giovedì 19 novembre 2020

USA: il declino ed il merito - Articolo di Carlo Bastasin

 

Pubblichiamo il seguente articolo di Carlo Bastasin (accademico, insegna economia alla Luiss School di Roma e alla Brooking Institution di Washington) uscito oggi nella pagina di commenti politici di La Repubblica. Pensiamo infatti che sia un eccellente contributo a meglio capire le dinamiche del voto americano, che Bastasin ben conosce vivendo spesso negli USA, ed al tempo stesso uno spunto di riflessione importante per aggiornare le nostre categorie interpretative. Sono infatti sempre di più le vicende, elettorali e non, in tutto l’Occidente che evidenziano l’insufficienza del rapporto, stabilito troppo spesso in modo automatico, tra le classiche categorie sociali, etniche, economiche, culturali e gli orientamenti elettorali, verso le, altrettanto classiche, destra e sinistra. Nel caso americano repubblicani e democratici. Le fratture che ormai attraversano la società nei paesi cosiddetti “sviluppati” sono tali da aver messo in crisi tale automatismo. Già Marco Revelli nel suo libro “Politica senza politica”, nostro “Saggio” del mese di Marzo 2019, aveva evidenziato, riflettendo sul voto “populista” statunitense ed europeo, l’importanza della divisione che attraversa trasversalmente l’intera stratificazione sociale fra i “premiati” e gli “esclusi” dalla globalizzazione. Dato peraltro condiviso da molti politologi e fatto proprio dallo stesso Carlo Bastasin nel suo recente saggio “Viaggio al termine dell’Occidente”  nel quale sottolinea  inoltre la decisiva incidenza del risvolto più propriamente psicologico, individuale e collettivo, con il quale viene vissuta questa divisione. Se ancora in qualche modo vale l’assunto che quanto succede negli USA spesso anticipa la comparsa e l’incidenza di fenomeni che avranno poi diffusione in tutto l’Occidente, diventa ancora più importante, al di là delle specifiche dinamiche di questa elezione presidenziale, conoscere e valutare, in aggiunta ad altre spiegazioni sicuramente presenti e rilevanti, le dinamiche segnalate da Carlo Bastasin

USA: il declino ed il merito

Articolo di Carlo Bastasin – La Repubblica 19/11/2020

Negli ultimi dodici anni il reddito medio degli elettori americani del partito democratico è aumentato di circa il 15%, quello degli elettori repubblicani è invece diminuito. Non solo i repubblicani sono diventati in media più poveri dei democratici, ma le circoscrizioni in cui prevalgono i loro candidati contano per meno di un terzo del reddito totale degli USA. Da qualche tempo gli elettori repubblicani non sono più la parte ricca del paese che vuole proteggere le ricchezze dalle tentazioni socialiste dei democratici. Interpretare secondo i criteri europei convenzionali di destra e sinistra, di diseguaglianze assolute e relative, la realtà socio-politica americana rischia di portare fuori strada. Anche le letture di moda sulla geo-economia che definiscono il benessere dei cittadini principalmente in base al luogo in cui vivono e lavorano non è sufficiente. La differenza di reddito tra aree “macropolitane” e paesini di campagna è certo evidente. Tuttavia la distribuzione geografica del benessere è una conseguenza di qualcosa di più profondo che sta cambiando in modo silenzioso. Mentre nel 2016 la distinzione tra grandi metropoli e realtà rurali era ben definita, ora il benessere delle grandi città si sta allargando ai sobborghi circostanti .Mentre prima il benessere di accentrava nel centro di singole città, San Francisco, New York, Washington o Boston, in grado di coniugare nuove tecnologie informatiche, il migliore capitale umano, servizi professionali di alto livello, università di eccellenza, ora l’onda si è allargata a servizi e professioni che stanno incorporando le tecnologie informatiche prendendo vantaggi sulla attività tradizionali. Ecco che i sobborghi di Atlanta, Phoenix, Las Vegas e Madison, vedono aumentare il loro reddito e finiscono per votare democratico spostando sorprendentemente la maggioranza del voto in Georgia, Arizona, Nevada e Wisconsin. Perfino le città di Pittsburgh e Philadelphia, una volta emblema della decadenza delle vecchie professioni, stanno lentamente incorporando nuove tecnologie e nuovi lavori a reddito crescente. Non a caso è stata proprio la Pennsylvania a determinare nel modo più significativo la nuova maggioranza per il presidente Biden. Può sembrare che questo sviluppo abbia una sua determinazione storica che i “progressisti” accoglieranno con sollievo: una popolazione in sviluppo, sempre più colta e contraria ai richiami isolazionisti, xenofobi, o razzista del presidente Trump. Ma anche in questo caso – come nella rivisitazione delle identità sociali di destra e sinistra – è necessario procedere con cautela. Il giorno delle elezioni presidenziali si è tenuto anche un referendum in California che ha aperto uno spiraglio inquietante sull’identità politica degli elettori democratici. I cittadini hanno infatti votato contro la legge statale che voleva garantire ai “riders” lo stato di lavoratori dipendenti. Forse a determinare il risultato è stata la propaganda delle piattaforme, come Uber o Lyst, che hanno coperto il 90% delle spese totali di pubblicità elettorale. Tuttavia quello stesso giorno i californiani hanno anche respinto le proposte a favore della “affirmative action” (politiche favorevoli ai meno benestanti) o del controllo degli affitti (nei quali si riflettono le gravi disuguaglianze di reddito dello Stato). Se questa è l’impronta politica degli elettori democratici – ricchi, colti, ma meritocratici – forse bisogna ripensare alcune classificazioni politiche. In Florida un elettorato prevalentemente repubblicano ha invece votato con schiacciante maggioranza l’approvazione del salario minimo senza peraltro che Trump abbia detto una parola in materia. Alla fine la quota di elettorato di Trump è la stessa di John McCain nel 2008 e di Mitt Romney nel 2012 (46-47%), ma è l’elettorato che continua a cambiare. Così come per i democratici sarà difficile tenere insieme l’elettorato dei sobborghi e quello giovane e radicale delle metropoli. La ragione di quello che sta succedendo è che da circa venti anni la società americana sta vivendo un fenomeno diverso dalla sola disuguaglianza e che io chiamo “divergenza secolare”. Per una parte dei cittadini il declino personale sembra inarrestabile e immotivato, suscita sentimenti di rabbia e inganno che il presidente Trump aveva personificato perfettamente. Per l’altra parte, la propria personale ascesa si identifica con qualità proprie, di istruzione e mobilità, ma sembra distaccata dalle sorti degli altri e soprattutto da quelle dei perdenti. Queste componenti non assorbono tutta la realtà dei due partiti, democratico o repubblicano, ma sono proprio le loro frange che danno voce a sentimenti fortemente antagonistici. E’ in questo difficile quadro, destinato a cambiare nel tempo, in ragione degli sviluppi strutturali di tecnologia ed economia, che l’elezione di un presidente come Joe Biden, con una forte vocazione centrista, con una personalità non controversa e con poca presa polemica, rappresenta un attimo di respiro di importanza eccezionale per fare il punto sul rapporti tra capitalismo e democrazia.

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