giovedì 28 maggio 2020

Perchè la Rete non potrà mai sostituire le biblioteche - articolo di Carlo Ginzburg


Il “distanziamento sociale”, tanto pesante quanto necessario, che la pandemia ci ha imposto ha, fra le altre cose, accentuato di molto la presenza della Rete nelle nostre vite e nelle nostre case. Telelavoro, didattica a distanza, certo, ma anche buona parte delle nostre quotidiane necessità di informazione, di conoscenza, di acquisto, di gestione faccende varie, persino di relazione, poggiano ormai su cavi a fibra ottica. Si è così, inevitabilmente, riacceso l’annoso dibattito su quanto possa essere positivo o negativo questo cambiamento in parte imposto, ma in buona misura anche volontariamente adottato. Come sempre nel dibattito umano sono nati i due partiti contrapposti dei favorevoli e contrari. E come sempre, nel nostro piccolo contesto, CircolarMente non sceglie di schierarsi aprioristicamente. Occorre prima, su basi le più possibili oggettive, conoscere, capire e valutare. Su questi temi sicuramente avremo quindi modo di tornare con altri post e, perché no, con future iniziative. Riprendendo peraltro i notevoli approfondimenti che già abbiamo presentato sia su questo blog che con conferenze, molto partecipate, con al centro proprio queste tematiche. L’articolo che segue ci è sembrato, al di là della problematica specifica presa in esame per quanto culturalmente molto rilevante, un valido esempio del modo giusto di affrontare il tema senza partire da posizioni preconcette

Perché la Rete non potrà mai
sostituire le biblioteche
Articolo di Carlo Ginzburg – La Repubblica del 26 Maggio
A poco a poco, in tutta Italia, stanno riaprendo (più o meno) anche le biblioteche. A Bologna, la città dove vivo, la riapertura ha coinciso con lo scioglimento, deciso dal sindaco, Virginio Merola, dell’Istituzione Biblioteche, in nome della semplificazione burocratica. Del consiglio di amministrazione di quella istituzione ho fatto parte a titolo gratuito, con Daniele Donati e Anna Maria Lorusso, per più di tre anni. Negli ultimi mesi, confinato in casa come tutti dal Covid 19, ho avuto modo di riflettere su quell’esperienza e sul significato delle biblioteche oggi. Era, la mia, una situazione di vero privilegio: potevo proseguire le mie ricerche sfruttando le risorse incredibili della Rete. E tante volte mi è venuta in mente la battuta che Victor Hugo fa pronunciare a un personaggio di Notre-Dame de Paris: «Ceci tuera cela», «questo ucciderà quello», ossia: «il libro ucciderà la cattedrale». Oggi potremmo dire: «la Rete ucciderà la biblioteca». E tuttavia proprio il caso bolognese ha insegnato a un frequentatore appassionato di entrambe (biblioteche e, da qualche decennio, Rete) che le cose sono più complicate. Anzitutto, il termine “biblioteche” può designare realtà eterogenee: una biblioteca di ricerca tra le migliori del mondo, come l’Archiginnasio; una biblioteca come l’affollatissima Sala Borsa, che prevede la frequentazione di bambini da 0 a 7 anni, di adolescenti, di adulti e di vecchi; biblioteche di quartiere legate a realtà umane, culturali e sociali diversissime. E del resto, nella stessa sala di lettura dell’Archiginnasio si trovavano fianco a fianco (e si troveranno, per un po’ di tempo a debita distanza) studiose e studiosi, studenti e studentesse, quasi tutti muniti di un computer. Che cosa spingeva, e nonostante tutto spingerà, lettori e lettrici verso le biblioteche, invece di guardare lo schermo rimanendo a casa propria? La risposta è scontata: la possibilità di incontrare altre persone. Dunque le biblioteche esistono anche, se non soprattutto, in quanto luogo di incontri e rapporti sociali? Questa dimensione è innegabile, a cominciare dalle biblioteche di quartiere. Eppure nelle biblioteche (diciamo un’altra ovvietà) si continua a leggere: non tutto è, né sarà, digitalizzato. Dei libri non potremo, per fortuna, fare a meno. E la fisicità del libro rimane un dato importantissimo: sia per i bambini che non sanno ancora leggere, e guardano le figure, sia per chi fa ricerca.  Ma dietro queste banalità si nasconde un dato reale: l’avanzata inarrestabile della Rete. Bisogna dunque interrogarsi sui modi in cui la Rete ha influenzato le tecniche di lettura. Leggere significa tante cose. Per chi è alla ricerca di un’informazione la Rete è imbattibile: la risposta, velocissima (anche se non necessariamente vera) è lì a portata di mano. Ma la ricerca dell’informazione è solo un aspetto della ricerca, e più in generale della conoscenza. Non mi stancherò mai di ripetere la frase che Friedrich Nietzsche, filologo non ancora filosofo, pronunciò nella lezione inaugurale all’università di Basilea: «la filologia è l’arte di leggere lentamente». Se, seguendo Giambattista Vico, intendiamo il termine “filologia” in senso ampio, imparare l’arte della lettura lenta è un privilegio che dovrebbe essere dato a tutti. Ora, la lentezza è certamente compatibile con la velocità della Rete: ma la Rete, in quanto tale, non insegna a leggere lentamente. Quest’insegnamento implica necessariamente una mediazione umana: insegnanti, bibliotecari. Ancora una volta si torna ai libri e ai luoghi che li ospitano. La collaborazione tra biblioteche e scuole (di ogni ordine e grado) è decisiva. Fin qui ho dato per scontato un uso, diciamo così, normale, della Rete. Ma esiste anche un uso meno ovvio, diciamo pure anomalo, della Rete, che consiste nel cercare, non solo risposte alle nostre domande, ma domande inaspettate, che possono generare altre domande, portandoci ai libri attraverso strade impreviste. Si tratta di una strategia anomala, perché invece di evitare quello che nella lingua dell’informatica si chiama, se non erro, “rumore” (noise), lo cerca. Ci si inoltra a tentoni nel bosco elettronico senza sapere bene che cosa si stia cercando, per essere colti di sorpresa da qualcosa che non si aspetta. Ma qual è lo scopo di una strategia così tortuosa? La risposta è semplice. Come mi è capitato di dire tante volte agli studenti, trovare quello che si cerca, punto e basta, è troppo poco. Per contrastare quest’impulso bisogna dare spazio al caso, all’imprevedibile. Ma il caso non agisce da solo: dall’altra parte c’è chi fa ricerca, con le sue curiosità, i suoi pregiudizi. Ancora una volta, tutto questo rinvia alla formazione, e quindi al dialogo con gli insegnanti, con i bibliotecari. Anche l’uso sofisticato della Rete richiede una mediazione umana. Dobbiamo considerarlo un privilegio riservato a chi fa ricerca? Ma la ricerca può essere fatta a tutti i livelli. Non mi stanco di ripeterlo: tartufi per tutti. I tartufi sono buoni, sono rari, sono cari: tartufi per tutti. 

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