domenica 29 novembre 2020

Ancora sulle elezioni americane - 4° puntata

 

Le elezioni americane e la lenta e complicata fase di transizione presentano ancora non pochi tratti difficili da decifrare per noi osservatori interessati, per le ovvie ricadute che quello che succede negli USA ha da sempre su tutto il resto del mondo. Continueremo quindi nel nostro blog a seguirne l’evoluzione approfondendo il meglio possibile la lettura socio-politica del voto e dei primi passi della nuova amministrazione Biden. Pubblichiamo in questo post il secondo reportage “on the road” di Francesco Costa che con tono scanzonato coglie comunque alcuni aspetti significativi. Il primo, relativo alla lettura del voto, conferma che la sconfitta di Trump non ha assolutamente avuto le caratteristiche della disfatta incautamente prevista da non pochi commentatori. Anzi, i consensi raccolti da Trump sono persino cresciuti rispetto a quelli del 2016 anche in strati sociali, come i latinos, i latino-americani, e persino in parte dell’elettorato afro-americano, ed è rimasto saldo anche il voto della classe operaia bianca. Biden ha sicuramente vinto con uno scarto di voti molto ampio grazie alla insolita altissima percentuale di votanti, ma anche sfruttando, stavolta a vantaggio dei democratici, l’astruso meccanismo di attribuzione dei grandi elettori. Il secondo aspetto, relativo invece alle caratteristiche della nuova amministrazione, lascia intravedere una squadra di governo molto solida come competenze e professionalità ma tutt’altro che innovativa. Nell’articolo compaiono immagini e brevi descrizioni dei personaggi che occuperanno i posti chiave di governo: sono tutti espressione del miglior establishement democratico - si deve ancora parlare di “élite”? – e rendono lecito supporre che le politiche di Biden saranno, perlomeno nella prima fase, improntate ad una grande cautela e moderazione. Non esattamente quello che speravano le componenti più giovani e desiderose di cambi di rotta più radicali. Vedremo. Appena possibile speriamo di pubblicare altri articoli di Gian Giacomo Migone, grande esperto di cose americane e nostro previsto relatore alla conferenza sul tema annullata per le note vicende pandemiche.

Secondo articolo “on the road” di Francesco Costa (giornalista, vicedirettore del giornale on-line “ilpost.it”) attualmente in viaggio negli USA  (articolo segnalato da Massima Bercetti)

Quando vi chiedete se i siti di scommesse siano affidabili nel prevedere il risultato delle elezioni tenete conto che stanno ancora quotando la vittoria di Donald Trump!

Le elezioni presidenziali le ha vinte Joe Biden, ma uno dei risultati più sorprendenti del voto del 3 novembre riguarda Donald Trump. Com'è possibile che dal 2016 al 2020 il consenso di Trump tra le persone di origini latinoamericane sia aumentato? Perché il politico che quattro anni fa aveva lanciato la sua candidatura sostenendo che dal Messico arrivassero solo "criminali" e "stupratori", che ha adottato politiche brutali contro l'immigrazione, è riuscito a migliorare la sua popolarità tra gli statunitensi di origini ispaniche? Non è un fatto da poco: i latinoamericani sono il segmento demografico che cresce di più negli Stati Uniti, e alle elezioni del 2020 per la prima volta nella storia americana ci sono stati più elettori ispanici che afroamericani. A lungo si è pensato che il Partito Democratico fosse destinato ad avvantaggiarsi naturalmente della crescente diversità etnica degli americani, ma il voto di novembre ha messo in discussione questa tesi. Bisogna capire perché. Un terzo dei cittadini americani sta facendo fatica nell’affrontare le spese fondamentali della vita quotidiana, dal cibo all’affitto, ha detto il sondaggio settimanale realizzato dall’ente statistico del governo degli Stati Uniti. Un adulto americano su otto – circa 26 milioni in tutto – la settimana scorsa non ha avuto abbastanza da mangiare. Se si tiene conto solo delle famiglie con bambini, gli adulti americani in questa condizione diventano uno su sei. Perché succede? Si fa presto a dire che c’entra l’epidemia: certo che c’entra l’epidemia. Ma negli altri paesi occidentali, figuriamoci nelle più grandi potenze al mondo, le conseguenze economiche e sociali non sono state devastanti come negli Stati Uniti, perché i governi e i Parlamenti sono intervenuti. Negli Stati Uniti l’intervento c’è stato, ma si è fermato in estate. Lo scorso luglio è scaduto il sussidio straordinario da 600 dollari alla settimana che percepivano le persone disoccupate, e da allora il Congresso non ha più trovato un accordo per introdurre nuovi aiuti. Altri programmi straordinari di welfare scadranno alla fine dell’anno, per esempio la sospensione degli sfratti e i prestiti agevolati per le piccole imprese e le amministrazioni locali. Nel frattempo il numero delle persone morte ogni giorno a causa del coronavirus ha cominciato a sfondare quota duemila, mentre i nuovi contagi quotidiani si stanno avvicinando pericolosamente a 200.000. Non c’è niente che impedisca al governo e al Congresso di agire adesso, ma tutti escludono che ci siano le condizioni politiche per farlo: tutto è rimandato all’insediamento del nuovo Congresso e della nuova amministrazione, a gennaio, quando plausibilmente la situazione sarà ancora peggiore. La buona notizia – dal momento che quest’epoca ha messo in discussione anche le cose scontate – è che la transizione dall’amministrazione Trump all’amministrazione Biden è ufficialmente iniziata. Quando mancavano 56 giorni al giuramento, infatti, dopo l’ennesimo ricorso respinto e mentre gli stati stanno già iniziando a certificare i risultati delle elezioni, Donald Trump ha infine autorizzato la firma della lettera che riconosce in Joe Biden il vincitore delle elezioni presidenziali, e rende possibile iniziare il passaggio di consegne. Fate attenzione, Trump si è premurato di far notare che questa autorizzazione non comporta l’aver accettato la sconfitta. Il presidente uscente continua a sostenere senza alcuna prova che il voto sia stato truccato – mentre il suo distacco da Biden ha superato ormai i sei milioni di voti – e a scrivere su Twitter cose senza senso, e non è detto nemmeno che parteciperà alla cerimonia di insediamento. Sono dettagli, certo, ma come prevedibile Biden dovrà fare i conti con le conseguenze di questo comportamento: i sondaggi indicano che solo una piccolissima parte di chi ha votato per Donald Trump pensa che Joe Biden abbia effettivamente e legittimamente vinto le elezioni. L’inizio della transizione permetterà a Biden e Harris di avere accesso già ora alle informazioni che riceveranno una volta alla Casa Bianca, sulla sicurezza nazionale come sull’andamento dell’epidemia, sui rapporti dell’intelligence come sui piani per la distribuzione dei vaccini da COVID-19: e gli darà i soldi, il personale e gli uffici per mettere insieme un governo che sia pronto a lavorare fin dal primo giorno. È proprio sulla composizione del prossimo governo americano che sono arrivate più notizie nella settimana appena conclusa: vediamole insieme. C’è un tratto comune a tutte le persone di cui Biden ha annunciato la scelta fin qui: sono persone di grandissima esperienza e competenza. Si può pensare qualsiasi cosa dell’agenda politica di Biden e delle persone che ha scelto: troppo moderate, troppo di sinistra, ognuno ha legittimamente le sue idee. Ma sulle credenziali c’è poco da discutere: Biden fin qui ha scelto solo persone di comprovata dimestichezza con quello di cui si occuperanno. Prima di passare ai nomi, una premessa. La settimana scorsa vi ho raccontato di come, al contrario di quanto avvenga in Italia, quando negli Stati Uniti arriva una nuova amministrazione non cambiano solo i ministri e i dirigenti dei ministeri, ma una grandissima parte del personale: le persone che Biden dovrà scegliere e nominare prima dell’insediamento sono 4.000. C’è un’altra differenza fondamentale tra il governo americano e i governi a cui noi siamo abituati a pensare, da italiani ed europei. I governi americani sono l’esercito del presidente: i ministri sono dei soldati, e i loro spazi di autonomia politica sono limitati. Certo, i ministri possono fare il loro lavoro bene o male, e possono avere idee efficaci o inefficaci, ma non pensate a incarichi e figure dotate di un qualche protagonismo politico, che possano litigare tra loro o addirittura mettere in difficoltà il presidente, come accade normalmente nelle democrazie parlamentari. Quanti nomi di ministri di Obama sapreste citare a memoria, a parte il segretario di Stato? E di Trump?  Dove voglio arrivare: le persone che comporranno l’amministrazione Biden avranno compiti importantissimi, e quindi è saggio conoscere chi sono e farsi un’idea delle loro competenze. Ma tenete sempre presente che l’iniziativa politica del governo americano viene dalla presidenza in un modo molto più univoco e cristallino di quanto avvenga in un governo europeo. E tenete conto che per questo motivo l’incarico più importante di ogni amministrazione non è questo o quel ministro, ma il capo dello staff della Casa Bianca. Il capo dello staff è il vero braccio destro del presidente, molto più del vicepresidente; ed è la persona che ha la responsabilità di far diventare concreti gli obiettivi che il presidente decide di perseguire.

Ron Klain sarà il capo dello staff della Casa Bianca di Joe Biden. È un consigliere e collaboratore di Biden da molti anni: è stato il suo capo dello staff quando Biden era vicepresidente, e prima lo era stato anche del vicepresidente Al Gore. Durante l’amministrazione Obama era stato a capo della task force contro la diffusione del virus ebola, e in questi mesi ha più volte descritto la strategia di Biden contro il coronavirus. È considerato un gran secchione e un gran lavoratore. La sua nomina è stata apprezzata dai più moderati e centristi del partito fino ad Alexandria Ocasio-Cortez. Politico lo ha definiti “probabilmente il più preparato capo dello staff di sempre”.

Non è ancora ufficiale, ma Janet Yellen sarà con ogni probabilità il segretario del Tesoro. Parliamo di un pezzo molto grosso: Yellen è stata la prima donna a capo della Federal Reserve e sarà eventualmente la prima donna a guidare il dipartimento del Tesoro. È notoriamente favorevole a politiche economiche espansive ed è un’avversaria dell’austerità durante i momenti di crisi, specialmente quando i tassi di interesse sono così bassi.


Tony Blinken sarà il segretario di Stato. È un funzionario e diplomatico di lungo corso: quando John Kerry era il segretario di Stato, lui ne era il numero due. Blinken è un leale alleato di Biden, quindi non bisogna aspettarsi che vada in giro per il mondo a raccontare cose diverse da quelle che chiede il presidente, cosa che ogni tanto accade con i segretari di Stato. Ha fatto molta autocritica sulla politica dell’amministrazione Obama in Siria ed è notoriamente favorevole ad aumentare il numero di rifugiati accolti ogni anno dagli Stati Uniti, che Trump ha portato da 110.000 a 15.000. Sul piano politico, la direzione che intraprenderà è chiara: e in molti casi comporta ribaltare quello che ha fatto l’amministrazione Trump. Rientrare nell’accordo sul clima di Parigi e nell’Organizzazione Mondiale della Sanità, provare a salvare l’accordo sul nucleare iraniano, ricostruire i rapporti con l’Unione Europea e con la NATO, ripristinare la linea dura contro la Russia e in generale l’impegno degli Stati Uniti a difesa dei diritti umani. Occhio alla questione iraniana, che sarà sempre più spinosa.

Linda Thomas-Greenfield sarà l’ambasciatrice degli Stati Uniti alle Nazioni Unite. Nata in una famiglia poverissima, è una diplomatica con 35 anni di carriera ed è stata la persona di riferimento per l’Africa durante l’amministrazione Obama. Si trovava in Ruanda quando nel 1994 iniziò la guerra civile che avrebbe portato al genocidio, e un gruppo di soldati la prese per una donna di etnia tutsi mentre si spostava con un gruppo di persone del posto. Una persona fu uccisa davanti ai suoi occhi, poi le puntarono un mitra in faccia: dovette enfatizzare il suo accento della Louisiana per convincere i militari che non era ruandese ma americana.

Alejandro Mayorkas sarà il segretario alla Sicurezza Nazionale, l’agenzia che tra le altre cose si occupa di immigrazione. Figlio di immigrati cubani, sarà il primo statunitense di origini latine di sempre a occuparsi delle politiche di immigrazione del paese. Anche lui ha molta esperienza amministrativa: durante l’amministrazione Obama fu tra le persone che lavorarono al DACA, il programma che protesse dall’espulsione centinaia di migliaia di persone arrivate irregolarmente negli Stati Uniti quando erano bambine.

Avril Haines sarà la prima donna a capo del servizio nazionale di intelligence. Curriculum stellare, storia pazzesca: ha perso la mamma da ragazzina, suo padre a un certo punto finì senza casa per le difficoltà economiche della famiglia, è andata a Tokyo a studiare judo per un anno, è tornata negli Stati Uniti per studiare fisica mantenendosi lavorando come meccanico, a un certo punto ha provato ad attraversare l’Oceano Atlantico con un vecchio aereo trovandosi costretta a fare un atterraggio d’emergenza, poi ha aperto un bar, infine si è iscritta a Giurisprudenza e ha iniziato poi a occuparsi di diplomazia, diritti umani e sicurezza nazionale. Io sono stanco solo ad averle scritte, tutte queste cose.

Jake Sullivan, che era il più importante consigliere di politica estera di Hillary Clinton e ha lavorato nell'amministrazione Obama con incarichi sempre più importanti e visibili, sarà il consigliere di Joe Biden alla sicurezza nazionale.


John Kerry, la cui carriera diplomatica è gigantesca, si occupò in prima persona di mettere insieme l’accordo sul clima di Parigi quando era segretario di Stato: provateci voi a mettere d’accordo su qualcosa tutti i paesi del mondo. Sarà l’inviato speciale dell’amministrazione Biden per il clima: un incarico che nelle precedenti amministrazioni non esisteva, e che segnala l’importanza del tema dichiarata dalla nuova amministrazione. Kerry in questa veste farà anche parte del Consiglio sulla sicurezza nazionale. Mancano ancora molte nomine importanti. Su tutte il procuratore generale, il capo del ministero della Giustizia, che ha enormi poteri sul sistema carcerario, sulla giustizia penale, sull’immigrazione… e anche su cosa deciderà di fare l’amministrazione Biden con il presidente Trump sul piano giudiziario. Ne parleremo più avanti. Ma un’altra nomina delicata è quella del segretario della Difesa, soprattutto per i rapporti con la corrente più di sinistra del Partito Democratico, mentre il potente deputato Jim Clyburn – fondamentale per la vittoria di Biden alle primarie in South Carolina, e quindi probabilmente per la vittoria di Biden alle primarie punto – sta facendo valere il suo notevole peso politico per cambiare corso al Dipartimento dell’Agricoltura, perché la sua priorità non sia più dare voce all’America rurale ma combattere la fame. Se vi chiedete "dove sono i giovani?!" e "dov'è la sinistra radicale?!", non dimenticatevi che Joe Biden è la persona che ha vinto le primarie del Partito Democratico e le elezioni presidenziali. Ma a parte le battute, non aspettatevi nomi particolarmente famosi, tra le nomine che mancano, e soprattutto a questo punto non aspettatevi di vedere senatori: per quanto non sia impossibile, è difficile che persone come Elizabeth Warren o Bernie Sanders facciano parte dell’amministrazione Biden (ammesso che lo vogliano: sono molto più influenti da senatori che da ministri). Quello che rende improbabile la loro scelta non è tanto Biden, che ha un ottimo rapporto con entrambi, quanto la situazione al Senato. Non dimenticate che ogni nomina governativa dev’essere ratificata dal Senato, dove in attesa dei due ballottaggi in Georgia i Repubblicani hanno 50 seggi contro i 48 dei Democratici. Questo vuol dire che se Warren o Sanders dovessero essere nominati, dovrebbero lasciare i loro seggi: e in attesa delle elezioni del 2022 i loro sostituti saranno scelti dai governatori dei loro stati, che sono entrambi Repubblicani. Inoltre, con una situazione così delicata, Biden avrà probabilmente bisogno di convincere almeno uno o due senatori Repubblicani a ratificare le sue nomine. Non sarà impossibile – ci sono almeno tre moderati, Romney, Collins e Sasse, e altri con cui si può parlare – ma con Warren o Sanders lo sarebbe. Si dice per esempio che questo sia il motivo per cui Biden ha mandato Blinken al Dipartimento di Stato invece di Susan Rice, che è molto detestata dai Repubblicani. Qualche altra notizia in breve, e poi ci salutiamo.  Come ampiamente previsto, Trump ha graziato Mike Flynn, l’ex generale che aveva scelto come consigliere per la sicurezza nazionale e che si era dimesso quando era venuto fuori che aveva mentito all’FBI sui suoi rapporti con la Russia e il suo contratto di “consulenza” con il governo della Turchia. Flynn si era dichiarato colpevole due volte e stava collaborando con le indagini sul caso Russia, prima di cambiare improvvisamente team di avvocati e rinnegare tutto. L’amministrazione Trump aveva fatto cadere le accuse, e ora è stato graziato. Arriveranno altre decisioni del genere. Un po’ perché sono consuete, a fine mandato, per quanto mai così controverse. E un po’ perché Trump ha il diritto e il dovere di continuare a fare il presidente fino al 20 gennaio. Non vi scandalizzate per questo. Una superpotenza come gli Stati Uniti non può stare due mesi con un governo dimezzato, che sia l'uscente o l'entrante: non si può imporre un "bimestre bianco" a chi ha una carica esecutiva. D'altra parte quattro anni fa Barack Obama prima di lasciare la Casa Bianca approvò sanzioni durissime contro la Russia, commutò la pena di centinaia di detenuti, creò nuove aree protette, etc. Siete liberi di pensare che certe cose vi piacciano e altre no, e giudicare come volete le cose fatte da Obama e quelle fatte da Trump: ma l’esercizio di quei poteri è legittimo. E non ci sono leggi che tengano davanti a un presidente intenzionato a giocare con i loro confini. Non è detto che la cerimonia di insediamento si terrà all’aperto e con un vasto pubblico, soprattutto se la situazione dell’epidemia continuerà a essere così critica. Nessuno vuole che il giuramento di Joe Biden diventi un evento superdiffusore. Sarà contento Trump, che sicuramente avrebbe temuto il confronto fra le folle.  Nel concitato clima post-elettorale, a Facebook hanno deciso per qualche giorno di premiare la visibilità delle fonti di informazione autorevoli, penalizzando invece quelle più inaffidabili. In quello che è allo stesso tempo il più deprimente e il più prevedibile degli sviluppi, la partecipazione degli utenti al social network è diminuita.– Questa è una cosa che sta avvenendo un po’ ovunque, non solo negli Stati Uniti. Mentre un pezzo del paese soffre tremendamente, chi continua a percepire uno stipendio sta risparmiando come mai aveva fatto nella sua vita, dovendo o potendo rinunciare a viaggi, pause pranzo, cene, vestiti, acquisti impulsivi, regali, cinema, concerti: in una parola, alla vit... scusate, volevo dire, ai consumi. Queste rinunce sono un problema per l’economia ma i risparmi stanno abbattendo il debito privato degli americani, e potrebbero far ripartire l’economia più velocemente quando saremo finalmente fuori da questa pandemia


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