Riceviamo dal socio, e apprezzato relatore in
alcune nostre conferenze, Renzo Suriani
un articolo, che presenta una sua relazione sulla metodica dei modelli
educazionali ed etici della pratica medica scritta per esser pubblicata sul
periodico di AMICI (Ammalati Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali)
Piemonte Onlus Al di là della specifica patologia in esame ci
è sembrata una illuminante riflessione sul “rapporto democratico” tra medico e
paziente, un tema reso quanto mai attuale ed importante in questi tempi
pandemici
Il percorso accidentato del
progetto
“ Passaporto IBD”di A.M.I.C.I.
Piemonte Onlus”
e la storia di un successo finale
Cari
AMICI,
ho il piacere di comunicarVi che nel
mese di maggio del 2020 è stata accettata la pubblicazione come “ letter “
sulla più prestigiosa rivista di Gastroenterologia Italiana -DIGESTIVE AND
LIVER DISEASE- l’ esperienza culturale ottenuta con i sacrifici del sabato
mattina durante 8 mesi di confronto nel 2020 tra Noi e i più prestigiosi Medici
del Piemonte. Hanno aderito a questa iniziativa non solo eminenti
Gastroenterologi come il Prof. Giorgio Verme e il dott. Angelo Pera, il prof.
Giorgio Saracco, ma anche il Prof. Paola Cavallo Perin , Direttore della
Clinica Medica della Città della Salute e della Scienza di Torino, Il Prof.
Franco Merletti Direttore del Centro di
Epidemiologia del Cancro della Città della Salute e
della Scienza di Torino, il dott. Luciano Bertolusso Medico
di Medicina Generale, Salvetto Marica infermiera dell’ambulatorio di
Endoscopia della Gastroenterologia dell’Ospedale Mauriziano. La traduzione in Italiano del titolo
dell’articolo in pubblicazione è questa:
“IL
PASSAPORTO IBD: UN NUOVO MODELLO EDUCAZIONALE.”
Questa le parole chiave:
·
IBD
: Inflammatory Bowel Disease
·
in
Italiano M.I.C.I. Malattie
Infiammatorie Croniche Intestinali
·
RETTOCOLITE
UlCEROSA, R.C.U e la Malattia di Crohn.
Gli Autori dell’articolo
: Renzo Suriani, Elena Ercole ,
Paola Niola, Marco Astegiano, Angela Sambataro e Mauro Ravizza, rispettivamente: A.M.I.C.I. Piemonte,
Torino; Gastroenterologia Ospedale
Mauriziano, Gastroenterologia Cardinal Massaia,
Gastroenterologia della Città della Salute e della Scienza della
Città di Torino, Gastroenterologia San Luigi Gonzaga Orbassano e Gastroenterologia ASL Città di Torino.
Docenti in ordine alfabetico: . Argese Sara M.D., Bertolusso Luciano
M.D., Canavese Gabriella M.D. , Cavallo Perin Paolo M.D., Daperno Marco M.D., Mendolaro Marco M.D., Merletti Franco
M.D., Pavia Claudio M.D., Saracco Giorgio M.D., Sguazzini Carlo M.D. e Verme
Giorgio M.D.
Membri di A.M.I.C.I.
di Piemonte and Valle d'Aosta Onlus che hanno contribuito al progetto. Zucco Rocco, Presidente AMICI e in ordine alfabetico : Cesarino Limongi,
Francesca Gigante, Giovanni Battista Licata, Emanuela, Massari Mauro, Nostro
Generosa, Princi Domenico and Tralongo Lucia.
Qui di seguito vorrei non solo fornire
una versione con termini scientifici semplificati e spero più
comprensibili quanto pubblicato
nell’articolo in lingua inglese, ma, senza
mancare del rigore scientifico che ha portato alla pubblicazione la
nostra esperienza, fare comprendere che
la ricerca scientifica è anche emozione e non solo razionalità. L’impressione
dei non esperti leggendo un resoconto scientifico è che la ricerca segua un
percorso matematico, lineare dove uno più uno è sempre uguale a due. Niente di
più falso. La ricerca, tutte le ricerche, anche quella che portato a risultati
molto più brillanti della nostra come la scoperta di un nuovo virus
dell’epatite eseguita dal Prof. Mario Rizzetto proprio qui a Torino, nasce da intuizioni anche casuali, comporta
emozioni, scoraggiamenti, momenti di tensione e rabbia tra chi partecipa, si sviluppa
con decorsi tortuosi e a volte imprevedibili che sono l’esatta opposto di una
somma matematica. Nelle pagine che seguono vorrei fare partecipi e condividere
con AMICI questo percorso di cui nelle aride pubblicazioni scientifiche non vi
è traccia. L’articolo, come nella
maggioranza delle pubblicazioni scientifiche, si compone di tre parti:
1.
L’introduzione
in cui si prendono in considerazione gli elementi conosciuti che riguardano il tema che si deve affrontare e
lo scopo del lavoro. In questo caso si mettono in rilievo gli elementi noti
della relazione sulle conoscenze della malattia che il paziente dovrebbe
possedere per essere seguito con consapevolezza dal gastroenterologo e delle modalità con cui questi elementi di
conoscenza vengono forniti al paziente.
Inoltre si descrivono i pregi e i limiti con cui queste finalità vengono
perseguite nella pratica clinica corrente.
Si descrive poi lo scopo del lavoro
proponendo gli elementi di novità rispetto a quello che è svolto nella
pratica clinica corrente. Nel nostro caso questo elemento innovativo è stato
denominato PASSAPORTO IBD.
2.
Nella
seconda parte – Metodi e Risultati - si illustrano le modalità con cui il progetto
PASSAPORTO IBD viene attuato e i risultati finali che sono stato raggiunti.
3.
Nella
terza parte – Discussione -si
discutono i risultati conseguiti ponendo
in luce i lati positivi della ricerca e anche i limiti del lavoro. Si propone
poi l’indicazione a nuove ricerche per chiarire i punti non risolti del lavoro
pubblicato.
La pubblicazione di un lavoro di questo
tipo avviene solo dopo che la redazione della rivista scientifica giudica
l’idea proposta come importante e ha delle possibilità di fare evolvere in
meglio le pratiche mediche già adottate. La pubblicazione avviene come titolo
di merito, non avviene con il pagamento della pubblicazione degli autori della
ricerca ed è a completa discrezione del giudizio dei medici che dirigono la
rivista. I medici che giudicano i risultati sono un pool di esperti specialisti
di fama nazionale e/o internazionale con una lunga e riconosciuta esperienza
medica. Il loro giudizio è, nella maggioranza dei casi, insindacabile e non
condizionato né da ditte farmaceutiche né dal titolo degli autori, che possono
essere medici ospedalieri o professori universitari di qualunque nazionalità.
Si può quindi ben comprendere la soddisfazione di AMICI Piemonte Onlus avere
portato una novità importante a livello nazionale e forse europeo nel campo
delle MALATTIE INFIAMMATORIE INTESTINALI con attenzione al rapporto
medico-paziente.
INTRODUZIONE:
Il nodo centrale del problema che è
stato affrontato è in sintesi molto semplice: non esiste per i pazienti una
scuola per imparare cos’è la malattia cronica e in particolare cosa sono le
malattie infiammatorie intestinali. I medici per imparare cos’è una malattia e
come uesta va trattata vanno a scuola, frequentano l’università e ottengono una
Laurea. Per i pazienti non esistono scuole per imparare ad essere “PAZIENTI” , non esiste un diploma o una laurea in “PAZIENTOLOGIA” e quindi in buona sostanza l’unico riferimento è
l’esperienza personale che chi si ammala acquisisce nel corso della malattia
sperimentando successi ed insuccessi.
I medici in realtà cercano sempre di
far comprendere, durante la visita al paziente, le difficoltà e le scelte che
la malattia comporta, ma la spiegazione rimane una pratica individuale e non è
collettivizzata in un patrimonio culturale comune. Quindi le modalità di apprendimento del paziente
possono variare in funzione delle capacità di comunicazione del singolo medico.
Inoltre un secondo elemento importante è anche il limitato tempo di visita che
il medico ha disposizione per ogni paziente. Oltre questa difficoltà si
aggiunge un terzo problema che è forse ancora più rilevante. La stessa malattia
può per lo stesso paziente presentare aspetti con aree di incertezza nella
diagnosi e nella cura sia per la scelta dei farmaci che per le opzioni chirurgiche. Ovvero, quando e in
che modo è necessario passare dalla terapia con pillole orali / clismi rettali
/infusione venose alla resezione
intestinale. E’ esperienza comune che allo stesso paziente possano venire
proposte alternative farmacologiche diverse o addirittura una terapia
chirurgica dove prima era stata data una indicazione terapeutica con sole cure
mediche. Questa molteplicità di scelta può causare al paziente inesperto dei
danni psicologici e stress con anche peggioramento dei sintomi della malattia.
Questa incertezza di diagnosi e terapia può quindi aggravare la percezione dei
sintomi propri delle IBD come la diarrea, le feci miste a sangue, dolore
addominale e febbre. Tuttavia gli eventi dannosi non sono limitati a questi
aspetti perché il paziente disorientato
ricorre generalmente a più visite e all’aiuto dell’informazione “ fai da
te” che è reperibile in internet. Un
esempio eclatante del cattivo uso di internet è stato oggetto di una recente
pubblicazione scientifica e ha riguardato gli effetti collaterali dal
cambiamento di etichetta di un farmaco in Nuova Zelanda utilizzato per i
disturbi della tiroide, l’Eltroxin® prodotto dalla Glaxo SmthKline. Lo stesso farmaco prodotto dalla stessa ditta
ma con cambiamento dalla sede di
produzione dal Canada alla Germania aveva comportato un improvviso ed
ingiustificato aumento degli effetti collaterali che erano passati da 14 nel
periodo dal 1973 al 2006 sino a raggiungere la quota di 2000 di eventi dannosi
dal 2007 al 2008. L’aumento vertiginoso e razionalmente inspiegabile degli
effetti collaterali per un farmaco sicuro, di larghissimo impiego, utilizzato
da decenni con rarissimi effetti negativi, era dovuta al fatto che un
farmacista in una piccola città dell’Australia aveva ipotizzato alterazioni occultate dalla ditta
farmaceutica nella formulazione del farmaco legata al trasferimento della sede
di produzione. Questa falsa notizia amplificata e fatta circolare in internet era stata sufficiente a
scatenare il panico nei pazienti in cura da anni. Per altro l’utilizzo delle
nuove tecnologie, come ad esempio, la telemedicina presenta degli aspetti
positivi nel trattamento delle malattie croniche come per il cancro o le IBD.
La telemedicina introducendo degli elementi nuovi nel rapporto medico- paziente
si è dimostrata in grado di rafforzare e migliorare l’assistenza medica sul
territorio. L’esperienza olandese
eseguita proprio nel campo delle IBD ha riportato dei risultati positivi con
diminuzione dei ricoveri in ospedale e un più stretto monitoraggio dei sintomi nel
paziente ambulatoriale. In Italia una rete territoriale efficiente utilizzando
la telemedicina sarebbe stata utilissima nel periodo attuale di pandemia virale
come indicato da medici della Lombardia e pubblicato in una rivista prestigiosa
come il New England Journal of Medicine. In questo labirinto di molteplici informazioni
il paziente scoraggiato può decidere di curarsi da solo o di modificare le
indicazioni proposte dal curante. La mancanza di fiducia nel SSN ingenerate da
questa situazione può essere dannose per la salute del paziente e comportare
anche spese cospicue non rimborsate dal Servizio Sanitario Nazionale. Uno
studio italiano ha evidenziato ad esempio che il 23.6 % dei pazienti con IBD
utilizza delle terapie alternative come l’omeopatia o complementari come le
erbe medicinali. Degno di nota è il
fatto che queste terapie sono utilizzate di preferenza da soggetti con alto
titolo di studio. Inoltre la spesa mondiale per il trattamento con i
probiotici, cura che non ha mai dimostrato sicuri effetti terapeutici, ha
comportato una spesa a livello mondiale di 35.9 bilioni di dollari nel 2016, spesa
che è quasi raddoppiata nel 2020. Per
evitare questi effetti controproducenti, in alcuni casi il medico può anche
decidere di non fare conoscere al paziente il decorso della malattia e tacere
delle complicanze che la malattia comporta. Il medico può suggerire al paziente
un decorso di malattia lineare e sicuro pensando che il paziente ignaro dei
rischi di una terapia potrebbe essere meno sensibilizzato a registrarne gli
eventi negativi e la cura potrebbe risultare più efficace. Meglio dunque un
paziente “ignorante” ad un paziente “istruito”?
Cosa fare di fronte a questa situazione complessa? Qual è il grado
giusto di educazione da fornire al paziente? Questo aspetto già di difficile
soluzione in termini teorici generali comportava qui in Piemonte un ulteriore e
reale motivo di apprensione. Nel 2015
avevo partecipato ad una ricerca condotta dalla dott.ssa Gabriella Canavese
Anatomo-Patologo della Città della Scienza e della Salute di Torino condotta
sulle endoscopie e gastroenterologie del territorio Piemontese. In questa
ricerca emergeva che i clinici di 13 centri raramente fornivano informazioni
endoscopiche e cliniche corrette all’Anatomopatologo e quindi la prima diagnosi
istologica sulle biopsie ottenute dopo la colonscopia era inconclusiva in quasi
il 50% dei casi. Era corretto portare
questo risultato deludente ai pazienti?
Un risultato di questo genere avrebbe scoraggiato i pazienti dalla
necessità di eseguire la colonscopia?
Questo dubbio veniva amplificato pensando al concetto di Placebo e Nocebo. Le aspettative del Placebo
o Nocebo sono le aspettative del paziente verso l’utilizzo di una sostanza
inerte sui rispettivi effetti positivi e
negativi che riguardano la salute. Il Placebo comporta un beneficio da una
sostanza inerte, il nocebo comporta un effetto di danno e pericolo sempre da
una sostanza inerte. Anche una goccia d’acqua in alcune situazioni può
attenuare i sintomi di malattia (placebo) o aggravarli (nocebo). A prima vista
l’effetto placebo-nocebo sembrerebbe
cosa di poco conto, marginale o addirittura non scientifica, invece la pratica
medica dimostra esattamente il contrario. Infatti la maggioranza degli studi
clinici a supporto degli effetti positivi di un farmaco, viene eseguita
paragonando gli effetti ottenuti con la valutazione di un gruppo di controllo
che adotta come termine di paragone proprio il placebo. Il risultato positivo
risulta dalla differenza di guariti dal farmaco rispetto ai guariti
spontaneamente dopo placebo. Inoltre gli effetti del Placebo-Nocebo possono
essere anche deleteri per la salute del paziente. Un esempio per tutti: Il
betabloccante atenolo che è utilizzato per i disturbi cardiaci e per
l’ipertensione può causare in casi limitati, come effetto collaterale, la
disfunzione erettile. Ora è stato dimostrato che i pazienti consapevoli degli
effetti collaterali del farmaco presentavano il peggioramento dell’erezione del
pene due volte di più di quelli che non erano stati avvertiti di questo effetto
negativo. Per valutare gli effetti reali della terapia scissi dalla componente
soggettiva del paziente (effetto placebo-nocebo) e per fornire indicazioni
condivise tra medici esistono a livello internazionale linee guida che hanno il
compito di uniformare il più possibile le indicazioni per il trattamento delle
malattie croniche. In particolare per le IBD esistono linee guide Italiane
della società di Gastroenterologia(IG-IBD) ed Europee (ECCO), ma ancora Inglesi
e Statunitensi ecc. che differiscono in genere di poco, ma tengono in conto le
diverse realtà socio-politiche delle nazioni in cui vengono implementate.
Queste linee guida sono in continuo aggiornamento a fronte dell’innovazioni
terapeutiche. Quasi in contrapposizione
a quanto avviene in campo medico, manca o è troppo generica una uniformità di
linee guida proposte per fornire una corretta informazione ai pazienti. In
pratica i medici devono trovare e sperimentare in modo autonomo quale sia il
metodo migliore per aiutare nella vita reale il paziente a decifrare il proprio
stato di malattia e la complessità delle alternative terapeutiche. Tuttavia i medici esperti non sono
insensibili a questo problema perché è consuetudine per le società scientifiche
organizzare degli incontri medici-pazienti in cui vengono spiegate con lezioni
magistrali da uno o più specialisti, assunti a ruolo di docenti, i quadri più
comuni della malattia e i farmaci maggiormente utilizzati. Anche nella nostra
esperienza come AMICI Piemonte Onlus ci siamo uniformati a queste iniziative di
divulgazione scientifica seguendo questo approccio tradizionale almeno dal 2000
sino a circa il 2017-18. Abbiamo organizzato dei meeting dedicati ai pazienti
nei principali ospedali del territorio piemontese, Asti, Cuneo, Orbassano,
Torino. Queste iniziative dimostravano un notevole interesse con percentuali di
presenza anche superiori alle 100 persone. Di questi numerosi meeting si trova
traccia nella pubblicazione del giornalino della Società AMICI Piemonte in cui
sono raccolti negli ultimi anni il resoconto degli eventi organizzati. Tuttavia
la mia esperienza personale mi faceva cogliere, anche nelle migliori
conferenze, aspetti di dubbio sulla metodologia adottata. In breve notavo al
termine della lezione e dopo gli applausi, anche dopo applausi calorosi e non
rituali, che quando si lasciava la parola ai pazienti emergeva una situazione
di difficile gestione tra il medico-docente e i pazienti che ponevano domande
specifiche. Era abbastanza usuale che un paziente riferisse della propria
malattia riportando le opinioni contrastanti di specialisti a cui si era
affidato. In genere il docente aveva difficoltà a rendere ragione dei diversi e
apparentemente contrastanti pareri espressi dai sui colleghi senza smentirne le
opzioni. Coglievo nei pazienti un senso di disagio che si acuiva proprio quando
il docente era particolarmente preparato e comunicativo perché il paziente si
rendeva conto che alle risposte ai quesiti specifici, in quella sede e con
quelle modalità, non si poteva dare una risposta soddisfacente. Insomma il discente-paziente
percepiva che anche il docente più preparato non riusciva a dare una risposta
conclusiva non per una sua possibile personale incapacità, ma per un difetto di
metodologia di comunicazione. In altre
parole osservavo che la lezione cattedratica o lezione magistrale aveva dei
grossi limiti. Se la mia osservazione era corretta erano proponibili delle
alternative di metodo? In caso di risposta affermativa quali potevano essere
queste alternative? Se proponevo dei metodi alternativi svelando gli effetti
negativi della terapia quali rischi aggiuntivi facevo correre ai pazienti? I
pazienti a cui sarebbe dovuta essere spiegata la valutazione del
rischio-beneficio in termini di percentuale
di probabilità come avrebbero reagito? Avrebbero perso fiducia nella
medicina, nei medici qualificati e si sarebbero rivolti alle terapie
alternative aggravando la propria salute? A questo punto della situazione mi
rendevo conto di due fattori: la responsabilità di prendere una decisione e il
fatto che da solo non c’è l’avrei proprio fatta. Qualche volta la fortuna aiuta
e in questo caso la mia fortuna è stata di avere trovato ascolto nella figura
del Presidente di AMICI, dott. Rocco Zucco e nel gruppo di Dirigenza
dell’Associazione. In una delle tante riunioni, nel 2018, proprio qui a Torino,
nella sede di AMICI, in via Antinori n. 3 esponevo queste mie osservazioni e
proponevo l’adozione di una metodologia “sperimentale”
di apprendimento che avrei chiamato “Passaporto IBD” . Con mia grossa
soddisfazione l’idea di un percorso educativo continuativo per un anno con
frequenza mensile da tenersi proprio nella sede di AMICI veniva accolta con
gioia. Io in realtà non sapevo se essere spaventato dalla proposta che avevo
fatto e che aveva ottenuto consenso oppure se essere felice. Mentre mi arrovellavo in questi pensieri
nelle settimane successive al mio intervento, nella sede di AMICI, veniva
abbattuto un muro divisore, la stanza originale veniva ampliata con il
posizionamento di circa 25 sedie, veniva installato un impianto computerizzato
con un grosso schermo, veniva posizionata una pedana, sopra la pedana al posto
della cattedra un leggio e infine veniva approntato un impianto audio con
microfono. Insomma l’aula didattica era pronta, erano pronti i
pazienti-discenti, mancavano i docenti mentre Io non avevo ancora deciso
esattamente cosa fare.
Metodi/Risultati
A spingermi a proseguire in questa
iniziativa, oltre l’affetto e l’entusiasmo dei volontari dell’associazione
AMICI, vi erano almeno due altre considerazioni. In uno dei tanti congressi
medici nella prima decade degli anni 2000, avevo avuto la fortuna di cenare con
un famoso epidemiologo danese a cui avevo espresso le mie ansie riguardo la
possibilità che la divulgazione scientifica potesse nuocere ai pazienti. La sua
risposta era stata molto semplice: non si doveva temere della conoscenza
fornita ai pazienti perché questi dovevano essere considerati soggetti pensanti
e avrebbero comunque ricercato informazioni con loro canali autonomi che
andavano dall’informazione interpersonale paziente-paziente e/o in Internet. In
secondo luogo avevo letto sulla più importante rivista europea in campo IBD,
JCC, di una ricerca di un gruppo di medici Irlandesi che avevano adottato come
approccio di ricerca nel campo della divulgazione scientifica ai pazienti una
metodologia denominata “Grounded Theory”. In buona sostanza questi medici
partendo dall’idea di dover educare i
pazienti, avevano adottato un metodo non prefissato e statico, ma dinamico e
flessibile. Mano a mano che si procedeva nell’insegnamento con i pazienti si
proponevano nuove soluzioni e si introducevano nuovi accorgimenti. Inoltre io
avevo per così dire ben più di due assi nella manica: ottimi rapporti con il
dott. Angelo Pera che avevo seguito come allievo medico presso l’ospedale di
Rivoli quando Io ero studente e lui ancora non il luminare attuale. Conoscevo a
fondo Il prof. Paolo Cavallo Perin, già Direttore della Cattedra di Medicina
Interna a Torino con una altissima capacità divulgativa e maestro di Metodologia
Medica, lo psichiatra dott. Claudio Pavia con cui avevo condiviso lunghe
discussioni sul binomio corpo-mente durante le lunghe notti in cui eravamo
entrambi di turno in Pronto Soccorso ed infine il prof. Franco Merletti attuale
Direttore della Cattedra di Epidemiologia dei Tumori all’Università. Con
quest’ultimo avevo condiviso a tempi dell’università le lotte studentesche con
occupazione della facoltà di Medicina di Torino “ per una medicina democratica
contro la baronia dei professori universitari ” proprio contro quello che Io,
poi Primario di Gastroenterologia presso l’ospedale di Rivoli e Lui, Professore
Universitario, saremmo diventati negli
anni futuri. Potevo inoltre avvalermi del dott. Mauro Ravizza, gastroenterologo
per un periodo con me a Rivoli che aveva eseguito un ciclo di studi negli Stati
Uniti con piena padronanza quindi della lingua inglese oltre che fidato
collaboratore. Con questi elementi a
disposizione perché non pensare ad un approccio educativo in due tempi: un
primo ciclo di lezioni di medicina generale in cui venivano affrontate in
termini teorici generali i problemi della malattia cronica negli aspetti di
empatia medico-paziente, dei rischi della scelta terapeutica nelle malattie
croniche e un secondo ciclo dedicato in modo specifico alle IBD con discussione
di casi clinici reali? Il primo ciclo sarebbe potuto essere propedeutico a
mettere in luce le difficoltà di diagnosi e terapia che incontra il medico di
fronte alla malattia del paziente mentre nel secondo ciclo si
sarebbe discusso più del paziente come
soggetto con i dubbi e le difficoltà della vita reale. Il primo ciclo avrebbe potuto chiarire il
perché di opinioni contrastanti dei medici espresso in termini teorici. Inoltre
e di prima importanza avrebbe attenuato l’impatto negativo di scelte
terapeutiche errate o difficili che sono il pane comune nella pratica clinica
reale. La prospettiva di un approccio educativo non ancora sperimentato mi
spaventava, era rischiosa, ma per me entusiasmante. Siamo quindi passati dopo
discussioni condivise dalla teoria ai fatti.
29 pazienti si sono dimostrati disponibili alla frequenza delle lezioni
con una media di assiduità a tutte le lezioni superiore al 70%. Il livello di
scolarità era ben distribuito tra scuola primaria e titolo di scuola superiore,
il 62 % era costituito da donne e l’età media era di 51 anni. 19 docenti
avevano dato disponibilità gratuita a tenere le conferenze e in tutte le
lezioni Io avrei fatto la parte del moderatore. In realtà più che moderatore io
mi assumevo il compito di porre quesiti imbarazzanti ai docenti. Uno di questi
che mi ricordo con lucidità per le reazioni di stupore che aveva provocato nell’uditorio
era stata questa: perché un paziente giovane con IBD mal controllata e una
bassa qualità di vita non deve suicidarsi? Il dott. Claudio Pavia, da ottimo
psichiatra qual è, non si era minimante sconvolto e la sua risposta era stata
accompagnata da gesti inequivocabili di assenso e condivisione dei pazienti.
Insomma il mio ruolo era costantemente di provocazione per tenere “sulle spine”
i docenti e allievi, ruolo che peraltro mi riusciva benissimo perché in accordo
con la mia personalità di rompiscatole. Paradossalmente i più provati da questa
esperienza erano i medici in cui vedevo, al termine di questi conferenze-dibattito,
segni di stanchezza sul volto come dopo una intera giornata di duro lavoro.
L’esperimento tuttavia funzionava perché al termine di tutte le sessioni
chiedevo di rispondere ad un questionario in cui si chiedeva in forma anonima
di formulare un giudizio sull’interesse all’argomento e sulla bontà delle
informazioni fornite. Il gradimento era
uguale sia per le lezioni teoriche del primo ciclo sia per quelle più difficili
del secondo ciclo in cui emergevano, come atteso, anche difficoltà di diagnosi
e terapia. Inoltre al termine del ciclo
di ciclo di lezioni nel dicembre del 2019 la maggioranza dei pazienti avevo
espresso la volontà di proseguire con questa metodologia indicando solo dei
miglioramenti che non mettevano in nessun caso in dubbio la bontà strutturale
dell’impianto teorico del progetto.
Discussione
Il nostro progetto pilota dimostrerebbe
la possibilità di una comunicazione medico-paziente alternativa all’educazione
tradizionale eseguita con lezioni magistrali proponendo un modello bidirezionale
con discussione delle probabilità statistiche delle diverse strategie
decisionali in campo diagnostico e terapeutico. Suggerisce la necessità di
superare un modello di educazione individuale come comunemente fatto durante la
visita medica in favore di modelli collettivi di apprendimento. Se d’un lato il
gradimento di AMICI Onlus Piemonte e la pubblicazione su una rivista medica di
prestigio è di conforto per la bontà della metodologia adottata, il nostro
progetto educativo presenta dei grossi limiti. E’ stato sperimentato solo in un
piccolo gruppo di pazienti, circa il 2% dei 1600 aderenti all’associazione e
non ne abbiamo valutato l’impatto sul miglioramento sulla qualità di vita dei
pazienti. Inoltre manca un gruppo di controllo della qualità del processo
educativo raffrontato con una metodologia di lezione frontale. Insomma manca un
gruppo “di controllo” come si fa per un farmaco contro placebo, ma abbiamo
soltanto confrontato gli stessi pazienti in due momenti successivi. Abbiamo
messo in comparazione il prima con il dopo che in termini di rigorosità
scientifica non è la metodologia più appropriata. Qual è la mia personale
impressione del lavoro eseguito? La vorrei fornire con le parole del dott.
Angelo Pera che dopo avere revisionato l’articolo con il Prof. Paolo Cavallo
Perin mi ha detto: perché Renzo non prosegui l’esperienza della discussione dei
casi clinici con la presenza contemporanea di due medici che sostengono di
fronte ad un’aula di pazienti due opposte opzioni cliniche? Io sono sbiancato, per fortuna ero al
telefono con Angelo e spero che Lui non se ne sia accorto.
Condove 17 maggio 2020
Renzo Suriani
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