Riportiamo
i passaggi più significativi di un articolo recentemente comparso sulla rivista
online “L’Internazionale”, segnalato dalla nostra socia Daria Bosio, che
riteniamo possano essere una utile e pratica indicazione sulla modalità di
trasmissione del virus cvd19. Poche e scarne considerazioni in grado però di
essere di ammonimento, in questi primi giorni di “riapertura”, a chi troppo in
fretta si sta lasciando alle spalle prudenza e buon senso ma anche a chi è
forse frenato da un eccesso di “panico da contagio” (già sentito parlare di “sindrome
della capanna”? ossia delle remore ad uscire dal proprio guscio per affrontare il mondi di fuori)
Articolo di Erina Bromage, immunologo,
pubblicato nel sito online “L’Internazionale” 15
maggio
Questo articolo è un post del blog di Erina Bromage professore associato di biologia all'Università del Massachusetts, specializzato in immunologia. Da quando è stato
pubblicato, il 6 maggio, è stato visto più di tredici milioni di volte.
In questo momento pare che molte persone
stiano tirando un sospiro di sollievo, e non sono sicuro del perché. Una curva
epidemica ha una fase ascendente relativamente prevedibile, e dopo aver
raggiunto l’apice anche la fase discendente può essere intuibile. I dati relativi alla Cina e all’Italia
mostrano che la curva della mortalità cala lentamente e che le persone
continuano a morire per mesi. Supponendo di aver raggiunto il picco dei
decessi, intorno ai settantamila, è possibile che nelle prossime sei settimane
ci siano altri settantamila morti mentre la curva scende. Questo è quello che
può succedere in un contesto di confinamento. Ora negli Stati Uniti ci sono
singoli stati che stanno allentando le misure restrittive, dando al virus più
occasioni per diffondersi, e ogni previsione perde validità. Capisco le ragioni
dietro la riapertura delle attività economiche ma, come ho già sottolineato,
l’economia non potrà riprendersi se prima non risolviamo i problemi legati alla
biologia. Sono poche le zone che hanno registrato un declino stabile nei
contagi. Anzi, il 3 maggio erano in aumento nella maggioranza degli stati che,
malgrado tutto, hanno avviato la riapertura. Come semplice esempio della
tendenza negli Stati Uniti, se si tolgono i dati di New York e si osserva il
resto del paese, il numero di casi giornalieri aumenta. Dunque, l’unica ragione
per cui la curva del totale di nuovi casi negli Stati Uniti sembra piatta in
questo momento è perché l’epidemia di New York era molto grande e ora è stata
contenuta. Questo significa che nella maggior parte del paese la riapertura
getterà benzina sul propagarsi del virus. Non posso fare nulla per cambiare le
decisioni delle autorità, ma posso provare a spiegarvi come evitare le
situazioni più rischiose.
Dove è più facile
ammalarsi?
Sappiamo che la maggior
parte dei contagi si verifica nelle abitazioni: di solito una persona contrae
il covid-19 all’esterno e lo porta in casa, dove i contatti prolungati con i
familiari favoriscono la trasmissione. Ma quali sono i contesti esterni in cui
è più facile essere infettati? Sento parlare spesso dei supermercati, delle
passeggiate in bicicletta e dei runner sconsiderati che non indossano le
mascherine… Ma davvero sono queste le situazioni a rischio? In realtà non è
così. Mi spiego. Per contrarre il covid-19 è necessario essere esposti a una
dose infettiva di virus. In base agli studi sugli altri coronavirus sembra che
per trasmettere la malattia sia sufficiente una piccola dose. Secondo alcuni
esperti sarebbero sufficienti mille particelle infettive di Sars-cov.2.
È importante sottolineare che questi dati non sono stati verificati al livello
sperimentale, ma possiamo comunque usarli per illustrare le modalità di
trasmissione del virus. Il contagio può verificarsi con l’inalazione di mille
particelle virali attraverso un singolo respiro (o toccandosi gli occhi),
attraverso dieci respiri con cento particelle virali ciascuno o ancora cento
respiri con dieci particelle virali. Ognuna di queste situazioni può portare a
un’infezione.
Quanto virus finisce
nell’ambiente?
Colpo di tosse = Un singolo colpo di tosse rilascia circa tremila goccioline, che possono viaggiare a ottanta chilometri
all’ora. La maggior parte delle goccioline è di grandi dimensioni e precipita
rapidamente a causa della gravità, ma alcune possono restare nell’aria e
attraversare una stanza in pochi secondi.
Starnuto = Un singolo starnuto rilascia circa
trentamila goccioline che possono raggiungere la velocità di 300 chilometri all’ora. Le goccioline degli starnuti sono generalmente
piccole e coprono grandi distanze (attraversano facilmente una stanza). Se una
persona ha contratto il covid-19, le goccioline di un singolo colpo di tosse o
di uno starnuto possono disperdere nell’ambiente fino a duecento milioni di
particelle virali.
Respiro = Un singolo respiro rilascia tra le cinquanta
e le cinquemila goccioline. Nella maggior parte dei casi i droplet sono
lenti e precipitano immediatamente. La respirazione nasale rilascia una
quantità di goccioline ancora più bassa. È importante notare che la scarsa
forza di esalazione di un respiro impedisce l’espulsione delle particelle
virali provenienti dal tratto respiratorio inferiore. Diversamente dai colpi di
tosse e dagli starnuti, che rilasciano una grande quantità di materiale virale,
i droplet respiratori presentano livelli contenuti di virus. Non abbiamo ancora
dati certi relativi al Sars-cov-2, ma possiamo basarci sulle caratteristiche
della comune influenza. Diversi studi hanno dimostrato che una persona affetta da influenza può rilasciare fino a 33
particelle infettive al minuto, ma per semplificare i calcoli prenderò come
punto di riferimento 20 particelle al minuto.
Ricordate la formula: infezione = quantità
di virus x tempo = Se una persona starnutisce o tossisce, quei duecento milioni di
particelle virali si diffondono in ogni direzione. Alcune particelle restano
nell’aria, altre si depositano sulle superfici mentre la maggioranza precipita
al suolo. Quindi se vi trovate a conversare a distanza ravvicinata con un’altra
persona che improvvisamente starnutisce o tossisce, è abbastanza facile capire
come sia possibile inalare mille particelle virali e infettarsi. Anche se lo
starnuto o il colpo di tosse non sono diretti verso di voi, alcuni droplet
infetti (i più piccoli) possono restare sospesi in aria per qualche minuto,
riempiendo di particelle virali ogni angolo di una stanza di dimensioni
ridotte. Basta entrare in quella stanza pochi minuti dopo il colpo di tosse o
lo starnuto e fare qualche respiro per inalare una quantità di particelle
virali sufficiente ad ammalarsi. Tuttavia, se ci limitiamo alla respirazione –
con 20 particelle virali al minuto e anche ammettendo che ogni singola
particella finisca nei vostri polmoni, caso improbabile – servono
comunque cinquanta minuti per assumere le mille particelle necessarie per il
contagio. Quando parliamo, la quantità di
goccioline respiratorie rilasciate nell’atmosfera aumenta di quasi dieci volte,
portando il conto delle particelle virali a circa duecento al minuto. Anche in
questo caso, presupponenendo di inalare tutte le particelle, per raggiungere la dose minima infettante bisognerebbe
parlare faccia a faccia per circa cinque minuti. La formula “quantità x tempo” è alla base del
tracciamento dei contatti. Qualsiasi persona con cui un individuo infetto abbia
parlato a distanza ravvicinata per più di dieci minuti è un potenziale caso di
contagio. Lo stesso vale per chiunque condivida uno spazio con una persona
infetta per un arco di tempo prolungato, per esempio un ufficio. Per questo è
estremamente importante restare a casa quando si manifestano sintomi
riconducibili alla malattia. I colpi di tosse e gli starnuti producono una dose
infettante talmente elevata da contagiare potenzialmente un’intera stanza piena
di persone.
Qual è il ruolo delle persone
asintomatiche nella diffusione del virus? = Le persone con sintomi non sono le uniche
a poter diffondere il Sars-cov-2. Sappiamo che almeno il 44% ei casi di contagio – la maggioranza di quelli avvenuti all’interno di
comunità – è provocato da persone che non presentano sintomi, ovvero le persone
asintomatiche o presintomatiche. Un individuo positivo può disperdere il virus
nell’ambiente per almeno cinque giorni prima della comparsa dei sintomi della
malattia. Le persone infette sono presenti in ogni fascia di età, e ognuna diffonde una carica virale diversa. La quantità di
virus diffusa da una persona infetta cambia durante il corso della malattia e
differisce da un individuo all’altro. La carica virale solitamente aumenta
progressivamente fino alla comparsa dei primi sintomi. Subito
prima di manifestare i sintomi, l’individuo infetto rilascia la dose massima di
virus nell’ambiente. È interessante notare che il 99 per
cento della carica virale
che potrebbe essere rilasciata nell’ambiente proviene da appena il 20 per cento
delle persone infette.
Il nocciolo della questione: dove sono i
pericoli derivanti dalla riapertura? = Se vi chiedo dei focolai, quali sono i
primi che vi vengono in mente? La maggior parte delle persone indicherebbe le
navi da crociera, sbagliando. I focolai sulle navi, per quanto gravi, al
momento non rientrano tra i cinquanta peggiori casi registrati. Mettendo da
parte la drammatica situazione delle case di riposo, notiamo che negli Stati
Uniti i focolai peggiori sono esplosi nei penitenziari, durante le cerimonie
religiose e negli ambienti di lavoro come gli impianti per la macellazione
della carne e i call-center. Qualsiasi ambiente chiuso con una scarsa
circolazione dell’aria e un’elevata densità crea problemi.
Elementi in comune tra i focolai = Analizzare i diversi
focolai ci permette di evidenziarne i punti in comune. Tutti i contagi si sono
verificati in spazi chiusi, con un’elevata densità e un’abbondanza di
conversazioni, urla e canti. I principali
ambienti del contagio sono le case, i luoghi di lavoro, i trasposti pubblici,
gli eventi sociali e i ristoranti. Nel complesso in questi
contesti è avvenuto il 90 per cento dei contagi. Al contrario, la diffusione attraverso lo shopping sembra
responsabile per una piccola percentuale dei contagi tracciati. È
importante notare che nei paesi che svolgono un tracciamento adeguato è stato
registrato solo un focolaio collegato a un evento che si è svolto all’esterno (meno dello 0,3 per cento
dei contagi accertati).
Torniamo al pensiero originale di questo
mio intervento = Gli spazi chiusi e affollati, con un ricambio limitato o con il ricircolo
dell’aria, presentano un elevato rischio di trasmissione del virus. Sappiamo
che la presenza di sessanta persone in una stanza grande quanto un campo da
pallavolo ha provocato numerosi contagi. Lo stesso vale per un ristorante e un
call-center. Le linee guida sul distanziamento sociale sono inefficaci negli
spazi chiusi in cui si trascorre molto tempo, come dimostra il fatto che nei
casi analizzati sono state infettate anche persone posizionate a diversi metri
di distanza. Il concetto fondamentale è quello dell’esposizione prolungata al
virus. In tutte le situazioni prese in esame le persone sono state esposte al
virus presente nell’aria per un periodo prolungato (ore). Anche se si trovavano
a 15 metri di distanza (coro e call-center) e la dose infettante era ridotta,
il contatto prolungato con il virus è stato sufficiente a provocare il contagio
e in alcuni casi la morte. Le regole del distanziamento sociale servono a
proteggere l’individuo in caso di breve esposizione o di interazioni
all’aperto. In queste circostanze, a due metri di
distanza e con uno spazio aperto capace di ridurre la carica virale, il
covid-19 non ha il tempo sufficiente per diffondersi. Il
sole, il caldo e l’umidità sono tutti fattori che ostacolano la sopravvivenza
del virus e minimizzano il rischio di trasmissione all’aperto. Quando valutiamo
il rischio di contagio (respiratorio) nei supermercati e nei centri commerciali
dobbiamo considerare il volume dello spazio (elevato), il numero di presenti
(ridotto) e la quantità di tempo che le persone trascorrono in quello spazio
(la giornata intera per i dipendenti, circa un’ora per i clienti). Gli elementi
connaturati all’atto di fare la spesa – la scarsa densità, l’elevato volume
dello spazio e il tempo limitato che si trascorre all’interno del negozio –
fanno in modo che la probabilità di ricevere una dose infettante sia ridotta.
Per i dipendenti, invece, aumenta la probabilità di ricevere la dose infettante
e di conseguenza il lavoro diventa più rischioso. Ora che riprendiamo l’attività
lavorativa e cominciamo a uscire più spesso, magari per tornare in ufficio,
faremmo meglio a valutare attentamente il nostro ambiente di lavoro: quante
persone ci sono? Qual è il ricambio dell’aria? Per quanto tempo resteremo in
quell’ambiente? Se lavorate in un grande ufficio insieme a molte persone
fareste meglio ad analizzare attentamente i rischi (volume, persone, flusso
d’aria). Se il vostro lavoro vi impone di parlare (o peggio, urlare) a distanza
ravvicinata dall’interlocutore dovete assolutamente riflettere su quali
potrebbero essere le conseguenze. Se invece lavorate in uno spazio ventilato
con pochi dipendenti il rischio è piuttosto basso.
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