Le elezioni americane e la lenta e
complicata fase di transizione presentano ancora non pochi tratti difficili da
decifrare per noi osservatori interessati, per le ovvie ricadute che quello che
succede negli USA ha da sempre su tutto il resto del mondo. Continueremo quindi
nel nostro blog a seguirne l’evoluzione approfondendo il meglio possibile la
lettura socio-politica del voto e dei primi passi della nuova amministrazione
Biden. Pubblichiamo in questo post il secondo reportage “on the road” di
Francesco Costa che con tono scanzonato coglie comunque alcuni aspetti
significativi. Il primo, relativo alla lettura del voto, conferma che la
sconfitta di Trump non ha assolutamente avuto le caratteristiche della disfatta
incautamente prevista da non pochi commentatori. Anzi, i consensi raccolti da
Trump sono persino cresciuti rispetto a quelli del 2016 anche in strati
sociali, come i latinos, i latino-americani, e persino in parte dell’elettorato
afro-americano, ed è rimasto saldo anche il voto della classe operaia bianca.
Biden ha sicuramente vinto con uno scarto di voti molto ampio grazie alla
insolita altissima percentuale di votanti, ma anche sfruttando, stavolta a
vantaggio dei democratici, l’astruso meccanismo di attribuzione dei grandi
elettori. Il secondo aspetto, relativo invece alle caratteristiche della nuova
amministrazione, lascia intravedere una squadra di governo molto solida come
competenze e professionalità ma tutt’altro che innovativa. Nell’articolo
compaiono immagini e brevi descrizioni dei personaggi che occuperanno i posti
chiave di governo: sono tutti espressione del miglior establishement democratico
- si deve ancora parlare di “élite”? – e rendono lecito supporre che le
politiche di Biden saranno, perlomeno nella prima fase, improntate ad una
grande cautela e moderazione. Non esattamente quello che speravano le
componenti più giovani e desiderose di cambi di rotta più radicali. Vedremo.
Appena possibile speriamo di pubblicare altri articoli di Gian Giacomo Migone,
grande esperto di cose americane e nostro previsto relatore alla conferenza sul
tema annullata per le note vicende pandemiche.
Secondo
articolo “on
the road” di Francesco Costa
(giornalista, vicedirettore del giornale on-line “ilpost.it”) attualmente in
viaggio negli USA
Quando vi chiedete se i siti
di scommesse siano affidabili nel prevedere il risultato delle elezioni tenete
conto che stanno ancora quotando la vittoria di Donald Trump!
Le elezioni presidenziali le ha vinte Joe Biden, ma
uno dei risultati più sorprendenti del voto del 3 novembre riguarda Donald
Trump. Com'è possibile che dal 2016 al 2020 il consenso di Trump tra le
persone di origini latinoamericane sia aumentato? Perché il politico che
quattro anni fa aveva lanciato la sua candidatura sostenendo che dal Messico
arrivassero solo "criminali" e "stupratori", che ha
adottato politiche brutali contro l'immigrazione, è riuscito a migliorare la
sua popolarità tra gli statunitensi di origini ispaniche? Non è un fatto da
poco: i latinoamericani sono il segmento demografico che cresce di più negli
Stati Uniti, e alle elezioni del 2020 per la prima volta nella storia
americana ci sono stati più elettori ispanici che afroamericani. A lungo si è
pensato che il Partito Democratico fosse destinato ad avvantaggiarsi
naturalmente della crescente diversità etnica degli americani, ma il voto di
novembre ha messo in discussione questa tesi. Bisogna capire perché. Un terzo
dei cittadini americani sta facendo fatica nell’affrontare le spese
fondamentali della vita quotidiana, dal cibo all’affitto, ha detto il sondaggio
settimanale realizzato dall’ente statistico del governo degli Stati Uniti. Un
adulto americano su otto – circa 26 milioni in tutto – la settimana scorsa non
ha avuto abbastanza da mangiare. Se si tiene conto solo delle famiglie con
bambini, gli adulti americani in questa condizione diventano uno su sei. Perché
succede? Si fa presto a dire che c’entra l’epidemia: certo che c’entra
l’epidemia. Ma negli altri paesi occidentali, figuriamoci nelle più grandi
potenze al mondo, le conseguenze economiche e sociali non sono state devastanti
come negli Stati Uniti, perché i governi e i Parlamenti sono intervenuti. Negli
Stati Uniti l’intervento c’è stato, ma si è fermato in estate. Lo scorso luglio
è scaduto il sussidio straordinario da 600 dollari alla settimana che
percepivano le persone disoccupate, e da allora il Congresso non ha più trovato
un accordo per introdurre nuovi aiuti. Altri programmi straordinari di welfare
scadranno alla fine dell’anno, per esempio la sospensione degli sfratti e i
prestiti agevolati per le piccole imprese e le amministrazioni locali. Nel
frattempo il numero delle persone morte ogni giorno a causa del coronavirus ha
cominciato a sfondare quota duemila, mentre i nuovi contagi quotidiani si
stanno avvicinando pericolosamente a 200.000. Non c’è niente che impedisca al
governo e al Congresso di agire adesso, ma tutti escludono che ci siano le
condizioni politiche per farlo: tutto è rimandato all’insediamento del nuovo
Congresso e della nuova amministrazione, a gennaio, quando plausibilmente la
situazione sarà ancora peggiore. La buona notizia – dal momento che quest’epoca
ha messo in discussione anche le cose scontate – è che la transizione
dall’amministrazione Trump all’amministrazione Biden è ufficialmente iniziata.
Quando mancavano 56 giorni al giuramento, infatti, dopo l’ennesimo ricorso
respinto e mentre gli stati stanno già iniziando a certificare i risultati
delle elezioni, Donald Trump ha infine autorizzato la firma della lettera che
riconosce in Joe Biden il vincitore delle elezioni presidenziali, e rende
possibile iniziare il passaggio di consegne. Fate attenzione, Trump si è
premurato di far notare che questa autorizzazione non comporta l’aver accettato
la sconfitta. Il presidente uscente continua a sostenere senza alcuna prova che
il voto sia stato truccato – mentre il suo distacco da Biden ha superato ormai
i sei milioni di voti – e a scrivere su Twitter cose senza senso, e non è detto
nemmeno che parteciperà alla cerimonia di insediamento. Sono dettagli, certo,
ma come prevedibile Biden dovrà fare i conti con le conseguenze di questo comportamento:
i sondaggi indicano che solo una piccolissima parte di chi ha votato per Donald
Trump pensa che Joe Biden abbia effettivamente e legittimamente vinto le
elezioni. L’inizio della transizione permetterà a Biden e Harris di avere
accesso già ora alle informazioni che riceveranno una volta alla Casa Bianca,
sulla sicurezza nazionale come sull’andamento dell’epidemia, sui rapporti
dell’intelligence come sui piani per la distribuzione dei vaccini da COVID-19:
e gli darà i soldi, il personale e gli uffici per mettere insieme un governo
che sia pronto a lavorare fin dal primo giorno. È proprio sulla composizione
del prossimo governo americano che sono arrivate più notizie nella settimana
appena conclusa: vediamole insieme. C’è un tratto comune a tutte le persone di cui Biden ha annunciato la scelta
fin qui: sono persone di grandissima esperienza e competenza. Si può pensare
qualsiasi cosa dell’agenda politica di Biden e delle persone che ha scelto:
troppo moderate, troppo di sinistra, ognuno ha legittimamente le sue idee. Ma
sulle credenziali c’è poco da discutere: Biden fin qui ha scelto solo persone
di comprovata dimestichezza con quello di cui si occuperanno. Prima di passare
ai nomi, una premessa. La settimana scorsa vi ho raccontato di come, al
contrario di quanto avvenga in Italia, quando negli Stati Uniti arriva una
nuova amministrazione non cambiano solo i ministri e i dirigenti dei ministeri,
ma una grandissima parte del personale: le persone che Biden dovrà scegliere e
nominare prima dell’insediamento sono 4.000. C’è un’altra differenza
fondamentale tra il governo americano e i governi a cui noi siamo abituati a
pensare, da italiani ed europei. I governi americani sono l’esercito del
presidente: i ministri sono dei soldati, e i loro spazi di autonomia politica
sono limitati. Certo, i ministri possono fare il loro lavoro bene o male, e
possono avere idee efficaci o inefficaci, ma non pensate a incarichi e figure
dotate di un qualche protagonismo politico, che possano litigare tra loro o
addirittura mettere in difficoltà il presidente, come accade normalmente nelle
democrazie parlamentari. Quanti nomi di ministri di Obama sapreste citare a
memoria, a parte il segretario di Stato? E di Trump? Dove voglio arrivare: le persone che comporranno l’amministrazione Biden
avranno compiti importantissimi, e quindi è saggio conoscere chi sono e farsi
un’idea delle loro competenze. Ma tenete sempre presente che l’iniziativa
politica del governo americano viene dalla presidenza in un modo molto più
univoco e cristallino di quanto avvenga in un governo europeo. E tenete conto
che per questo motivo l’incarico più importante di ogni amministrazione non è
questo o quel ministro, ma il capo dello staff della Casa Bianca. Il capo dello
staff è il vero braccio destro del presidente, molto più del vicepresidente; ed
è la persona che ha la responsabilità di far diventare concreti gli obiettivi
che il presidente decide di perseguire.
Non è ancora ufficiale, ma Janet Yellen sarà con ogni probabilità il segretario del Tesoro. Parliamo di un pezzo molto grosso: Yellen è stata la prima donna a capo della Federal Reserve e sarà eventualmente la prima donna a guidare il dipartimento del Tesoro. È notoriamente favorevole a politiche economiche espansive ed è un’avversaria dell’austerità durante i momenti di crisi, specialmente quando i tassi di interesse sono così bassi.
Linda Thomas-Greenfield sarà l’ambasciatrice degli Stati Uniti alle Nazioni
Unite. Nata in una famiglia poverissima, è una diplomatica con 35 anni di
carriera ed è stata la persona di riferimento per l’Africa durante
l’amministrazione Obama. Si trovava in Ruanda quando nel 1994 iniziò la guerra
civile che avrebbe portato al genocidio, e un gruppo di soldati la prese per
una donna di etnia tutsi mentre si spostava con un gruppo di persone del posto.
Una persona fu uccisa davanti ai suoi occhi, poi le puntarono un mitra in
faccia: dovette enfatizzare il suo accento della Louisiana per convincere i
militari che non era ruandese ma americana.
Alejandro Mayorkas sarà il segretario alla Sicurezza Nazionale, l’agenzia che tra le altre
cose si occupa di immigrazione. Figlio di immigrati cubani, sarà il primo
statunitense di origini latine di sempre a occuparsi delle politiche di immigrazione
del paese. Anche lui ha molta esperienza amministrativa: durante
l’amministrazione Obama fu tra le persone che lavorarono al DACA, il
programma che protesse dall’espulsione centinaia di migliaia di persone
arrivate irregolarmente negli Stati Uniti quando erano bambine.
Avril Haines sarà la prima donna a capo del servizio nazionale di intelligence.
Curriculum stellare, storia pazzesca: ha perso la mamma da ragazzina, suo padre
a un certo punto finì senza casa per le difficoltà economiche della famiglia, è
andata a Tokyo a studiare judo per un anno, è tornata negli Stati Uniti per
studiare fisica mantenendosi lavorando come meccanico, a un certo punto ha
provato ad attraversare l’Oceano Atlantico con un vecchio aereo trovandosi
costretta a fare un atterraggio d’emergenza, poi ha aperto un bar, infine si è
iscritta a Giurisprudenza e ha iniziato poi a occuparsi di diplomazia, diritti
umani e sicurezza nazionale. Io sono stanco solo ad averle scritte, tutte
queste cose.
Jake Sullivan, che era il più importante consigliere di politica estera di Hillary
Clinton e ha lavorato nell'amministrazione Obama con incarichi sempre più
importanti e visibili, sarà il consigliere di Joe Biden alla sicurezza
nazionale.
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