Questa agricoltura non è verde
Il
cibo, compresa tutta la sua filiera agricoltura in primis compresa, era una
delle tematiche al centro di una parte del nostro programma di incontri
2019/2020 rimasto purtroppo incompiuto. Il cibo, in senso lato, è stato anche
l’argomento di alcuni “Saggi” del mese presentati proprio in funzione di tale
programma. Questa nostra attenzione non è però scemata perché resta viva la
convinzione che cibo, e agricoltura, rappresentino, al di là della loro
importanza specifica, un decisivo punto di sintesi di molte problematiche fra
di loro collegate, a partire da quella ambientale. L’impatto rilevante
dell’agricoltura, e degli allevamenti intensivi, sul cambiamento ambientale, ed
in particolare su quello climatico, è infatti dato accertato. Ci è quindi
sembrato utile, proprio per mantenere attiva l’attenzione su tutto ciò, un
interessante articolo, che qui riassumiamo in pillole, a firma di Federica
Bianchi apparso sull’ultimo numero dell’Espresso del 22 Novembre scorso. Il
problema affrontato è come l’Europa Unita stia delineando la politica agricola
comunitaria dei prossimi anni per orientarla alla sostenibilità ambientale e
le, purtroppo prevedibili, difficoltà a realizzarla a causa delle forti
opposizioni delle grandi lobby del settore:
L’Europarlamento ed il Consiglio dell’Unione hanno varato ben tre
proposte di PAC (Politica Agricola Comunitaria) per il periodo 2023-2030
Attualmente queste tre ipotesi sono oggetto di negoziazione tra i
27 paesi membri e l’Europarlamento
Lo stesso vicepresidente della Commissione interessata, Frans
Timmermans, si è dichiarato pessimista sul fatto che questa travagliata
trattativa porti ad una PAC realmente orientata verso una transizione “green”
Il peso finanziario di questa PAC è molto rilevante, ben 390
miliardi di euro a fronte, ad esempio, dei 290 previsti per il Recovery Fund,
tanto da farla divenire il più grande programma di sempre di sussidi
all’agricoltura
L’opposizione ad una PAC fortemente orientata verso una maggiore
sostenibilità è guidata, come era ampiamente prevedibile visto l’ammontare
degli interessi economici in ballo, dalle grandi multinazionali agricole e
chimiche, protagoniste della “agricoltura intensiva” degli ultimi decenni
Questa industrializzazione della produzione agricola ha già
espulso dal mercato un numero impressionante di piccoli produttori, tra il 2003
ed il 2013, in un solo decennio, i contadini europei sono diminuiti di oltre un
quarto e sono scomparse 4,2 milioni di aziende agricole di piccole/medie
dimensioni
Le nazioni che hanno registrato il maggiore calo sono la Polonia,
la Romania e l’Italia (600mila aziende agricole in meno)
Il risultato è che il 20% delle aziende agricole europee intasca
l’80% degli attuali sussidi PAC, che li eroga proprio in relazione
all’estensione del terreno e non alla manodopera coinvolta o alle modalità di
coltivazione
Le conseguenze di queste coltivazioni ed allevamenti intensivi sull’ambiente
sono impressionanti. Fra i tanti due dati per testimoniarlo: producono il 17%
delle emissioni di gas serra e, dato tutt’altro che secondario, stanno
scomparendo, per colpa dell’inquinamento e della distruzione degli habitat
naturali, molti animali “impollinatori” cruciali per il buon esito dell’84% dei
raccolti (Dati Agenzia Europea per l’Ambiente)
La scelta degli indirizzi della nuova PAC deve essere fatta entro quest’anno
per consentire la sua successiva traduzione in provvedimenti operativi, è
quindi in questa fase che si decide la sua direzione strategica
Fra le tre ipotesi in ballo quella più orientata al cambiamento
green prevede che almeno il 40% del bilancio complessivo della nuova PAC sia
destinato a finanziare produzioni agricole più ecosostenibili
E’ in corso una battaglia, in cui l’Europarlamento sembra essere
quello più ostile al cambiamento, per ridurre tale percentuale fino ad un insignificante
ed inutile 20%
Al contempo è forte anche l’opposizione al fatto che uno dei
criteri base per l’elargizione dei sussidi PAC sia quello di premiare il
maggior utilizzo di manodopera per mantenere invece ancora centrale quello dell’estensione
della superficie coltivata
Le lobby, l’italiana Confagricoltura compresa, si muovono infatti all’insegna
dello slogan “piccolo non sempre è bello” e del maggior ricorso alla meccanizzazione
tecnologica. La conseguenza sarebbe una
ulteriore crescita delle dimensioni medie delle aziende agricole che, per
generare adeguati profitti, inevitabilmente punterebbero sulle coltivazioni
intensive, quelle più inquinanti
Allo stesso modo quindi sono fortemente contestati gli obiettivi
di riduzione dei fertilizzanti, dei pesticidi e degli antibiotici, così come
quello di incentivare la superficie destinabile a colture biologiche ad alta
diversità
Lo schieramento politico che si oppone a questa svolta è
decisamente trasversale, lo stesso gruppo socialista ne è purtroppo ampiamente
coinvolto, ed è, come ancora troppo spesso succede in questa UE, ispirato da
logiche ed interessi nazionalistici
La sintesi di questa situazione la fornisce Benoit Biteau,
agricoltore francese ed europarlamentare verde, quando afferma che “questa PAC
è l’ultima chance per l’agricoltura europea e per i contadini, e purtroppo la
stiamo perdendo”
Anche
se non siamo contadini ma “solo” cittadini, italiani ed europei, giustamente preoccupati
per l’incalzare dei problemi ambientali, non possiamo accettare che su una
questione così rilevante manchi una adeguata informazione come se fosse materia
per soli esperti e addetti ai lavori. E’ invece un tema che riguarda tutti noi,
la nostra salute e quella dell’ambiente, ed è quindi indispensabile che le
decisioni siano prese alla luce del sole coinvolgendo di più e meglio l’intera
opinione pubblica europea.
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