscrizioni
Valle d`Aosta e Trentino-Alto Adige, per le quali verranno reintrodotti i
collegi uninominali;
PREMIO DI MAGGIORANZA. Sono attribuiti 340
seggi alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40 per cento dei
voti validi.
BALLOTTAGGIO. Nel caso in cui nessuna
lista raggiunga il 40% dei consensi si procede a un turno di ballottaggio tra
le due con il maggior numero di voti. E' esclusa ogni forma di collegamento tra
liste o di apparentamento tra i due turni di votazione.
SOGLIA DI SBARRAMENTO. Accedono alla
ripartizione dei seggi le liste che ottengono, su base nazionale, almeno il tre
per cento dei voti validi.
PARITA' DI GENERE. In ciascuna lista i
candidati sono presentati in ordine alternato per sesso, i capolista dello
stesso sesso non eccedono il sessanta per cento del totale in ogni
circoscrizione, nessuno può essere candidato, in più collegi, neppure di altra
circoscrizione, salvo i capolista nel limite di dieci collegi. L`elettore può
esprimere fino a due preferenze, per candidati di sesso diverso tra quelli che
non sono capolista.
CAPILISTA BLOCCATI E POI PREFERENZE. Sono eletti prima i
capolista nei collegi, quindi i candidati che hanno ottenuto il maggior numero
di preferenze. L'elettore può esprimere fino a due preferenze, per candidati di
sesso diverso tra quelli che non sono capolista
COLLEGI ELETTORALI. I collegi elettorali
sono determinati con decreto legislativo da emanare entro cinque mesi e secondo
i principi e i criteri direttivi stabiliti dall'Italicum.
NORMA ANTI-FLIPPER. La norma prevede un
meccanismo di ripartizione dei seggi eccedentari che tutela anche le liste
minori. Nel nuovo testo approvato al Senato la lista che ha raccolto più voti
(eccedentari) cede il seggio a quella più piccola dove questa ha raccolto più
consensi.
STATUTO OBBLIGATORIO. Per presentare la
propria lista alle elezioni sarà necessario depositare anche uno Statuto.
Italicum, due firme per bloccare la legge con un referendum, contro lo strapotere del partito unico
Documento che i promotori del “Comitato contro
l’Italicum per la democrazia” lanciano in occasione della partenza della
raccolta firme per il referendum contrario alla legge elettorale del 6 maggio
2015 n.52 - di Stefano Rodotà,
Massimo Villone, Alfiero Grandi e Silvia Manderino
Adesso
che la riforma elettorale (Italicum) è stata trasformata in legge (L.
6 maggio 2015 n. 52) il discorso sul sistema elettorale del nostro Paese non è
chiuso. Per l’Italicum si è voluto procedere a tappe forzate,
ricorrendo addirittura alla fiducia, come avvenne nel 1953 per la legge truffa,
evidentemente per nascondere sotto l’asfalto del decisionismo governativo le
scorie tossiche (per la democrazia) del nuovo sistema ed evitare ogni reale dibattito. E
tuttavia, proprio com’è accaduto per il Porcellum, è l’insostenibilità
costituzionale e politica del nuovo sistema che rende necessario riaprire il
dibattito per far emergere le storture che devono essere corrette. La
legge elettorale, lungi dal rappresentare un’asettica tecnica di selezione
della rappresentanza, è il principale strumento attraverso il quale si realizza
un ordinamento rappresentativo e viene data concreta attuazione al principio
supremo posto dall’art. 1 della Costituzione che statuisce: “La
sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della
Costituzione”. Orbene la Corte costituzionale, con una pronuncia
storica è intervenuta nel campo del diritto elettorale, riconoscendo che anche
questo terreno squisitamente politico deve essere coerente con i principi
costituzionali e con diritti politici del cittadino. È da qui che bisogna
partire per giudicare la sostenibilità del nuovo sistema elettorale.
La
Corte costituzionale con la sentenza 1/2014 ha dichiarato incostituzionali due
istituti della legge Calderoli:
1) Le liste bloccate, riconoscendo ai cittadini
elettori il diritto di scegliersi i propri rappresentanti esprimendo (almeno)
una preferenza
2) Il meccanismo che attribuiva alla minoranza “vincente” un premio di maggioranza senza soglia minima.
2) Il meccanismo che attribuiva alla minoranza “vincente” un premio di maggioranza senza soglia minima.
La
Corte non ha contestato di per sé qualsiasi meccanismo correttivo dei voti
espressi attraverso un premio di maggioranza, ma ha dichiarato
costituzionalmente intollerabile che possa essere attribuito un premio di
maggioranza “senza soglia” perché l’effetto sarebbe quello di produrre una
distorsione enorme fra la volontà espressa dagli elettori e il risultato in
seggi, determinando un vulnus intollerabile
all’eguaglianza del voto e al principio stesso della sovranità
popolare. Nessun sistema elettorale è in grado di assicurare una perfetta
corrispondenza fra i voti espressi e i seggi conseguiti da ciascuna forza
politica che partecipa all’agone elettorale. Questo però non consente di
buttare a mare il principio espresso dall’art. 48 della Costituzione
secondo cui il voto è libero e uguale, diretta conseguenza del principio di
eguaglianza e di partecipazione espresso dall’art. 3.
La
legge Calderoli aveva istituzionalizzato la diseguaglianza dei cittadini
italiani nel voto, attraverso il meccanismo previsto dall’art. 83 che
prevedeva la formazione di un “quoziente di maggioranza” e di un “quoziente di
minoranza”. Nelle elezioni del 2013 il quoziente di maggioranza è stato di
circa 29mila voti, mentre quello di minoranza è stato superiore
a 81mila voti (cioè per eleggere un deputato nei partiti “premiati”
sono stati sufficienti 29mila voti popolari, mentre per eleggere un deputato
per tutti gli altri partiti sono occorsi più di 81mila voti popolari). Il
rapporto fra i due quozienti è stato di 2,66. Basti pensare che
il Pd con 8.646.457 voti (25,42%) ha ottenuto 292
seggi (pari al 47%) mentre il Movimento 5 stelle con 8.704.969
(25,56%) ha ottenuto 102 seggi (pari al 16,5%). La Consulta ha
dichiarato incostituzionale il Porcellum proprio per evitare il ripetersi di
una simile insostenibile distorsione fra la volontà espressa dal popolo
italiano ed i risultati in termini di composizione della Camera
rappresentativa. Orbene l’Italicum finge di adeguarsi alle prescrizioni della
Corte sia per quanto riguarda le liste bloccate, sia per quanto riguarda il
premio di maggioranza, ma in realtà si sbarazza dei paletti che la Consulta ha
posto alla discrezionalità del legislatore, riesumando una versione peggiorata
del Porcellum.
L’Italicum apparentemente abbandona il sistema delle
liste bloccate
(in cui i deputati sono eletti in base all’ordine di lista, senza che
l’elettore possa mettervi becco), rendendo bloccati “soltanto” i capilista,
mentre gli altri deputati vengono eletti sulla base delle preferenze. Però c’è un trucco.
Vengono creati 100 collegi di dimensioni variabili da tre a sei seggi.
Poiché difficilmente un partito elegge, in collegi così ridotti, più di un
deputato, ecco che buona parte dei deputati non saranno scelti dagli elettori
con il voto di preferenza ma saranno direttamente “nominati” dai capi dei
partiti. Ma ancor maggiore è lo scostamento dalle prescrizioni della
Consulta in tema di premio di maggioranza. Anche in questo versante l’Italicum
finge di adeguarsi perché introduce una soglia minima al premio di maggioranza
(40%), con ciò legittimando, peraltro, un premio di maggioranza notevolissimo
(il 15%, pari a circa 90 seggi), equivalente a quello stabilito dalla
legge truffa. Nella realtà quest’adeguamento viene rinnegato con un trucco.
Alle elezioni del 1953, la coalizione governativa non raggiunse per pochi voti
la soglia minima (50%) e il premio di maggioranza non scattò. Per evitare
questo rischio il legislatore moderno ha risolto il problema, rendendo la soglia
minima rimuovibile, attraverso l’istituto del ballottaggio su base nazionale
fra le due liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti.
In questo modo l’Italicum non solo non abolisce il
meccanismo del premio di maggioranza senza soglia censurato dalla Corte
costituzionale, ma addirittura lo esalta perché attribuisce il premio a
una unica lista, anziché alle coalizioni. È questo l’aspetto più preoccupante
della nuova legge elettorale. L’Italicum
smantella ogni possibile coalizione perché attribuisce il premio di maggioranza
a una sola lista. Per legge viene attribuita la maggioranza
politica e la guida del governo a un solo partito, a prescindere dalla volontà
del popolo sovrano. In questo modo viene reintrodotto nel nostro Paese un
sistema di governo basato sul partito unico. Per rendersi conto della gravità
di questa svolta, basti pensare che dal 24 aprile del 1944 (secondo
governo Badoglio) ad oggi si sono sempre e solo succeduti governi di
coalizione, o quantomeno sostenuti da una maggioranza di coalizione, mentre un
governo del partito unico in Italia è esistito soltanto
nel ventennio fascista. Fu proprio la legge elettorale dell’epoca (legge
Acerbo) che consentì l’avvento di un partito unico al governo, attribuendo
nelle elezioni del 1924 una maggioranza garantita al “listone”. Poiché il
sistema politico italiano non è bipolare, né tantomeno bipartitico il
meccanismo elettorale congegnato è destinato a produrre naturalmente –
soprattutto attraverso il ballottaggio – una fortissima distorsione fra la
volontà espressa dal corpo elettorale e i seggi conseguiti dalle singole forze
politiche, istituzionalizzando la diseguaglianza dei cittadini nell’esercizio
del diritto di voto.
Le
due simulazioni che seguono rendono più chiari gli effetti perversi di questo
sistema. Distribuzione diseguale dei seggi e diseguaglianza dei cittadini
nel voto con l’Italicum.
Simulazione I
Si
prenda una platea di 30.000.000 di voti. Concorrono alla distribuzione dei
seggi, avendo superato la soglia di sbarramento del 3%, n. 5 partiti. Nessuno
dei partiti concorrenti riesce a superare la soglia del 40% per cui si rende
necessario il ballottaggio. A seguito del ballottaggio l’ufficio centrale
nazionale determina il quoziente di maggioranza e quello di minoranza e procede
alla distribuzione dei seggi come raffigurato in tabella.
Partito
|
Voti ricevuti
|
Percentuale
|
Seggi
|
||||
Lista n.1
|
7.500.000
|
25%
|
340
|
||||
Lista n. 2
|
7.500.000
|
25%
|
93
|
||||
Lista n. 3
|
7.490.000
|
24,97%
|
93
|
||||
Lista n. 4
|
4.000.000
|
13,33%
|
49
|
||||
Lista n. 5
|
3.510.000
|
11,7%
|
43
|
||||
Quoziente di maggioranza =
7.500.000/340 = 22.058
|
|||||||
Quoziente di minoranza = 22.500.000/278 = 80.935
|
|||||||
Rapporto fra i 2 quozienti =
80.935/22.025 = 3,67
|
|||||||
N.B. Il voto del cittadino di
maggioranza vale 3,67 volte in più del voto del cittadino di “minoranza”
Simulazione II
Si
prenda una platea di 30.000.000 di voti. concorrono alla distribuzione dei
seggi, avendo superato la soglia di sbarramento del 3%, n. 5 partiti. Nessuno
dei partiti concorrenti riesce a superare la soglia del 40% per cui si rende
necessario il ballottaggio che vince la lista seconda classificata al primo
turno. A seguito del ballottaggio l’ufficio centrale nazionale determina il
quoziente di maggioranza e quello di minoranza e procede alla distribuzione dei
seggi come raffigurato in tabella.
Partito
|
Voti ricevuti
|
Percentuale
|
Seggi
|
||||
Lista n.1
|
10.000.000
|
33,33%
|
121
|
||||
Lista n. 2
|
7.000.000
|
23,33%
|
340
|
||||
Lista n. 3
|
6.000.000
|
20,00%
|
73
|
||||
Lista n. 4
|
4.000.000
|
13,33%
|
48
|
||||
Lista n. 5
|
3.000.000
|
10,00%
|
36
|
||||
Quoziente di maggioranza =
7.000.000/340 = 20.588
|
|||||||
Quoziente di minoranza =
23.000.000/278 =82.733
|
|||||||
Rapporto fra i 2 quozienti =
82.733/20.588 = 4,01
|
|
||||||
N.B. il voto del cittadino di
maggioranza vale 4,01 volte in più del voto del cittadino di “minoranza”
Queste
semplici considerazioni dimostrano che
l’Italicum è una legge insostenibile poiché aggredisce i fondamenti della
democrazia repubblicana e ferisce uno dei principi che non può essere oggetto
di revisione costituzionale: quello dell’eguaglianza dei cittadini.
L’aspetto più preoccupante dell’Italicum è che attraverso questo percorso di
manipolazione della rappresentanza viene cambiata profondamente la forma di
governo e squilibrata ogni forma di contrappeso
istituzionale poiché un solo partito – per legge – avrà in mano le chiavi del governo e
della maggioranza parlamentare. Senza mediare con nessuno,
potrà determinare l’elezione del presidente della Repubblica e
attraverso di lui influire sulla composizione della Corte costituzionale,
neutralizzandone la funzione di controllo. L’Italicum è una minaccia per la democrazia. Questa
minaccia può essere disinnescata soltanto attraverso i due referendum
abrogativi proposti dal Comitato per il No all’Italicum
_______________________________________________________________
Un articolo a firma di Carlo Fusaro (Professore
di Diritto Pubblico, Università di Firenze) apparso su “Quaderni Costituzionali” 2015,
Le critiche al ballottaggio dell'Italicum o del rifiuto di rafforzare la governabilità per via
elettorale attraverso il premio alla lista
Era inevitabile: la
sentenza 1/2014 della Corte costituzionale sulla legge 270/2005 ha vieppiù
esaltato la già forte propensione di politici e accademici a contrabbandare le
proprie opinioni per solenni, sofferti e in genere ansiogeni dubbi (che dico:
certezze!) di (il)legittimità costituzionale. Non un solo dettaglio di quella
legge s’è salvato dal venire, prima o dopo, tacciato di incostituzionalità
prefiguranti le più nefaste conseguenze sulle sorti della patria democrazia:
destino che non poteva non toccare anche al ballottaggio, previsto quando la
lista più votata non consegua almeno il 40%. Non è una sorpresa. Il
ballottaggio è l’unico strumento per conciliare una significativa soglia per
l’assegnazione del premio (in ossequio al diktat della sentenza 1/2014), con la
scelta di elezioni potenzialmente “decisive” (con premio majority assuring).
Diversamente, si deve rinunciare sia al premio sia all’investitura elettorale
di un vincitore, abbandonando la strategia che punta a rafforzare la nostra
forma di governo attraverso un regime parlamentare del primo ministro, secondo
l’ipotesi della Commissione Quagliariello: non nascosto obiettivo dei critici
dell’Italicum. Non a caso, sono stati invece i fautori della riforma a salutare
con favore l’innalzamento della soglia dall’iniziale 32% (calibrato, non era un
caso, sui consensi delle prime due coalizioni alle Politiche 2013) al 37%, e,
poi al 40% (calibrato sui consensi Pd alle Europee 2014), auspicandone anzi
l’elevazione al 50% più un voto: illudendosi di fare così fatto piazza pulita
di ogni discussione in ordine alla legittimazione (premio majority assuring
solo al secondo turno; majority reinforcing, al primo). Provo (ma è difficile)
a distinguere fra critiche di merito e (presunte) critiche giuridiche rispetto
al ballottaggio e – in particolare – al modo come questo è disciplinato. Una prima (merito), lamenta che si tratta di
un sistema “unico al mondo”: quasi sempre in effetti il ballottaggio è previsto
per attribuire singoli seggi in collegi uninominali. L’argomento è però debole.
Prima di tutto, vi sono pur rari esempi (Messico, Corea del Sud, San Marino, Francia comunali, dipartimentali
e regionali, Italia comuni); in secondo luogo, poiché il ballottaggio altro non
è che la previsione che, quando non si diano certe condizioni, la scelta sia
affidata all’intero corpo elettorale, convocato di nuovo, in assoluta
trasparenza e con piena consapevolezza della posta in palio; in terzo luogo,
perché qualsiasi legge elettorale va valutata non in astratto ma nel contesto
dato. Non si può un giorno insegnare che i modelli istituzionali non si possono
importare acriticamente, il giorno dopo censurare scelte calibrate sul contesto
nazionale solo perché... originali. Una seconda critica riguarda i modi del
ballottaggio: il fatto che vi accedono solo liste (e non coalizioni); il
divieto di apparentamenti; il fatto che, trattandosi di vero e proprio
ballottaggio, non di secondo turno, l’accesso è limitato alle prime due liste
(non ad altre che abbiano superato una soglia minima di consensi). La questione
liste vs. coalizioni (a parte il fatto che – come si è detto sin dai tempi
della legge 81/1993 – vi possono essere anche liste di coalizione: con la
differenza che la lista maggiore, con liste di coalizione, negozia da
condizioni di maggior forza), sembra posta da chi non rammenta le mille
lamentazioni contro le coalizioni disomogenee “buone solo a vincere le
elezioni, ma non a governare”, delle quali si sono avuti esempi plurimi (ai
tempi delle leggi Mattarella come ai tempi della Calderoli). E da chi non
ricorda, altresì, che la Corte dette il via al referendum Guzzetta (2009) che
proprio questo avrebbe comportato. L’inammissibilità di apparentamenti fra i
due turni, poi, da un lato è coerente con la scelta di una (auspicata) maggior
omogeneità delle liste, dall’altro sconta storici e recenti precedenti che han
fatto parlare in Italia e, soprattutto, in Francia, di mercato delle vacche
(accentuato nel doppio turno di collegio rispetto al doppio turno di lista).
Quanto all’ammissione delle sole due prime liste, essa è coerente con la
cercata maggior legittimazione che si persegue col ballottaggio: legata alla
decisione di una maggioranza dei votanti.
Non ha più pregio la critica – riesumata per l’ennesima volta – secondo
la quale il ballottaggio non si adatterebbe a un sistema partitico non (più)
bipolare, ma tripolare se non quadripolare: per cui il legislatore
pretenderebbe incautamente di ingabbiare quel sistema in una camicia di forza.
Il ballottaggio serve certo per ricondurre a binaria la scelta di governo, ma
nel rispetto di una larga possibilità di rappresentanza comunque garantita con
il voto al primo turno. Precisamente è in questa combinazione, su base di
lista, che risiede una delle qualità dell’Italicum (come di leggi analoghe:
comunale, regionale Toscana, per es.): grazie ad essa non può accadere, per
capirci, quanto successo più volte in Francia e nel maggio 2015 nel Regno
Unito. Rende l’idea il ricalcolo fatto da una rivista (www.inkiesta) dell’esito
di quelle elezioni applicando l’Italicum (ipotesi di ballottaggio vinto da
Cameron): conservatori 351 deputati (vs. 331); Labour 151 (229); Ukip 63 (1);
Lib-Dem 38 (8); Snp 24 (56); Greens 19 (1).
Una quarta contestazione deriva dalla previsione (ragionevole) secondo
la quale il ballottaggio come scelta binaria fra liste con leader (il “capo
della forza politica”) finirà per conferire forte legittimazione non solo al partito
“premiato”, ma, appunto, a chi lo guida (Onida V., Corriere della Sera, 10
marzo 2015; Volpi M., Le riforme e la forma di govermo, in “AIC”, n. 2/2015).
Lasciando da parte l’uggiosa disputa sui limiti che ne deriverebbero per il
presidente della Repubblica (uggiosa perché trascura la fondamentale
distinzione fra aspetti formali-giuridici e sostanziali-politici), siamo
davanti a un’altra obiezione che investe, legittimamente, la strategia
politico-istituzionale di cui la nuova legge elettorale è espressione: dunque
il merito. Sotto il profilo (vagamente) giuridico, le censure – alcune vorrei
definire “spiazzanti” (ma non tenendo conto della logica di fondo dei critici,
di cui ho detto) – sono queste. La prima, seria solo in apparenza, è quella
secondo la quale il ballottaggio condurrebbe all’elusione del requisito imposto
dalla Corte nella 1/2014 sulla soglia ai fini del premio che chi vince deve
raggiungere. Si dice (D’Anna G., Strutturale incostituzionalità e
irragionevolezza del ballottaggio, in “Dem. e dir.”, n. 1/2014, 103-113;
Dickmann R., A proposito dell’Italicum, in “Forumcost.”, 3 giugno 2015; Onida
V., ibi.), Ragusa F., Il perfezionamento imperfetto dei ballottaggi..., in
“Riforme.net”, 9 giugno 2014; Trucco L., Il sistema elettorale Italicum-bis
alla prova della sent. Corte cost. n. 1 del 2014, in “Consultaonline”, 27
aprile 2015, 285-305; Volpi M., Italicum due: una legge elettorale abnorme, in
“Questione giustizia”, n. 1/2015): se si va al secondo turno è perché nessuno
ha ottenuto il 40% dei voti validi; quindi... la lista arrivata seconda ancor
meno (e qui ci si scatena in casi di scuola: tipo il 10%, il 15% o altro numero
basso a scelta). Ma allora, se quest’ultima vince il premio..., soglia non c’è.
A parte che non si vede perché si farebbe mai un ballottaggio se a chi ha avuto
meno voti al primo turno fosse... precluso vincere, il vero è che questo modo
di ragionare trascura il piccolo dettaglio che, non a caso, si indice una
seconda apposita votazione cui tutto il corpo elettorale è chiamato, appunto
per stabilire quale delle due liste ammesse “vince”.. le elezioni: con le
scontate, note sin dall’inizio, trasparenti, conseguenze sul piano
dell’assegnazione dei seggi. Qui si coglie la chiave di lettura di queste e di
quasi tutte le altre critiche: apoditticamente considerano “vero”, pienamente
legittimo anche costituzionalmente, solo il voto proporzionale del primo turno.
E giudicano il ballottaggio una superfetazione destinata a distorcerne l’unica
autentica “genuinità”. Infatti c’è chi è arrivato a giudicare criticamente il
ballottaggio proprio perché indurrebbe l’elettore a esprimere un voto
strategico «dato secondo raziocinio e convenienza, e non secondo cuore, dunque
meno genuino...» (lo nota Maestri G., La legge elettorale dopo la Consulta...,
in “Nomos”, n. 3/2013). In realtà il ballottaggio, che rimette a tutti la
scelta, si spiega proprio per aver introdotto una soglia al primo turno: ed è
mero effetto ottico da prestidigitatore sostenere che la lista vittoriosa al
ballottaggio (col 50% + 1 voto!) sarebbe premiata in elusione a qualsiasi
soglia, sol perché in teoria il vincente potrebbe aver avuto pochi (pochi
rispetto a cosa?) voti... al primo turno! Così vero che – sia pure in relazione
a elezioni locali – la sent. 275/2014, sia richiamando la 107/1996 sia
giurisprudenza del Consiglio di stato (n. 4680/2013) conferma un punto di
fondo: elezioni a un solo turno ed elezioni a doppio turno rispondono a logiche
diverse e non si può giudicare le seconde con gli schemi di quelle a turno unico. Sulla base di ragionamenti del genere, vi
sono quanti avrebbero voluto un quorum strutturale anche per il ballottaggio
(dicono che, in mancanza, questo sarebbe costituzionalmente illegittimo:
dimenticando, fra l’altro, che proprio nel nostro ordinamento c’è un art. 138
Cost. che, per una decisione non da poco, modificare la costituzione, prevede
il referendum senza quorum!): sono gli stessi secondo i quali non ci sarebbe
ragione per cui il premio debba essere attribuito “per forza”. C’è perfino chi considera
il non superamento della soglia da parte di alcuna lista, al primo turno, come
una pronuncia dell’elettorato contro l’assegnazione del premio (che il ricorso
al ballottaggio illegittimamente contraddirebbe, Volpi in Italicum due, v.
sopra). Una variante è infine quella di chi chiede che le soglie (anche in sede
di ballottaggio) siano calcolate non sui voti validi, ma sugli aventi diritto
(Lara Trucco, ibi., ma in parte anche Rauti A., l?Italicum fra ‘liturgia’
elettorale e porve di bipartitismo, in “AIC”, n. 2/2015, 12 giugno 2015).
Motivazione aggiuntiva di presunta illegittimità sarebbe, infine, la
probabilità (in parte confermata dall’esperienza) che si registri una minor
partecipazione (Volpi, Trucco): col che, però, il diritto non si vede cosa c’entri
(se mai l’opportunità). C’è poi chi considera ragione di illegittimita
costituzionale il fatto che... l’elettore possa votare diversamente al
ballottaggio rispetto al voto espresso al primo turno (Dickmann R., A proposito
dell’Italicum..., in “Forumcost.”, 3 giugno 2015): «elettori già rappresentati
per effetto di preferenze espresse al primo turno a una lista diversa dalle due
ammesse..., votando in questa seconda consultazione... finirebbero con
l’esprimere preferenze contraddittorie fra i due turni...». Ebbé? Ciò è, come
dire, in re ipsa. Certo: il ballottaggio determina per tutte le liste perdenti
(ammesse o non ammesse al secondo voto) una ridotta attribuzione di seggi: ma
questa deriva appunto... dal fatto che han perso le elezioni! Il vero è che
molti critici, e Dickmann più di ogni altro, rifiutano l’idea stessa che –
giuridicamente – l’Italicum (bello o brutto che sia) preveda un unico sistema
di voto, trasparentemente fondato (a proposito di affidamento e aspettative
degli elettori) su uno o due turni: entrambi parimenti e congiuntamente
concorrenti a permettere agli elettori di determinare la composizione della
Camera (e la presumibile formazione al suo interno di una maggioranza). Sempre
Dickmann giudica illegittimo che il turno di ballottaggio non preveda
preferenze: il che si sarebbe anche potuto prevedere (con problemi: è un voto a
collegio unico nazionale), ma non si vede perché non averlo fatto violi la
Costituzione o anche la più fantasiosa interpretazione... delle interpretazioni
di cui alla sent. 1/2014: in ogni caso, a individure gli eletti, decisi i seggi
da ripartire grazie al combinato disposto di quelle due votazioni, saranno,
capolista a parte, le preferenze date al primo turno. Denunciano, infine, la compressione della
libertà degli elettori che al primo turno avessero votato per le liste non
ammesse e considerano illegittimo obbligarli a scegliere fra due sole sia Onida
sia Volpi (“competizione falsata” secondo il primo; un “sistema... sicuramente
antidemocratico” per il secondo). Ma qui si torna al merito: formula
costrittiva o modo di incoraggiare gli elettori a una scelta pragmatica, magari
difforme dalla prima, senza restare aggrappati al “tutto o nulla” delle
identità irrinunciabili e settarie del passato (Pasquino P., Replica a
Scalfari, in https:/ stefanoceccanti.wordpress.com/, 14 aprile 2015)?. Chiudo. Proprio alla luce della 1/2014, è
difficile pensare che l’Italicum possa essere considerato costituzionalmente
illegittimo. A parte le questioni sulla scelta dei rappresentanti e
sull’idoneità della formula a favorire la governabilità, è proprio il
ballottaggio – diversamente delle opinioni riportate – che legittima
l’attribuzione del premio: questo ha un tetto, e prevede o la soglia o una voto
ad hoc. Il fatto che questo sia limitato alle due liste più votate non ne
inficia, ma ne esalta la legittimazione, e quella di chi vince. Il fatto è che da parte di alcuni non si
riesce ad accettare il fatto che, in regime parlamentare, funzione
dell’assemblea non è solo garantire rappresentanza, ma assicurare
governabilità; e che tale funzione è bene sia esercitata, per il possibile, al
momento del voto, su impulso diretto del corpo elettorale. Tanto più ora che i
partiti di massa sono al tramonto o già tramontati: non sarebbe ragionevole
affidare la guida del paese solo ed esclusivamente a ciò che, semplicemente,
non c’è più (e che anche quando c’era, non sembrava più saperlo fare così
bene). Certo, anche queste sono opinioni: che non mi sogno di ammantare di
giuridicità.
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