mercoledì 20 maggio 2020

Progetto "Passaporto IBD" - Articolo di Renzo Suriani



Riceviamo dal socio, e apprezzato relatore in alcune nostre conferenze, Renzo Suriani un articolo, che presenta una sua relazione sulla metodica dei modelli educazionali ed etici della pratica medica scritta per esser pubblicata sul periodico di AMICI (Ammalati Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali) Piemonte Onlus Al di là della specifica patologia in esame ci è sembrata una illuminante riflessione sul “rapporto democratico” tra medico e paziente, un tema reso quanto mai attuale ed importante in questi tempi pandemici

Il percorso accidentato del progetto
“ Passaporto IBD”di A.M.I.C.I. Piemonte Onlus”
 e la storia di un successo finale

Cari AMICI,

ho il piacere di comunicarVi che nel mese di maggio del 2020 è stata accettata la pubblicazione come “ letter “ sulla più prestigiosa rivista di Gastroenterologia Italiana -DIGESTIVE AND LIVER DISEASE- l’ esperienza culturale ottenuta con i sacrifici del sabato mattina durante 8 mesi di confronto nel 2020 tra Noi e i più prestigiosi Medici del Piemonte. Hanno aderito a questa iniziativa non solo eminenti Gastroenterologi come il Prof. Giorgio Verme e il dott. Angelo Pera, il prof. Giorgio Saracco, ma anche il Prof. Paola Cavallo Perin , Direttore della Clinica Medica della Città della Salute e della Scienza di Torino, Il Prof. Franco Merletti  Direttore del Centro di Epidemiologia del Cancro della Città della Salute e della Scienza di Torino,  il  dott. Luciano Bertolusso  Medico  di Medicina Generale, Salvetto Marica infermiera dell’ambulatorio di Endoscopia della Gastroenterologia dell’Ospedale Mauriziano.  La traduzione in Italiano del titolo dell’articolo in pubblicazione è questa: 

“IL PASSAPORTO IBD: UN NUOVO MODELLO EDUCAZIONALE.”

Questa le parole chiave:

·       IBD : Inflammatory Bowel Disease

·       in Italiano M.I.C.I.   Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali

·       RETTOCOLITE UlCEROSA, R.C.U e la Malattia di Crohn.

Gli Autori dell’articolo  : Renzo Suriani,  Elena Ercole , Paola Niola, Marco Astegiano, Angela Sambataro e Mauro Ravizza,  rispettivamente: A.M.I.C.I. Piemonte, Torino;  Gastroenterologia Ospedale Mauriziano, Gastroenterologia Cardinal Massaia,  Gastroenterologia della Città della Salute e della Scienza  della  Città di  Torino,  Gastroenterologia  San Luigi Gonzaga Orbassano e  Gastroenterologia  ASL Città di Torino.

Docenti in ordine alfabetico: . Argese Sara M.D., Bertolusso Luciano M.D.,  Canavese Gabriella M.D. ,  Cavallo Perin Paolo M.D., Daperno Marco M.D., Mendolaro Marco M.D., Merletti Franco M.D., Pavia Claudio M.D., Saracco Giorgio M.D., Sguazzini Carlo M.D. e Verme Giorgio M.D.

Membri di A.M.I.C.I. di Piemonte and Valle d'Aosta Onlus che hanno contribuito al progetto.  Zucco Rocco, Presidente AMICI e  in ordine alfabetico : Cesarino Limongi, Francesca Gigante, Giovanni Battista Licata, Emanuela, Massari Mauro, Nostro Generosa, Princi Domenico and Tralongo Lucia.    

Qui di seguito vorrei non solo fornire una versione con termini scientifici semplificati e spero più comprensibili  quanto pubblicato nell’articolo in lingua inglese, ma, senza  mancare del rigore scientifico che ha portato alla pubblicazione la nostra esperienza, fare comprendere  che la ricerca scientifica è anche emozione e non solo razionalità. L’impressione dei non esperti leggendo un resoconto scientifico è che la ricerca segua un percorso matematico, lineare dove uno più uno è sempre uguale a due. Niente di più falso. La ricerca, tutte le ricerche, anche quella che portato a risultati molto più brillanti della nostra come la scoperta di un nuovo virus dell’epatite eseguita dal Prof. Mario Rizzetto proprio qui a Torino,  nasce da intuizioni anche casuali, comporta emozioni, scoraggiamenti, momenti di tensione e rabbia tra chi partecipa, si sviluppa con decorsi tortuosi e a volte imprevedibili che sono l’esatta opposto di una somma matematica. Nelle pagine che seguono vorrei fare partecipi e condividere con AMICI questo percorso di cui nelle aride pubblicazioni scientifiche non vi è traccia.  L’articolo, come nella maggioranza delle pubblicazioni scientifiche, si compone di tre parti:

1.    L’introduzione   in cui si prendono in considerazione gli elementi conosciuti che  riguardano il tema che si deve affrontare e lo scopo del lavoro. In questo caso si mettono in rilievo gli elementi noti della relazione sulle conoscenze della malattia che il paziente dovrebbe possedere per essere seguito con consapevolezza dal gastroenterologo   e delle modalità con cui questi elementi di conoscenza vengono forniti al paziente.  Inoltre si descrivono i pregi e i limiti con cui queste finalità vengono perseguite nella pratica clinica corrente.   Si descrive poi lo scopo del lavoro  proponendo gli elementi di novità rispetto a quello che è svolto nella pratica clinica corrente. Nel nostro caso questo elemento innovativo è stato denominato PASSAPORTO IBD.  

2.    Nella seconda parte – Metodi e Risultati -  si illustrano le modalità con cui il progetto PASSAPORTO IBD viene attuato e i risultati finali che sono stato raggiunti.

3.    Nella terza parte – Discussione -si discutono  i risultati conseguiti ponendo in luce i lati positivi della ricerca e anche i limiti del lavoro. Si propone poi l’indicazione a nuove ricerche per chiarire i punti non risolti del lavoro pubblicato.

La pubblicazione di un lavoro di questo tipo avviene solo dopo che la redazione della rivista scientifica giudica l’idea proposta come importante e ha delle possibilità di fare evolvere in meglio le pratiche mediche già adottate. La pubblicazione avviene come titolo di merito, non avviene con il pagamento della pubblicazione degli autori della ricerca ed è a completa discrezione del giudizio dei medici che dirigono la rivista. I medici che giudicano i risultati sono un pool di esperti specialisti di fama nazionale e/o internazionale con una lunga e riconosciuta esperienza medica. Il loro giudizio è, nella maggioranza dei casi, insindacabile e non condizionato né da ditte farmaceutiche né dal titolo degli autori, che possono essere medici ospedalieri o professori universitari di qualunque nazionalità. Si può quindi ben comprendere la soddisfazione di AMICI Piemonte Onlus avere portato una novità importante a livello nazionale e forse europeo nel campo delle MALATTIE INFIAMMATORIE INTESTINALI con attenzione al rapporto medico-paziente.

INTRODUZIONE:

Il nodo centrale del problema che è stato affrontato è in sintesi molto semplice: non esiste per i pazienti una scuola per imparare cos’è la malattia cronica e in particolare cosa sono le malattie infiammatorie intestinali. I medici per imparare cos’è una malattia e come uesta va trattata vanno a scuola, frequentano l’università e ottengono una Laurea. Per i pazienti non esistono scuole per imparare ad essere “PAZIENTI” , non esiste un diploma o una laurea in “PAZIENTOLOGIA” e quindi in buona sostanza l’unico riferimento è l’esperienza personale che chi si ammala acquisisce nel corso della malattia sperimentando successi ed insuccessi. 

I medici in realtà cercano sempre di far comprendere, durante la visita al paziente, le difficoltà e le scelte che la malattia comporta, ma la spiegazione rimane una pratica individuale e non è collettivizzata in un patrimonio culturale comune.  Quindi le modalità di apprendimento del paziente possono variare in funzione delle capacità di comunicazione del singolo medico. Inoltre un secondo elemento importante è anche il limitato tempo di visita che il medico ha disposizione per ogni paziente. Oltre questa difficoltà si aggiunge un terzo problema che è forse ancora più rilevante. La stessa malattia può per lo stesso paziente presentare aspetti con aree di incertezza nella diagnosi e nella cura sia per la scelta dei farmaci che per  le opzioni chirurgiche. Ovvero, quando e in che modo è necessario passare dalla terapia con pillole orali / clismi rettali /infusione venose  alla resezione intestinale. E’ esperienza comune che allo stesso paziente possano venire proposte alternative farmacologiche diverse o addirittura una terapia chirurgica dove prima era stata data una indicazione terapeutica con sole cure mediche. Questa molteplicità di scelta può causare al paziente inesperto dei danni psicologici e stress con anche peggioramento dei sintomi della malattia. Questa incertezza di diagnosi e terapia può quindi aggravare la percezione dei sintomi propri delle IBD come la diarrea, le feci miste a sangue, dolore addominale e febbre. Tuttavia gli eventi dannosi non sono limitati a questi aspetti perché il paziente disorientato  ricorre generalmente a più visite e all’aiuto dell’informazione “ fai da te” che è reperibile in internet.  Un esempio eclatante del cattivo uso di internet è stato oggetto di una recente pubblicazione scientifica e ha riguardato gli effetti collaterali dal cambiamento di etichetta di un farmaco in Nuova Zelanda utilizzato per i disturbi della tiroide, l’Eltroxin® prodotto dalla Glaxo SmthKline.  Lo stesso farmaco prodotto dalla stessa ditta ma con cambiamento  dalla sede di produzione dal Canada  alla Germania   aveva comportato un improvviso ed ingiustificato aumento degli effetti collaterali che erano passati da 14 nel periodo dal 1973 al 2006 sino a raggiungere la quota di 2000 di eventi dannosi dal 2007 al 2008. L’aumento vertiginoso e razionalmente inspiegabile degli effetti collaterali per un farmaco sicuro, di larghissimo impiego, utilizzato da decenni con rarissimi effetti negativi, era dovuta al fatto che un farmacista in una piccola città dell’Australia aveva   ipotizzato alterazioni occultate dalla ditta farmaceutica nella formulazione del farmaco legata al trasferimento della sede di produzione.  Questa falsa notizia  amplificata e fatta  circolare in internet era stata sufficiente a scatenare il panico nei pazienti in cura da anni. Per altro l’utilizzo delle nuove tecnologie, come ad esempio, la telemedicina presenta degli aspetti positivi nel trattamento delle malattie croniche come per il cancro o le IBD. La telemedicina introducendo degli elementi nuovi nel rapporto medico- paziente si è dimostrata in grado di rafforzare e migliorare l’assistenza medica sul territorio.  L’esperienza olandese eseguita proprio nel campo delle IBD ha riportato dei risultati positivi con diminuzione dei ricoveri in ospedale e un più stretto monitoraggio dei sintomi nel paziente ambulatoriale. In Italia una rete territoriale efficiente utilizzando la telemedicina sarebbe stata utilissima nel periodo attuale di pandemia virale come indicato da medici della Lombardia e pubblicato in una rivista prestigiosa come il New England Journal of Medicine. In questo labirinto di molteplici informazioni il paziente scoraggiato può decidere di curarsi da solo o di modificare le indicazioni proposte dal curante. La mancanza di fiducia nel SSN ingenerate da questa situazione può essere dannose per la salute del paziente e comportare anche spese cospicue non rimborsate dal Servizio Sanitario Nazionale. Uno studio italiano ha evidenziato ad esempio che il 23.6 % dei pazienti con IBD utilizza delle terapie alternative come l’omeopatia o complementari come le erbe medicinali.  Degno di nota è il fatto che queste terapie sono utilizzate di preferenza da soggetti con alto titolo di studio. Inoltre la spesa mondiale per il trattamento con i probiotici, cura che non ha mai dimostrato sicuri effetti terapeutici, ha comportato una spesa a livello mondiale di 35.9 bilioni di dollari nel 2016, spesa che è quasi raddoppiata nel 2020.  Per evitare questi effetti controproducenti, in alcuni casi il medico può anche decidere di non fare conoscere al paziente il decorso della malattia e tacere delle complicanze che la malattia comporta. Il medico può suggerire al paziente un decorso di malattia lineare e sicuro pensando che il paziente ignaro dei rischi di una terapia potrebbe essere meno sensibilizzato a registrarne gli eventi negativi e la cura potrebbe risultare più efficace. Meglio dunque un paziente “ignorante” ad un paziente “istruito”?  Cosa fare di fronte a questa situazione complessa? Qual è il grado giusto di educazione da fornire al paziente? Questo aspetto già di difficile soluzione in termini teorici generali comportava qui in Piemonte un ulteriore e reale motivo di apprensione.  Nel 2015 avevo partecipato ad una ricerca condotta dalla dott.ssa Gabriella Canavese Anatomo-Patologo della Città della Scienza e della Salute di Torino condotta sulle endoscopie e gastroenterologie del territorio Piemontese. In questa ricerca emergeva che i clinici di 13 centri raramente fornivano informazioni endoscopiche e cliniche corrette all’Anatomopatologo e quindi la prima diagnosi istologica sulle biopsie ottenute dopo la colonscopia era inconclusiva in quasi il 50% dei casi.  Era corretto portare questo risultato deludente ai pazienti?  Un risultato di questo genere avrebbe scoraggiato i pazienti dalla necessità di eseguire la colonscopia?   Questo dubbio veniva amplificato pensando al concetto di Placebo e Nocebo. Le aspettative del Placebo o Nocebo sono le aspettative del paziente verso l’utilizzo di una sostanza inerte sui rispettivi effetti  positivi e negativi che riguardano la salute. Il Placebo comporta un beneficio da una sostanza inerte, il nocebo comporta un effetto di danno e pericolo sempre da una sostanza inerte. Anche una goccia d’acqua in alcune situazioni può attenuare i sintomi di malattia (placebo) o aggravarli (nocebo). A prima vista l’effetto placebo-nocebo sembrerebbe cosa di poco conto, marginale o addirittura non scientifica, invece la pratica medica dimostra esattamente il contrario. Infatti la maggioranza degli studi clinici a supporto degli effetti positivi di un farmaco, viene eseguita paragonando gli effetti ottenuti con la valutazione di un gruppo di controllo che adotta come termine di paragone proprio il placebo. Il risultato positivo risulta dalla differenza di guariti dal farmaco rispetto ai guariti spontaneamente dopo placebo. Inoltre gli effetti del Placebo-Nocebo possono essere anche deleteri per la salute del paziente. Un esempio per tutti: Il betabloccante atenolo che è utilizzato per i disturbi cardiaci e per l’ipertensione può causare in casi limitati, come effetto collaterale, la disfunzione erettile. Ora è stato dimostrato che i pazienti consapevoli degli effetti collaterali del farmaco presentavano il peggioramento dell’erezione del pene due volte di più di quelli che non erano stati avvertiti di questo effetto negativo. Per valutare gli effetti reali della terapia scissi dalla componente soggettiva del paziente (effetto placebo-nocebo) e per fornire indicazioni condivise tra medici esistono a livello internazionale linee guida  che hanno il compito di uniformare il più possibile le indicazioni per il trattamento delle malattie croniche. In particolare per le IBD esistono linee guide Italiane della società di Gastroenterologia(IG-IBD) ed Europee (ECCO), ma ancora Inglesi e Statunitensi ecc. che differiscono in genere di poco, ma tengono in conto le diverse realtà socio-politiche delle nazioni in cui vengono implementate. Queste linee guida sono in continuo aggiornamento a fronte dell’innovazioni terapeutiche.  Quasi in contrapposizione a quanto avviene in campo medico, manca o è troppo generica una uniformità di linee guida proposte per fornire una corretta informazione ai pazienti. In pratica i medici devono trovare e sperimentare in modo autonomo quale sia il metodo migliore per aiutare nella vita reale il paziente a decifrare il proprio stato di malattia e la complessità delle alternative terapeutiche.  Tuttavia i medici esperti non sono insensibili a questo problema perché è consuetudine per le società scientifiche organizzare degli incontri medici-pazienti in cui vengono spiegate con lezioni magistrali da uno o più specialisti, assunti a ruolo di docenti, i quadri più comuni della malattia e i farmaci maggiormente utilizzati. Anche nella nostra esperienza come AMICI Piemonte Onlus ci siamo uniformati a queste iniziative di divulgazione scientifica seguendo questo approccio tradizionale almeno dal 2000 sino a circa il 2017-18. Abbiamo organizzato dei meeting dedicati ai pazienti nei principali ospedali del territorio piemontese, Asti, Cuneo, Orbassano, Torino. Queste iniziative dimostravano un notevole interesse con percentuali di presenza anche superiori alle 100 persone. Di questi numerosi meeting si trova traccia nella pubblicazione del giornalino della Società AMICI Piemonte in cui sono raccolti negli ultimi anni il resoconto degli eventi organizzati. Tuttavia la mia esperienza personale mi faceva cogliere, anche nelle migliori conferenze, aspetti di dubbio sulla metodologia adottata. In breve notavo al termine della lezione e dopo gli applausi, anche dopo applausi calorosi e non rituali, che quando si lasciava la parola ai pazienti emergeva una situazione di difficile gestione tra il medico-docente e i pazienti che ponevano domande specifiche. Era abbastanza usuale che un paziente riferisse della propria malattia riportando le opinioni contrastanti di specialisti a cui si era affidato. In genere il docente aveva difficoltà a rendere ragione dei diversi e apparentemente contrastanti pareri espressi dai sui colleghi senza smentirne le opzioni. Coglievo nei pazienti un senso di disagio che si acuiva proprio quando il docente era particolarmente preparato e comunicativo perché il paziente si rendeva conto che alle risposte ai quesiti specifici, in quella sede e con quelle modalità, non si poteva dare una risposta soddisfacente. Insomma il discente-paziente percepiva che anche il docente più preparato non riusciva a dare una risposta conclusiva non per una sua possibile personale incapacità, ma per un difetto di metodologia di comunicazione.  In altre parole osservavo che la lezione cattedratica o lezione magistrale aveva dei grossi limiti. Se la mia osservazione era corretta erano proponibili delle alternative di metodo? In caso di risposta affermativa quali potevano essere queste alternative? Se proponevo dei metodi alternativi svelando gli effetti negativi della terapia quali rischi aggiuntivi facevo correre ai pazienti? I pazienti a cui sarebbe dovuta essere spiegata la valutazione del rischio-beneficio in termini di percentuale di probabilità come avrebbero reagito? Avrebbero perso fiducia nella medicina, nei medici qualificati e si sarebbero rivolti alle terapie alternative aggravando la propria salute? A questo punto della situazione mi rendevo conto di due fattori: la responsabilità di prendere una decisione e il fatto che da solo non c’è l’avrei proprio fatta. Qualche volta la fortuna aiuta e in questo caso la mia fortuna è stata di avere trovato ascolto nella figura del Presidente di AMICI, dott. Rocco Zucco e nel gruppo di Dirigenza dell’Associazione. In una delle tante riunioni, nel 2018, proprio qui a Torino, nella sede di AMICI, in via Antinori n. 3 esponevo queste mie osservazioni e proponevo l’adozione di una metodologia “sperimentale” di apprendimento che avrei chiamato “Passaporto IBD” . Con mia grossa soddisfazione l’idea di un percorso educativo continuativo per un anno con frequenza mensile da tenersi proprio nella sede di AMICI veniva accolta con gioia. Io in realtà non sapevo se essere spaventato dalla proposta che avevo fatto e che aveva ottenuto consenso oppure se essere felice.  Mentre mi arrovellavo in questi pensieri nelle settimane successive al mio intervento, nella sede di AMICI, veniva abbattuto un muro divisore, la stanza originale veniva ampliata con il posizionamento di circa 25 sedie, veniva installato un impianto computerizzato con un grosso schermo, veniva posizionata una pedana, sopra la pedana al posto della cattedra un leggio e infine veniva approntato un impianto audio con microfono. Insomma l’aula didattica era pronta, erano pronti i pazienti-discenti, mancavano i docenti mentre Io non avevo ancora deciso esattamente cosa fare.

Metodi/Risultati      

A spingermi a proseguire in questa iniziativa, oltre l’affetto e l’entusiasmo dei volontari dell’associazione AMICI, vi erano almeno due altre considerazioni. In uno dei tanti congressi medici nella prima decade degli anni 2000, avevo avuto la fortuna di cenare con un famoso epidemiologo danese a cui avevo espresso le mie ansie riguardo la possibilità che la divulgazione scientifica potesse nuocere ai pazienti. La sua risposta era stata molto semplice: non si doveva temere della conoscenza fornita ai pazienti perché questi dovevano essere considerati soggetti pensanti e avrebbero comunque ricercato informazioni con loro canali autonomi che andavano dall’informazione interpersonale paziente-paziente e/o in Internet. In secondo luogo avevo letto sulla più importante rivista europea in campo IBD, JCC, di una ricerca di un gruppo di medici Irlandesi che avevano adottato come approccio di ricerca nel campo della divulgazione scientifica ai pazienti una metodologia denominata “Grounded Theory”. In buona sostanza questi medici partendo dall’idea di dover educare i pazienti, avevano adottato un metodo non prefissato e statico, ma dinamico e flessibile. Mano a mano che si procedeva nell’insegnamento con i pazienti si proponevano nuove soluzioni e si introducevano nuovi accorgimenti. Inoltre io avevo per così dire ben più di due assi nella manica: ottimi rapporti con il dott. Angelo Pera che avevo seguito come allievo medico presso l’ospedale di Rivoli quando Io ero studente e lui ancora non il luminare attuale. Conoscevo a fondo Il prof. Paolo Cavallo Perin, già Direttore della Cattedra di Medicina Interna a Torino con una altissima capacità divulgativa e maestro di Metodologia Medica, lo psichiatra dott. Claudio Pavia con cui avevo condiviso lunghe discussioni sul binomio corpo-mente durante le lunghe notti in cui eravamo entrambi di turno in Pronto Soccorso ed infine il prof. Franco Merletti attuale Direttore della Cattedra di Epidemiologia dei Tumori all’Università. Con quest’ultimo avevo condiviso a tempi dell’università le lotte studentesche con occupazione della facoltà di Medicina di Torino “ per una medicina democratica contro la baronia dei professori universitari ” proprio contro quello che Io, poi Primario di Gastroenterologia presso l’ospedale di Rivoli e Lui, Professore Universitario,  saremmo diventati negli anni futuri. Potevo inoltre avvalermi del dott. Mauro Ravizza, gastroenterologo per un periodo con me a Rivoli che aveva eseguito un ciclo di studi negli Stati Uniti con piena padronanza quindi della lingua inglese oltre che fidato collaboratore.  Con questi elementi a disposizione perché non pensare ad un approccio educativo in due tempi: un primo ciclo di lezioni di medicina generale in cui venivano affrontate in termini teorici generali i problemi della malattia cronica negli aspetti di empatia medico-paziente, dei rischi della scelta terapeutica nelle malattie croniche e un secondo ciclo dedicato in modo specifico alle IBD con discussione di casi clinici reali? Il primo ciclo sarebbe potuto essere propedeutico a mettere in luce le difficoltà di diagnosi e terapia che incontra il medico di fronte alla malattia del paziente mentre nel secondo ciclo si sarebbe discusso più del paziente come soggetto con i dubbi e le difficoltà della vita reale.  Il primo ciclo avrebbe potuto chiarire il perché di opinioni contrastanti dei medici espresso in termini teorici. Inoltre e di prima importanza avrebbe attenuato l’impatto negativo di scelte terapeutiche errate o difficili che sono il pane comune nella pratica clinica reale. La prospettiva di un approccio educativo non ancora sperimentato mi spaventava, era rischiosa, ma per me entusiasmante. Siamo quindi passati dopo discussioni condivise dalla teoria ai fatti.  29 pazienti si sono dimostrati disponibili alla frequenza delle lezioni con una media di assiduità a tutte le lezioni superiore al 70%. Il livello di scolarità era ben distribuito tra scuola primaria e titolo di scuola superiore, il 62 % era costituito da donne e l’età media era di 51 anni. 19 docenti avevano dato disponibilità gratuita a tenere le conferenze e in tutte le lezioni Io avrei fatto la parte del moderatore. In realtà più che moderatore io mi assumevo il compito di porre quesiti imbarazzanti ai docenti. Uno di questi che mi ricordo con lucidità per le reazioni di stupore che aveva provocato nell’uditorio era stata questa: perché un paziente giovane con IBD mal controllata e una bassa qualità di vita non deve suicidarsi? Il dott. Claudio Pavia, da ottimo psichiatra qual è, non si era minimante sconvolto e la sua risposta era stata accompagnata da gesti inequivocabili di assenso e condivisione dei pazienti. Insomma il mio ruolo era costantemente di provocazione per tenere “sulle spine” i docenti e allievi, ruolo che peraltro mi riusciva benissimo perché in accordo con la mia personalità di rompiscatole. Paradossalmente i più provati da questa esperienza erano i medici in cui vedevo, al termine di questi conferenze-dibattito, segni di stanchezza sul volto come dopo una intera giornata di duro lavoro. L’esperimento tuttavia funzionava perché al termine di tutte le sessioni chiedevo di rispondere ad un questionario in cui si chiedeva in forma anonima di formulare un giudizio sull’interesse all’argomento e sulla bontà delle informazioni fornite.  Il gradimento era uguale sia per le lezioni teoriche del primo ciclo sia per quelle più difficili del secondo ciclo in cui emergevano, come atteso, anche difficoltà di diagnosi e terapia.  Inoltre al termine del ciclo di ciclo di lezioni nel dicembre del 2019 la maggioranza dei pazienti avevo espresso la volontà di proseguire con questa metodologia indicando solo dei miglioramenti che non mettevano in nessun caso in dubbio la bontà strutturale dell’impianto teorico del progetto.

Discussione  

Il nostro progetto pilota dimostrerebbe la possibilità di una comunicazione medico-paziente alternativa all’educazione tradizionale eseguita con lezioni magistrali proponendo un modello bidirezionale con discussione delle probabilità statistiche delle diverse strategie decisionali in campo diagnostico e terapeutico. Suggerisce la necessità di superare un modello di educazione individuale come comunemente fatto durante la visita medica in favore di modelli collettivi di apprendimento. Se d’un lato il gradimento di AMICI Onlus Piemonte e la pubblicazione su una rivista medica di prestigio è di conforto per la bontà della metodologia adottata, il nostro progetto educativo presenta dei grossi limiti. E’ stato sperimentato solo in un piccolo gruppo di pazienti, circa il 2% dei 1600 aderenti all’associazione e non ne abbiamo valutato l’impatto sul miglioramento sulla qualità di vita dei pazienti. Inoltre manca un gruppo di controllo della qualità del processo educativo raffrontato con una metodologia di lezione frontale. Insomma manca un gruppo “di controllo” come si fa per un farmaco contro placebo, ma abbiamo soltanto confrontato gli stessi pazienti in due momenti successivi. Abbiamo messo in comparazione il prima con il dopo che in termini di rigorosità scientifica non è la metodologia più appropriata. Qual è la mia personale impressione del lavoro eseguito? La vorrei fornire con le parole del dott. Angelo Pera che dopo avere revisionato l’articolo con il Prof. Paolo Cavallo Perin mi ha detto: perché Renzo non prosegui l’esperienza della discussione dei casi clinici con la presenza contemporanea di due medici che sostengono di fronte ad un’aula di pazienti due opposte opzioni cliniche?  Io sono sbiancato, per fortuna ero al telefono con Angelo e spero che Lui non se ne sia accorto.

Condove 17 maggio 2020

Renzo Suriani                                 

Nessun commento:

Posta un commento