mercoledì 4 novembre 2020

Il "Saggio" del mese - Novembre 2020

 

Il “Saggio” del mese

 NOVEMBRE 2020

Dopo la sintesi delle prime due parti di “Capitale e Ideologia”, argomento e trattazione decisamente “seriosi”, ci è sembrata giusta una pausa scegliendo un saggio che affronta un tema all’apparenza meno “serioso”, ma di certo non meno serio. Parliamo infatti di “cibo”, un argomento già al centro di una parte dello scorso nostro programma 2019/2020, che per le note vicende pandemiche non ci è poi stato possibile tenere, che lo avrebbe affrontato nei suoi risvolti ambientali, economici, sociali, politici e culturali. In questa occasione lo facciamo guardando invece a quelli specificatamente nutrizionali e alimentari seguendo l’analisi che Tim Spector (docente di epidemiologia genetica al King’s College di Londra, autore di numerose pubblicazioni scientifiche e di interessanti saggi, coordinatore, in collaborazione con la Standford University,  di uno studio, forse il più complesso finora svolto, che si propone, nell’ambito della scienza dell’alimentazione, di studiare i fattori complessi che influenzano il nostro rapporto con il cibo) ci propone con il suo ultimo saggio con titolo “Presi per la gola”. Scorrendolo si avrà modo di passare da conoscenze già abbastanza diffuse, quantomeno fra chi a questi temi presta del suo un poco di attenzione, ad alcune sorprese e novità. Tutte fra di loro legate dalla critica che Tim Spector fa di molte delle convinzioni nutrizionali ed alimentari che, seppur fondate su basi analitiche alquanto fragili, sono assurte a livelli di dogmi, di “miti”. Il quadro d’insieme che emerge è interessante e conferma, oltre allo stretto collegamento con tutti i risvolti legati al cibo, i l’inderogabilità, per una umanità sempre più vicina agli otto miliardi di individui in un pianeta con risorse limitate, di interrogarsi a fondo su un “cibo buono, salutare e sostenibile”.


Introduzione

La scienza dell’alimentazione è una disciplina recente nella storia della medicina, essendo nata negli scorsi anni Settanta, che deve fare i conti con la sua intrinseca complessità di ricerca e di analisi, in buona misura basate su studi osservazionali spesso condotti in modo non sufficientemente codificato, se non influenzati da “altre” finalità. Nonostante le crescenti perplessità al riguardo prevale inoltre un fraintendimento vecchio di secoli, la divisione schematica del cibo nei tre canonici grandi gruppi: carboidrati, proteine e grassi. Ma …….dividere gli alimenti in tre gruppi è come classificare gli umani in africani, europei ed asiatici e su questa base consigliare trattamenti standard con differenze riferite solo a queste tre categorie grossolane….. La verità è che i cibi, tutti i cibi, contengono migliaia di sostanze chimiche il cui impatto sulla nostra alimentazione è quanto mai complesso, specie per le intricatissime loro interazioni. A questa difficoltà si aggiungono ulteriori complicazioni legate alle specifiche modalità di risposta del nostro organismo a queste migliaia di sostanze chimiche assimilate con il cibo. Solo di recente, dopo decenni di attenzione concentrata unicamente sugli organi “classici”, si è scoperto il ruolo fondamentale di un “nuovo” organo fin qui sottovalutato: il microbioma intestinale (a maggior ragione rinnoviamo il ringraziamento per l’ottima relazione che anni addietro il nostro socio e sostenitore, Renzo Suriani, ci tenne proprio per farci scoprire questo “organo” ed il suo importantissimo ruolo). Il microbioma è una comunità di minuscoli organismi, che pesa nel suo insieme quanto il nostro cervello, composta da decine di migliaia di miliardi di batteri, funghi, parassiti vari, e da altrettanti miliardi di mini virus. Ed è, aspetto decisivo, assolutamente unica per ciascuno di noi, basti pensare che persino due gemelli monozigoti, pressochè simili per molti altri aspetti, hanno sicuramente un microbioma diverso. Ed è ormai accertato che è l’organo che di più incide sulla nostra risposta al cibo che assumiamo rendendola quindi altrettanto unica. La comparsa in scena del microbioma sta quindi rivoluzionando la scienza dell’alimentazione aprendo scenari fin qui del tutto sconosciuti ed in continua evoluzione. In questa sintesi, stante l’enorme complessità del tema, ci limiteremo a seguire pedissequamente l’esposizione di Tim Spector riassumendola per punti che mettono in luce le sue evidenze più rilevanti lasciando indietro, giocoforza, la trattazione più strettamente scientifica. L’obiettivo, in linea con quello dello stesso Tim Spector, non è certo quello di farci diventare esperti in scienza dell’alimentazione, ma semplicemente quello di farci meglio intuire la sua complessità e la conseguente “provvisorietà” di molti degli assunti sin qui troppo spesso presentati come dogmi nutrizionali. (Un’ultima indicazione metodologica: tutte le affermazioni di Spector si basano su studi osservazionali, test di laboratorio, screening di massa, effettuati negli ultimi decenni che, per identica comodità di sintesi non verranno citati. Chi fosse interessato alla lettura integrale del saggio li ritroverà debitamente citati nel testo oppure in nota).

Capitolo 1 = E’ una faccenda personale

Mito = Le linee guida nutrizionali e i piani dietetici valgono per tutti

·      Per orientarci nel complicato mondo dell’alimentazione sembrerebbe logico dare credito alle regole “ufficiali”, quelle emanate da una pletora di organismi ed istituzioni, peraltro non di rado fra di loro in conflitto, dando per scontato che poggino, come dovrebbe essere, su consolidate basi analitiche e su adeguate verifiche sul campo, e che quindi abbiano titolo per essere indicazioni valide.

·      Secondo Tim Spector sembra invece che sussistano sufficienti evidenze per dubitarne!

·      Per la semplice, ma fondamentale ragione che è ormai dato acquisito, e consolidato da studi e test su ampi campioni di popolazione, che gli individui hanno, rispetto ad una identica dieta o alimento, risposte nutrizionali diverse, con variazioni così ampie da togliere valore alla stessa idea di diete “universali

·      Come anticipato nell’Introduzione il ruolo preponderante del “microbioma”, il nostro personalissimo organo, ci rende  molto diversi nel rapporto con il cibo, caratterizzando in modo decisivo i nostri personali metabolismi già ampiamente differenziati per l’influenza del contesto in cui viviamo, del nostro patrimonio genetico, del nostro stato di salute generale, dell’età, del sesso, dell’esperienze passate, della cultura del cibo in cui siamo nati e vissuti, delle condizioni sociali ed economiche.

·      Se non è certo esclusa la possibilità ed il valore di messaggi salutistici validi per tutti, come ad esempio quello di mangiare più fibre ed alimenti vegetali, immaginare che esistano “diete universali” è quindi un evidente errore

·      Il primo messaggio di Tim Spector, quello fondamentale per tutto quello che seguirà, è pertanto che ….. non esiste un solo modo giusto di mangiare …….

Capitolo 2 = Rompere il digiuno

Mito = La colazione è il pasto più importante della giornata

·      E molto difficile capire cosa si debba intendere per colazione. Gli storici dell’alimentazione si dividono al riguardo ma sembra prevalere l’idea che l’usanza di “fare colazione”, qualunque essa sia, è relativamente recente, di qualche secolo addietro, e in effetti diffusa a livello di massa nel solo mondo occidentale

·      Ciò nonostante tutte le regole nutrizionali sembrano convergere su una raccomadazione: bisogna farla, e deve essere abbondante, perché…. dobbiamo rompere il digiuno…..

·      A sostegno del “farla ed abbondante” ci sono alcune idee ormai entrate nel “buon senso comune”: la colazione mette in moto il metabolismo, evita di arrivare troppo affamati al pranzo, ci dà la benzina utile per la giornata che inizia. Ma soprattutto quella che non è bene prorogare il già lungo digiuno dalla sera prima.

·      Peccato che non ci siano adeguate prove scientifiche a sostegno di queste idee e che nessun studio abbia dimostrato che saltare pasti, colazione compresa, faccia ingrassare e incida negativamente sul “metabolismo basale”, (il dispendio energetico per assicurare le funzioni metaboliche vitali, respirazione, circolazione sanguigna, attività sistema nervoso e cerebrale, che, in sintonia con quanto prima, varia tantissimo da individuo a individuo). Questi stessi studi hanno inoltre evidenziato la fragilità anche della collegata raccomandazione di suddividere il cibo in più pasti di ridotta entità al fine di risparmiare all’organismo un possibile stress metabolico, aspetto che non emerso dagli studi osservazionali su campioni di massa.

·      La presunta importanza della colazione si basa sulla possibilità che il saltarla favorisca il rischio di sovrappeso. Un rischio evidenziato da alcuni studi che hanno però colpevolmente sottovalutato l’incidenza di alcuni fattori correlati: chi salta la colazione mediamente rientra nelle fasce della popolazione a basso reddito, meno istruite, meno in salute e con una dieta complessiva più scadente

·      Queste crescenti perplessità attorno sulla esaltazione dell’importanza della colazione consentono una collegata riflessione sulla ricaduta sul nostro metabolismo del “digiuno”, questione che è oggetto di infinite diatribe nella comunità scientifica

·      Rientra in scena il microbioma, il quale ha un ritmo di vita circadiano di ventiquattro ore simile al nostro e, sempre sulla base di alcuni dati ricavati da studi recenti, sembra che effettivamente possa soffrire lunghi periodi senza cibo, ma al contrario che tragga buoni vantaggi da brevi fasi di digiuno, per esempio proprio quella che si potrebbe ottenere aggiungendo alla pausa notturna un prolungamento di alcune ore

·      Sono tutte valutazioni in corso di studio a conferma della limitatezza delle nostre conoscenze nutrizionali. La consapevolezza di ciò dovrebbe quantomeno indurci, per restare in tema, ad essere meno categorici nell’esaltazione della colazione, la cui presenza nelle nostre personali abitudini resta del tutto individuale.

·      Non è comunque male, come regola valida per tutte le scelte alimentari, essere diffidenti verso certi proclami considerando il peso delle strategie di marketing che li sostengono, nel caso specifico quelle dei produttori di cereali e dei cibi “da colazione”, ben sapendo che sono molto spesso i finanziatori di ricerche di mercato “pro domo loro”

 

Capitolo 3 = I conti non tornano

Mito = Le calorie dicono con precisione quanto un cibo faccia ingrassare

·      ……per ogni caloria che entra una caloria esce…….. è ancora questa la regola aurea che ispira molti dei consigli nutrizionali e che poggia sull’assunto che l’energia che assorbiamo dovrebbe essere pari all’energia che consumiamo. All’apparenza è un’indicazione chiara, semplice e che si presume corretta. Peccato solo non sia così facilmente praticabile se si fa riferimento alle stesse indicazioni ufficiali

·       Secondo le “universalistiche” linee guida dell’OMS un maschio adulto può assumere 2.500 calorie al giorno, mentre una donna adulta dovrebbe fermarsi a 2.000. Ebbene studi accurati hanno attestato che Il “metabolismo basale” (di cui si è detto nel precedente Capitolo 2) mediamente si assesta in un range che va da 1.450 a 1.900 calorie, al di sotto dell’assunzione calorica raccomandata, imponendo conseguentemente il problema del consumo del surplus delle calorie assunte (aspetto su cui si tornerà nel successivo Capitolo 16)

·      Ed è inoltre quanto mai difficile il calcolo calorico. Per quelle in entrata incide la grande varietà di apporto calorico delle sottospecie di uno stesso alimento, e per quelle in uscita l’analoga grande differenza di consumo calorico individuale per la stessa azione. Non solo: se da una parte alimenti diversi, ma con lo stesso valore calorico teorico, hanno effetti diversi sul metabolismo e quindi producono un apporto calorico altrettanto diverso, dall’altra è autenticamente impossibile misurare con esattezza il nostro specifico consumo calorico nella vita di tutti i giorni, con la sua enorme varietà di situazioni

·      Queste difficoltà di calcolo rendono quindi molto approssimativa la valutazione del nostro reale metabolismo rischiando così di fornirci errate indicazioni per una corretta e calibrata alimentazione.

·      E non bisogna mai dimenticare che, sulla base di un conteggio calorico puramente matematico, cento calorie fornite da un cibo “sano” valgono, ahi noi, come le cento ricavate da un cibo industriale.

·      E non è un caso che la pressante indicazione della regola aurea delle calorie abbia fatto felici le multinazionali che vendono miliardi di confezioni di prodotti “ipocalorici”

Capitolo 4 = Un grosso grasso dibattito

Mito = I grassi saturi sono tra le cause principali di malattie cardiovascolari

·      Circa cinque anni fa è comparso sulla rivista scientifica “British Medical Journal” il resoconto di un ampio studio osservazionale di massa che metteva in discussione l’imperativo sin lì indiscusso di evitare rigorosamente l’assunzione del diavolo alimentare del XX secolo: i grassi, e soprattutto quelli “saturi”

·      Ne è inevitabilmente seguita una accesissima discussione fra esperti, con al centro della discussione la preliminare ipotesi che le malattie cardiovascolari dipendano in misura determinante proprio dall’assunzione di cibi grassi e dal loro apporto di colesterolo cattivo. Un’idea a lungo in auge che è stata in buona misura ridimensionata dalla accresciuta consapevolezza del peso del ruolo fisiologico del nostro fegato che produce in modo endogeno una gran parte del colesterolo che circola nelle nostre arterie riducendo di molto l’incidenza di quello assunto per vie esogene

·      Ciò ha comportato una sorta di “assoluzione per insufficienza di prove” per una lunga serie di alimenti in precedenza demonizzati come subdoli creatori di colesterolo. Si parla di tutti i prodotti di origine animale quali carni, uova, pesci oleosi, latte intero e suoi derivati, persino il famigerato burro non è un killer spietato delle nostre arterie

·      Se una dieta salutare non può ovviamente basarsi su un consumo massiccio ed incontrollato di queste famiglie di alimenti molti recenti studi su ampia scala hanno confermato, stante il ruolo del fegato, il ridimensionamento della loro incidenza sui nostri livelli di colesterolo

·      Il loro ingiustificato totale ostracismo è inoltre la testimonianza più rilevante, sia dal punto di vista nutrizionale che da quello dell’impatto sui comportamenti dei consumatori, di come l’attuale scienza dell’alimentazione si stia sempre più orientando a valutare ogni cibo non per la sua appartenenza ai tre grandi gruppi di cui si è detto, carboidrati proteine e grassi, ma come uno specifico insieme di migliaia di sostanza chimiche, in buona misura non categoricamente riducibile a questa classificazione,  che interagendo con il nostro specifico microbioma determina la nostra personale risposta alla sua assunzione

Capitolo 5 = Gli integratori non funzionano

Mito = Assumere integratori di vitamine migliora la salute

 e previene le malattie

·      Gran parte del pianeta, quella con più benessere diffuso, ospita ormai un’umanità di “impasticcati”. In questi ultimi decenni il consumo di integratori alimentari è schizzato alle stelle, diventando una incredibile fonte di profitto per le multinazionali che li producono

·      Eppure è ampiamente dimostrato che una dieta sana ed equilibrata, insieme all’esposizione quotidiana alla luce solare, fornisce le dosi necessarie di vitamine e minerali per il 99% della popolazione. Solo per il restante 1%, ovvero coloro che per specifiche personali problematiche metaboliche non riescono a sintetizzarne in misura adeguata, ha senso il ricorso a specifici integratori

·      Tra gli integratori più di moda compaiono: quelli proteici e quelli a fini sportivi a base di vitamine idrosolubili, che spesso assunti in dosi eccessive il nostro corpo semplicemente espelle con un inutile aggravio di lavoro per fegato e reni - quelli di vitamina D, che dovrebbe essere riservata solo a chi davvero non riesce ad assimilarne a sufficienza dalla dieta e dal sole - e quelli di calcio presente in una vasta gamma di alimento ancorche di non facile metabolizzazione. In tutti questi casi gli studi hanno comunque attestato non solo l’inutilità dell’integrazione ma addirittura il rischio che sia causa di malattie

·      Eppure la fama del benefico effetto degli integratori non sembra diminuire. Sicuramente contribuisce a ciò la massiccia campagna pubblicitaria che li propone come benefica e salutare soluzione per “lo stare bene” per “essere in forma”

·      Aiutata poi dalla erratissima convinzione dei consumatori che tali integratori siano ingredienti “naturali e biologici”, mentre al contrario sono per lo più prodotti sintetici che nascono in enormi fabbriche, spesso in Cina, che appartengono a quattordici multinazionali, tra cui le prime sono la Nestlè, la Bayer, la P&G

Capitolo 6 = Il piano segreto dei dolcificanti artificiali

Mito = Cibo e bevande senza zucchero sono

 un modo sicuro per perdere peso

·      Se conforta il fatto che progressivamente  in molti paesi siano state introdotte tasse sui prodotti zuccherati, la cosiddetta “sugar tax”, l’incidenza dei cibi e delle bevande con dolcificanti artificiali resta un problema di enorme impatto sulla nostra salute

·      Il bando, per certi aspetti condivisibile, verso lo zucchero “classico” è divenuto di fatto il cavallo di Troia per il massiccio ingresso nelle nostre diete dei dolcificanti artificiali, sucralosio e aspartame in primis, usati per produrre una vasta gamma di alimenti industriali, come in molte medicine “al gusto di” e negli stessi dentifrici

·      Ovviamente anche per i dolcificanti incide la forte pressione, non solo pubblicitaria, dei produttori. La sola Coca Cola tra il 2010 ed il 2017 ha speso 140 milioni di dollari per finanziare ricerche che “casualmente” attestano l’innocuità alimentare dei dolcificanti artificiali

·      A fronte invece della crescente evidenza scientifica che non solo i dolcificanti artificiali, pur contenendo pochissime calorie (per lo più “vuote”), non aiutano a perdere peso, che anzi sul lungo periodo tende a crescere,  ma che il loro consumo, in connubio con una alimentazione in generale non sana, può essere alla base di problemi come diabete ed obesità che non a caso, ancora e sempre, colpiscono soprattutto la parte della popolazione a più basso reddito “obbligata” al ricorso a cibi industriali.

·      Un campagna di rieducazione alimentare parte ovviamente in salita, ma un primo importante passo, in aggiunta alla sugar tax, può essere quello di vietare le diciture “light” o “con poche calorie” perché inducono a pericolose convinzioni. E questo porta al problema delle etichettature dei prodotti alimentari

Capitolo 7 = Sull’etichetta non c’è scritto  

Mito = Le etichette nutrizionali ci aiutano a compiere scelte più sane

·      Le diciture sulle etichette dei cibi non sono un aspetto secondario dell’ignoranza alimentare, ed anzi di molto contribuiscono ad alimentare errate convinzioni strumentalmente create ad arte dai produttori

·      Se è vero che ben pochi consumatori le esaminano, e che anche coloro che più o meno abitualmente lo fanno non riescono a destreggiarsi in diciture, a caratteri minuscoli, confuse, non traducibili nel linguaggio corrente, non omogenee, è purtroppo ancora più vero che un confezionamento ed una etichettatura all’apparenza scientifica possono indurre a ritenere quel prodotto più controllato, meno ricco di calorie, grassi e zuccheri, e quindi ad incentivarne il consumo proprio perché ritenuto più sano e più “povero”. Non solo quindi le attuali etichette nutrizionali non aiutano a capire, ma i loro contenuti, non a caso quelli più visibili, incentivano comportamenti alimentari scorretti

·      In alcuni paesi sono allo studio leggi per normare l’etichettatura di alimenti semplificandola e rendendola visivamente più chiara, ad esempio con un sistema di gradazione dal rosso al verde per i componenti fondamentali stampata in grande sul fronte del prodotto. E se l’intera popolazione, ad iniziare dalle scuole primarie, ricevesse una migliore educazione alimentare, forse le etichette nutrizionali nemmeno servirebbero

Capitolo 8 = La fobia del cibo industriale 

Mito = Tutti gli alimenti lavorati fanno male alla salute

·      No non è sempre così, la lavorazione del cibo non può essere sempre ridotta ad una truffaldina manipolazione alimentare, ma può semplicemente consistere nel surgelare, inscatolare, tostare, essiccare, tutte operazioni ormai ineliminabili in una filiera che deve produrre e trasportare il cibo per alimentare una popolazione mondiale sempre più vicina agli otto miliardi di individui che non sempre può rifornirsi di cibi freschi e naturali

·      E’ stato quindi correttamente introdotta una classificazione dei cibi lavorati che al suo vertice ha quelli “ultra-lavorati” ossia quelli che effettivamente attuano una manipolazione totale del prodotto e dei suoi ingredienti

·      Per i cibi lavorati che non rientrano in questa definizione, ancorchè non raramente adattata e aggiustata dalle multinazionali del cibo, non è giustificata una sorta di snobismo gastronomico. Non sempre un cibo “lavorato”, e che magari costa anche poco, è un prodotto che fa male alla salute. Ad esempio: legumi inscatolati, verdure surgelate, latticini confezionati, sicuramente non reggono il confronto con i loro corrispondenti freschi ma non sono assolutamente dannosi e, se affidati a mani sapienti nel metterli in tavola, possono essere non meno accattivanti

Capitolo 9 =Troppa carne al fuoco 

Mito = La carne fa sempre male alla salute

·      La carne è stata per molti secoli un consumo riservato ad una parte ristretta della popolazione, ovviamente quella più ricca e potente, fino a d assurgere a cibo simbolo di un certo benessere. In Occidente solo nel corso del Novecento è progressivamente divenuta un alimento diffuso e presente su tutte le tavole, ma al tempo stesso tanto consumato quanto discusso e criticato

·      Ed in effetti se si considera la sua prepotente invadenza nelle diete di quasi tutto il pianeta coniugata con l’impressionante impatto della filiera della sua “produzione” non mancano ragioni, sempre più pressanti e valide, per auspicare una drastica riduzione del suo consumo. Gli allevamenti intensivi sono infatti ormai ritenuti una fonte di inquinamento ambientale di enorme impatto

·      Costituita da acqua, proteine e grassi, più moderate quantità di minerali, sorattutto ferro, e vitamine del gruppo B, la carne, valutandola dal punto di vista nutrizionale, non è per nulla un alimento pericoloso per la nostra salute. Che sia rossa, perché contenente una quantità elevata di mioglobina, una proteina ricca di ferro dal colore rosso, o bianca, perché meno ricca di mioglobina, la carne è un alimento che, consumato nelle giuste dosi, fornisce un importante contributo nutrizionale

·      Molte delle prevenzioni nei suoi confronti si collegano con quelle verso i grassi esaminate nel precedente Capitolo 4, ed allo stesso modo vanno quantomeno ridimensionate perché, ancora una volta, studi osservazionali più accurati hanno evidenziato che un collegamento fra consumo di carne e l’insorgenza di malattie cardiovascolari è evidente solo a fronte di una sua eccessiva percentuale nella composizione della dieta abituale.

·      Vale a dire che dosi limitate di carne, per certi aspetti meglio se bianca, possono arrivare di tanto in tanto sulle nostre tavole abbinandole in modo corretto con gli altri alimenti. Secondo alcuni studi questo suo limitato utilizzo non solo non è in generale di danno alla nostra salute, ma è stata accertata, grazie ad alcune sostanze in essa contenute, una sua influenza benefica su quella psichica.

·      L’altra faccia della medaglia è però la scarsa qualità di molta della carne che arriva sulle nostre tavole: gli allevamenti intensivi fanno ampio uso della “chimica” i cui residui, decisamente poco positivi per la nostra salute, inevitabilmente finiscono nei nostri piatti. Carne sì, quindi, ma che sia di buona qualità. Il che, come sempre in una economia di mercato, significa anche di maggior costo, e quindi non da tutti sostenibile.

·      Non sono comunque considerazioni nutrizionali che devono portarci a intervenire drasticamente sulla filiera di produzione, trasporto e consumo di carne. In tutto il mondo il suo prezzo è crollato a fronte di una incessante e diffusissima offerta a prezzi bassi. Tutto questo ha un costo spaventoso per il nostro pianeta, tanto da rendere sempre meno provocatoria l’idea di una “meat tax”, tenendo sempre ben presente il rischio che si accentui in questo modo la sua accessibilità di mercato. Anche il cibo buono e sano richiede quindi una maggiore giustizia sociale

Capitolo 10 = Una faccenda che puzza 

Mito = Il pesce è sempre una scelta salutare

·      Anche il pesce è un tipo di carne, eppure tanto questa è ormai demonizzata (anche se gran parte dell’umanità continua a consumarne quantità eccessive) tanto il pesce è circondato da una aureola salutista. Meritata?

·      Molto meno presente sulle tavole di buona parte del mondo, il pesce, alcuni tipi di pesce ricchi di grasso omega 3, si è guadagnato una giusta considerazione grazie al suo fondamentale apporto nella lotta al rachitismo, un grave problema di salute pubblica in molti paesi fino a pochi decenni fa

·      Non è quindi un caso se ancora ai giorni nostri gli integratori a base di omega 3 sono molto reclamizzati e molto utilizzati come fonte di grassi “salutari”, anche se gli studi al riguardo non evidenziano un così certo ritorno benefico a fronte invece dei possibili rischi legati ad un loro consumo eccessivo

·      Tornando al pesce, ed ai suoi vantati benefici, è però difficile realizzare studi osservazionali di massa perché il suo consumo in dosi significative è limitato a non molti paesi e ad una percentuale non altissima di popolazione. Non sempre ciò che vale per una ristretta comunità umana può avere valore universale, microbioma docet, e quindi non deve stupire se agli arzilli centenari giapponesi, presentati come la testimonianza certa del buon valore nutrizionale del pesce, corrispondono altrettanti anziani non meno arzilli sulle montagne della Grecia e della Sardegna che al contrario di pesce ne consumano proprio poco

·      Sulla base delle attuali conoscenze possono essere considerate corrette le indicazioni che fissano in un massimo di due – tre pasti a settimana il livello ottimale di consumo di pesce. Stando però molto attenti ad alcune controindicazioni

·      Anche il pescato è, come tutte le cose su questo pianeta, una risorsa limitata che la crescita mondiale del suo consumo alimentare sta mettendo a forte rischio di rinnovo naturale. Ormai la maggior parte del pesce che arriva sulle nostre tavole proviene quindi  da allevamenti che, non diversamente da quelli di animali da carne, rispondono alle imperanti logiche di ottimizzazione dei profitti. In questi allevamenti, nonostante proclami rassicuranti, continua ad essere massiccio il ricorso ad antibiotici, utili a fronteggiare le possibili malattie del patrimonio ittico e a combattere insidiosi parassiti,

·      Il pesce inoltre è forse il cibo che di più si presta a inganni commerciali. Sono ben pochi d consumatori capaci di riconoscere con sicurezza il tipo di pesce in offerta, che, fresco o surgelato che sia, molto spesso è invece di specie diverse da quelle vantate, e ovviamente di ridotto valore

·      Vanno quindi bene i due, tre pasti settimanali a base di pesce ma a patto di trovarne, sapendolo riconoscere, di buona qualità. Ed è ovvio che anche se il pesce “sano” è un buon alimento, ben difficilmente da solo può salvarci salute e vita

Capitolo 11 = La mania del veganesimo   

Mito = La dieta vegana è la più salutare

·      Nessun dubbio sul fatto che la dieta vegana sia divenuta di gran moda, le prove? Il numero dei suoi aderenti è in continua crescita, la dieta vegana è sempre più attrattiva e ricca di opportunità anche esotiche, e dulcis in fondo di loro si è prontamente accorta l’industria alimentare che ha di molto ampliato l’offerta ad hoc

·      E del veganesimo si è altrettanto prontamente occupata la scienza dell’alimentazione ed ormai esistono numerosi studi con risultati, come regola comanda, tutt’altro che uniformi

·      In generale se esiste un significativo accordo sulla migliore efficacia di una dieta vegana rispetto ad una standard di contenimento calorico per problemi di sovrappeso ed obesità, se sono ampiamente onfermati tutti i benefici derivanti dal consumo di alimenti vegetali, se sono state in buona misura superate le perplessità sui possibili problemi legati all’apporto ridotto di calcio (che pare non essere così decisivo per la salute delle ossa) e di proteine nobili (quelle fornite da alcuni vegetali sono un buon sostituto), restano però molto forti le perplessità sulle possibili carenze di alcuni nutrienti essenziali, in particolare ferro e vitamina B12, fondamentali per evitare il rischio di pericolose anemie.

·      Inoltre, a dispetto di una immagine stereotipata, non tutti i vegani sono in forma perfetta, perché non tutti si nutrono con alimenti ottimali. L’industria alimentare ha, come si è detto, coperto il mercato “vegano” con una miriade di prodotti che presentano le stesse identiche problematiche di quelli standard (additivi, zuccheri, grassi). E restano comunque molto forti le perplessità dell’estensione di una dieta vegana rigorosa ai bambini, che di più degli adulti necessitano di tutti i nutrienti necessari

·      Va però riconosciuta al veganesimo una grande e giusta attenzione ai problemi della sostenibilità ambientale, che può essere però altrettanto condivisa, se non si hanno contrarie motivazioni filosofiche ed etiche, concedendosi di tanto intanto un qualche piatto a base di carne o pesce di qualità, piuttosto che un formaggio prodotto a regola

Capitolo 12 = Un pizzico di sale  

Mito = dobbiamo tutti ridurre il consumo di sale

·     Un altro demone si aggira sulle nostre tavole, il sale! Guai a consumarne più di cinque/sei grammi al giorno, cioè un cucchiaino! Questo almeno dicono concordemente le prescrizioni alimentari per evitare problemi di pressione, ictus e malattie cardiovascolari

·     Eppure il comune sale da tavola, composto al 40% di sodio ed al 60% da cloro, entrambi importanti per la nostra alimentazione e salute, è un alimento insopprimibile per la semplice ragione che, usato nella giusta misura, rende più buono il cibo

·     Se quindi farne proprio a meno sembra quantomeno difficile la domanda è se faccia davvero così male da doverlo ridurre ai cinque/sei grammi indicati. Ed ancora una volta gli studi si sono divisi, ma quello più recente del 2018, condotto studiando per otto anni un campione di centomila individui sparsi per tutti i continenti ha evidenziato che tale soglia può essere tranquillamente elevata al doppio, a circa 12 grammi, oltre la quale restano confermati i rischi di cui sopra

·     Sembra quindi possibile alzare la soglia, mentre invece analoghi studi hanno bocciato il ricorso a sostituti del sodio, l’indiziato più pericoloso, quali il potassio e la lisina

·     La demonizzazione del sale (del sodio) appare quindi eccessiva, ed il suo utilizzo eccessivo non consiste tanto nell’apporto che se ne fa nella preparazione casalinga del cibo, ma piuttosto nelle incontrollabili quantità presenti in moltissimi cibi industriali essendo un componente essenziale per la loro conservazione (e per la nostra abitudine alla sua presenza gustosa). Una alimentazione che riduca il più possibile questi prodotti sarebbe decisiva per contenere entro limiti ragionevoli l’ostracismo verso un alimento che è parte integrante della storia del cibo

Capitolo 13 = Il caffè può salvarvi la vita  

Mito = bere caffè fa male alla salute

·      Si dice caffè ma bisognerebbe dire caffeina, un’altra sostanza messa sul banco degli imputati non sempre a ragione

·      Se è vero che la caffeina è una sostanza potente che negli individui ad essa più sensibili può provocare seri disturbi intestinali, o comunque in molti complicare il sonno, blocca infatti un neurotrasmettitore, l’adenosina, che rilassa il cervello e induce il sonno, è altrettanto vero che proprio per questo favorisce i meccanismi della concentrazione e dell’attenzione, fino al punto di avere un positivo effetto di contrasto all’Alzheimer e al Parkinson, e di supporto all’attività fisica

·      Nel caffè, più che nel tè, si associa inoltre a buone quantità di polifenoli, validi antiossidanti, ma è bene non assumerla insieme a nicotina ed alcol perché ne intensifica gli effetti negativi.

·      Come per il sale attenzione poi alla caffeina nascosta in molti prodotti alimentari, specialmente le bibite energetiche o light

·      Si può certamente sostenere che in quantità moderate caffè e tè non anno male e anzi pare sempre più dimostrato che facciano bene alla salute. E allora quante tazzine al giorno? Come sempre ogni individuo fa storia a sé, l’indicazione generale che gli studi osservazionali consentono è quella di un massimo di 3 – 4 tazzine al giorno e, visto che la caffeina viene smaltita dal fegato mediamente sei ore dopo l’assunzione, per chi ne patisce l’influenza sul sonno è bene non consumarne più dopo le diciotto

·      L’allarmismo eccessivo attorno al caffè consente una precisazione su un’altra esasperata fobia creata da allarmismi eccessivi: quella dell’acrilammide, una sostanza giudicata cancerogena che si genera durante la combustione, ad esempio per il caffè durante la tostatura, e che è quindi presente sulle carni grigliate e sui prodotti da forno (pane, pizza, etc). Come per altre sostanze l’acrilammide è stata giudicata cancerogena perché associata all’insorgenza di cancro in roditori da laboratorio. Il fatto è che le doti assunte dai roditori sono davvero massicce, al punto da poter sostenere una sua rilevanza non significativa per gli esseri umani in una alimentazione normalmente corretta

Capitolo 14 = L’epidemia di allergie 

Mito = tutti hanno almeno un’allergia alimentare

·      Le allergie sono un fenomeno ecslusivamente moderno, fino al Novecento in campo medico non ne avevano mai sentito parlare. Si fa poi una gran confusione fra allergie e intolleranze. Di norma un’allergia alimentare, la risposta del nostro sistema immunitario verso un determinato cibo, si manifesta entro pochi minuti dall’ingestione, una intolleranza alimentare provoca risposte dilatate nel tempo spesso non così evidenti.

·      Ancora oggi per entrambi non si conoscono appieno cause e sintomi anche sa da tempo circolano diverse tipologie di test, in gran misura “artigianali e quindi inaffidabili, che gonfiano i dati e portano a diagnosi sbagliate. Per chi manifesta una reale sintomatologia allergica l’esame più indicato resta quello del sangue per la ricerca di specifici anticorpi (IgE), per le intolleranze invece non esistono metodologie diagnostiche certe, l’unica consiste ancora in diete che escludano progressivamente gli alimenti fino a individuare quelli incriminabili.

·      Peccato che il contemporaneo eccesso di salutismo, unito all’ossessione per l’igiene e la sicurezza, siano terreno fertile per improvvisati dietologi e allergologi che hanno un evidente interesse di mercato ad enfatizzare l’incidenza di queste possibili patologie, diagnosticabili solo da medici specialisti, e spesso riconducibili ad altre cause

Capitolo 15 = La moda del cibo senza glutine 

Mito = il glutine è pericoloso

·      Il glutine è ormai diventato il re delle sostanze che provocano allergie o intolleranze. Negli ultimi anni il mercato dei prodotti alimentari “senza glutine” è letteralmente esploso

·      I fornai di tutto il mondo invece continuano ad adorare il glutine che, presente in molti dei cereali commestibili, è la sostanza che rende l’impasto plastico ed elastico. Mentre è maledetto, giustamente, da una minoranza molto ristretta della popolazione, meno dell’1%, che soffre di “celiachia” una genetica allergia al glutine, la cui ingestione provoca sintomi debilitanti e spiacevoli

·      Come spiegare questa convinzione di massa di un glutine “cattivo”? Tutto nasce dall’ennesimo studio su roditori che, nel 2013, avrebbe evidenziato una correlazione tra una dieta ricca di glutine e aumento di peso e sintomi allergici. I radar sempre funzionanti dell’industria alimentare hanno subito individuato l’opportunità e abili campagne mediatiche hanno enfatizzato, anche grazie a testimonial famosi, il ruolo da “cattivo” del glutine creando nel giro di pochi anni il ricchissimo mercato mondiale del “senza glutine”

·      A nulla sembra valere il fatto che studi più recenti su vasta scala, condotti su umani e non su roditori, abbiano evidenziato che il glutine non è così responsabile di tutti i misfatti che gli sono imputati, e che la fobia che a catena è stata indotta verso i cereali in genere può essere al contrario causa di insufficienze alimentari

·      E’ possibile che alcuni, convertiti al “senza glutine” stiano effettivamente meglio, ma ciò, al di là dell’immancabile effetto placebo, si spiega con i vantaggi per chi soffre di colon irritabile, diffusa patologia che in effetti consiglia un ridotto uso di cereali, o anche semplicemente perché la conversione al “senza glutine”, del suo tutt’latro che decisiva, quasi sempre è coincisa con una maggiore attenzione generale all’alimentazione

·      Al contrario per molti, non celiaci, c’è il rischio reale di soffrire sul lungo periodo di carenze di vitamina B12, di  folato, di zinco, magnesio, selenio e calcio, senza sottovalutare poi le pesanti lavorazioni a cui sottoposti i cibi per privarli di una sostanza che è davvero dannosa solo per una piccolissima minoranza

Capitolo 16 = In sella e pedalare 

Mito = l’esercizio fisico fa dimagrire

·      ……per ogni caloria che entra una caloria esce…….. la regola aurea dell’alimentazione, che abbiamo già visto avere molte controindicazioni, incide anche sul lato delle calorie in uscita, e quindi delle attività “brucia calorie”, fisiche e mentali, che dovremmo calibrare per pareggiare il conto con quelle in entrata.

·      Il moderno mito della “attività fisica” nasce proprio da questa indicazione puramente matematica che ancora una volta gli studi dimostrano poggiare su fragili basi

·      Esistono infatti una miriade di studi osservazionali che evidenziano che una regolare attività fisica di certo male non fa, ma è una pratica che da sola non può assolutamente garantire un corretto bilanciamento calorico per un insieme di ragioni

·      La prima, e la più importante, consiste nel fatto che il fattore che di più incide sul nostro dispendio energetico, il nostro personale “metabolismo basale” (vedi Cap. 2,) è fisiologicamente predeterminato, e su di esso quindi poco possiamo incidere, che da solo assorbe mediamente circa il 70% della calorie assunte con il cibo

·      Un altro 10% se ne va poi per la digestione, e quindi l’attività fisica può di fatto incidere solo sul 20% del nostro dispendio energetico. Non è poco, ma neppure un margine così ampio da illuderci di risolvere eventuali problemi di bilanciamento energetico lavorando solo su questo margine percentuale

·      Se però l’attività fisica non è così decisiva in questo senso diventa un fattore molto  importante,per risolvere altri problemi, perché, se ben condotta, aiuta tantissimo a rendere più efficiente il metabolismo dell’insulina, ad ottimizzare la frequenza cardiaca, ad abbassare il livello dei grassi nel sangue, a ridurre le situazioni di stress psichico

·      E quindi è assolutamente necessario ed utile fare una corretta attività fisica, che come tanti aspetti fisiologici deve essere “personalizzata”, ma non sulla base del mito che da sola “faccia dimagrire” perché “brucia” le calorie

·      Un mito, anche in questo caso molto moderno, creato e sostenuto da incessanti promozioni di vario genere, ma tutte finalizzate a sostenere l’enorme mercato di articoli sportivi e di prodotti nutrizionali “studiati per lo sport”, tutti assolutamente industriali e tutti con possibili problemi di sovraccarico di componenti nutrizionali

Capitolo 17 = Cibo per la mente 

Mito = lI cibo non incide sulla salute psichica

·      fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo” così diceva Ippocrate, un messaggio che con il tempo si è purtroppo in buona misura perso per strada.

·      E guarda caso la conseguenza è che, soprattutto per la nostra salute psichica, farmaci ed integratori chimici sono divenuti ormai insostituibili, anche nei casi di importanti malattie come la depressione, l’antica “malinconia”,

·      Stiamo parlando di malattie complesse e delicate, certo non affrontabili in questa sede, ma in estremissima sintesi è ormai accertata la limitatezza delle risposte puramente “chimiche” ed il ruolo positivo di una alimentazione sana sul nostro “umore”, e la chiave di questa incidenza positiva è stata individuata nel ruolo del nostro personale microbioma.

·      I pazienti depressi presentano infatti in alta percentuale una gamma di specie microbiche meno diversificata, con una carenza importante dei microbi che producono dopamina, un neurotrasmettitore fondamentale per la salute del sistema neuropsichico. Ed allo stesso modo è stata attestata l’importanza della dieta come possibile alto fattore di rischio, se sbilanciata, per malattie come l’Alzheimer e il Parkinson per la sua diretta incidenza sulla salute del sistema immunitario che, come recenti scoperte dimostrano, interviene nell’insorgere di tali malattie

·      Altri paralleli studi, mirati alla cura di malattie infantili dello spettro autistico, hanno evidenziato il loro collegamento con specifiche anomalie della composizione microbiotica intestinale, al punto da indurre, per una sua ricostituzione ottimale, al ricorso mirato di “trapianto microbico fecale”, letteralmente una trasfusione di feci (ricordiamo bene lo stupore, solo in parte divertito, provocato dal rilievo che l’amico Suriani usò, nella sua conferenza citata in Introduzione, per spiegarci l’efficacia di questa “terapia”)

·      Se è lecito sperare di non doverne mai avere bisogno, non è comunque male introdurre nella nostra alimentazione prodotti naturali, quali yogurt e kefir, che aiutano ad equilibrare il nostro microbioma. Farlo aiuta la nostra salute fisica ed anche quella psichica

Capitolo 18 = L’affare sporco dell’acqua

Mito = Bisogna bere otto bicchieri di acqua al giorno

·      Non è certo in discussione l’importanza di mantenersi idratati, ma non esiste alcuna evidenza scientifica che giustifichi la soglia degli otto bicchieri, ovvero dei due litri, al giorno indicati da molti voci autorevoli come quella minima da rispettare. La verità è che, come per i cibi, la necessità di liquidi, di acqua, è molto individuale

·      Acqua si, bevendone una buona misura e assecondando i segnali che il nostro corpo ci manda, stando attenti al tipo di acqua visto l’inspiegabile diffusissimo moderno ricorso a quella  “in bottiglia”. Un mercato mondiale che vale cifre impressionanti, nato, e da subito molto pilotato dagli immancabili interessi privati, in tempi lontani quando le condizioni degli acquedotti in alcuni paesi e regioni “facevano letteralmente acqua”. Una situazione in costante miglioramento che permane in forma rilevante solo in alcuni paesi africani e asiatici, mentre paradossalmente lo stratosferico consumo di acqua in bottiglia riguarda soprattutto i paesi in cui l’acqua di rubinetto è più sicura, più testata, più controllata

·      Un secondo cavallo di Troia astutamente usato dalle ditte imbottigliatrici è stato, ed ancora è, quello dei possibili effetti negativi del cloro, usato per sanificare l’acqua potabile

·      Se è teoricamente vero che il cloro può danneggiare il nostro microbioma è altrettanto vero che le dosi normalmente presenti  nelle reti idriche sono ridotte, pressochè omeopatiche, e che, a buon pro, l’utilizzo di filtri  è ormai molto diffuso

·      Sono altre le sostanze potenzialmente pericolose per la nostra salute presenti nell’acqua potabile (ibuprofene, estrogeni, antibiotici), ma lo sono in tutte comprese quelle in bottiglia! Mentre in compenso l’acqua di rubinetto contiene maggiori percentuali di fluoro, un minerale benefico per la salute dei nostri denti

·      Non solo il ricorso alle acque in bottiglia non è per nulla giustificato da ragioni sanitarie ma è anche devastante come impatto ambientale. Ci vogliono quattro litri di acqua per produrne uno purificato, e altri dieci litri almeno per produrre la plastica della bottiglia che lo contiene. Per non dire degli spaventosi, per quanto risaputi, problemi di smaltimento  dei rifiuti in plastica per i quali l’acqua in bottiglia concorre per oltre 500 miliardi annui di contenitori

Capitolo 19 = Solo un goccetto

Mito = gli alcolici fanno sempre male

·      Il classico caso in cui la quantità fa la qualità: numerosi studi hanno concordemente sancito da tempo che consumare alcolici in quantità lievi, moderate, (uno, due bicchieri al giorno) riduce il rischio di mortalità per malattie cardiovascolari (rispetto a chi è completamente astemio di circa il 20% in meno).

·      Anche per l’alcol vale la regola che per ogni individuo l’assimilazione è diversa. Incide moltissimo il suo metabolismo, se veloce nel flusso sanguigno entra meno alcol. Di conseguenza incidono molto fattori difficilmente controllabili come etnia, età, peso corporeo, e forse sesso perché alcune prove sembrano suggerire che le donne siano più sensibili agli effetti dell’alcol

·      Non tutto l’alcol vale alla stessa maniera, è stato infatti accertato che un corretto consumo di vino rosso, già più ricco di polifenoli con ricadute positive per il sistema cardiocircolatorio, produce un significativo aumento del microbioma, maggiore di quello ottenibile con vino bianco, mentre birra e superalcolici non sembrano produrre gli stessi effetti positivi

·      Restano indubitabili le gravi conseguenze di un consumo esagerato di alcol in termini di salute del consumatore e dei problemi sociali collegati. Per contrastare questa situazione, in pericolosa crescita in molti paesi occidentali specie nella fasce giovani della popolazione, non occorre però criminalizzare ingiustamente l’alcol in quanto tale, ma semmai intervenire in modo appropriato sulla filiera di produzione e offerta con provvedimenti mirati, quali tassazioni che colpiscano in modo selezionato i prodotti alcolici più pericolosi aumentandone il prezzo disincentivando così il consumo

Capitolo 20 = I chilometri del cibo

Mito = i prodotti locali sono sempre migliori (per l’ambiente)

·      Sono molte le ragioni che sostengono, correttamente, l’indicazione del “cibo a chilometro zero”, anche se sono opportune alcune precisazioni

·      Ad esempio non è vero che l’acquisto di prodotti locali riduca sempre e comunque i chilometri del cibo e che quindi contenga le emissioni. Per realizzare questo obiettivo non basta comprare prodotti locali, questi devono essere “di stagione”. E’ infatti dimostrato, dati alla mano sul totale dell’energia richiesta, che comprare quelli fuori stagione comporta lo stesso dispendio energetico al chilo di un cibo importato.

·      Ad esempio secondo queste stime tutto il cibo consumato in Gran Bretagna produce una percorrenza globale di 30 miliardi di chilometri, dei quali ben l’82% si genera all’interno del paese. Vale a dire che tutte le questioni che riguardano i nostri stili di vita sono maledettamente complesse e che le pur corrette indicazioni di massima devono essere tradotte in soluzioni e comportamenti che tengano conto di questa complessità

·      Le nostre abitudini alimentari molto di rado e in misura insufficiente si interrogano sulla provenienza del cibo, e sulle modalità della sua produzione e del suo trasporto, è sempre più necessario un cambio di paradigma che presuppone però una conoscenza diffusa ed un equilibrio delle scelte che ne conseguono. Un esempio fra i tanti: l’80% del succo d’arancia bevuto in Europa viene dal Brasile, il maggior produttore del mondo. E’ quindi una voce importante per l’economia brasiliana ma la sua importazione implica trasporti inquinanti. A fronte di ciò è giusto mantenere l’’abitudine di consumarlo?

·      Sempre più serve, per una buona e sostenibile produzione alimentare, una prospettiva globale, non immediatamente traducibile in slogan che troppo semplificano, basata su cinque fattori decisivi: cambiamento climatico, perdita della biodiversità, corretto utilizzo del terreno, quantità di acqua dolce impiegata, apporto di fertilizzanti. La giusta misura dei chilometri del cibo discende, oltre che dall’energia consumata e dall’emissioni prodotto, dall’ottimizzazione di questi fattori

 Capitolo 21 = Spruzzare il pianeta

Mito = pesticidi e diserbanti sono sicuri per l’uomo

·      Nei cinque fattori indicati per una produzione alimentare compare, inevitabilmente, l’uso intensivo dei fertilizzanti chimici, sempre più, e giustamente, osteggiati ma strenuamente difesi dalle multinazionali che li producono, spesso ricorrendo alla ricattatoria evidenziazione della loro incidenza per migliorare le rese agricole e per mantenere prezzi bassi dei prodotti

·      Le ricerche sul campo non lasciano però dubbi: molti fertilizzanti, diserbanti e pesticidi, sono dannosi per la salute, in alcuni casi, come quello del glifosato ormai presente in oltre 750 prodotti alimentari di grande utilizzo, sono stati classificati come cancerogeni. Eppure proprio per la loro difficile sostituibilità continuano ad essere largamente utilizzati

·      Le tranquillanti rassicurazioni, spesso degli stessi enti governativi, continuano a sostenere la validità dei controlli, ma nessuno studio è stato finora intrapreso per analizzare i cambiamenti sul lungo periodo che queste sostanze chimiche possono provocare alla composizione del nostro microbioma. Mentre alcuni studi hanno evidenziato che la pur corretta indicazione di privilegiare alimenti vegetali sta implicando una crescente presenza di alti livelli di pesticidi e fertilizzanti nel sangue e nelle urine

·      Non è facile immaginare una via di uscita a breve per una umanità di otto miliardi di persone da sfamare, ma è doveroso smentire le strumentali rassicurazioni che difendono l’uso intensivo della chimica in agricoltura. L’alternativa è il cibo biologico? Lo è di certo dal punto di vista della salute, lo attestano studi di qualità, ma la sua adozione su vasta scala non è, purtroppo, così facilmente applicabile nel breve periodo

Capitolo 22 = Non fidatevi di me, sono un dottore

Mito = i medici hanno sempre ragione

·      …………. Questo libro vuole essere un antidoto a tutte le favole che ci propinano sul cibo, vuole farvi capire che ognuno di noi è un individuo, non la persona “media” a cui si rivolgono le linee guida, quella persona non esiste ……. Così afferma Tim Spector in questo ultimo capitolo, ed aggiunge subito dopo che il fatto di essere un “dottore” non è sufficiente per dare valore certo alle indicazioni “mainstream” che arrivano dal campo medico in merito alla corretta alimentazione

·      La scienza dell’alimentazione è ancora ai primi passi, è poco accattivante come prospettiva di mestiere, non rientra con il giusto peso ed approfondimento nei programmi universitari di medicina, e quindi, come il grande pubblico, non c’è da stupirsi se anche i dottori possano essere influenzati dall’industria alimentare

·      E allo stesso modo non deve meravigliare la lentezza con la quale i consigli nutrizionali vengono modificati e migliorati, solo recentemente si stanno adeguando alle tante novità sopraggiunte i programmi delle facoltà di medicina  ma anche questi cambiamenti sono di una lentezza esasperante

·      Molti dei miti qui presi in esame sono quindi alimentati, in assoluta buona fede dagli stessi medici a causa della loro insufficiente preparazione specifica in materia di cibo

·      E quindi il fatto che molte indicazioni nutrizionali ci arrivino da qualcuno che indossa un camice bianco ed uno stetoscopio non è condizione sufficiente per considerarle certe

Conclusioni: come mangiare

Sarebbe una inaccettabile contraddizione se Tim Spector fornisse, a chiusa di questo saggio, una “dieta” buona per tutti noi. E questo infatti non fa, limitandosi ad alcuni consigli generici, questi si validi per tutti. Ad iniziare da uno di carattere metodologico che riassume la filosofia di base del suo saggio: la scienza del cibo è una materia molto complessa, in continua evoluzione e fortemente condizionata dagli interessi del settore, che pertanto non si presta a dogmi inviolabili. Questo non significa che tutte le raccomandazioni nutrizionali sono sbagliate, ma per capire meglio ed orientarsi è necessario informarsi e conoscere meglio senza affidarsi ad occhi chiusi alle mode del momento. Essere consumatori attenti e il più possibile informati è il primo consiglio.

Quelli più specifici, in coerenza con quanto illustrato nel saggio, possono quindi essere quelli di:

*      Seguire una dieta varia, prevalentemente vegetariana

*      Ridurre il consumo di carne e pesce controllando la loro qualità e la sostenibilità della loro origine

*      Prestare attenzione ai picchi di glucosio limitando di conseguenza eccessi di carboidrati di immediata metabolizzazione

*      Contenere i grassi ma senza ostracismi particolari

*      Introdurre nella alimentazione quotidiana cibi che mantengano una buona varietà dei microbi intestinali

*      Evitare i prodotti ultra-lavorati con più di dieci ingredienti

*      Consumare cibo vero non integratori

*      Non farsi ingannare dalle etichette e dal marketing

*      Non cadere nella routine, ma diversificare e sperimentare prestando attenzione alle reazioni del proprio corpo e rimodulando su queste la propria personale dieta, provando anche a cambiare orario dei pasti e sperimentando brevi periodo di digiuno giornaliero

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