Il “Saggio” del mese
NOVEMBRE 2020
Dopo la sintesi delle prime due parti di “Capitale e Ideologia”,
argomento e trattazione decisamente “seriosi”, ci è sembrata giusta una pausa scegliendo
un saggio che affronta un tema all’apparenza meno “serioso”, ma di certo non
meno serio. Parliamo infatti di “cibo”, un argomento già al centro di una parte
dello scorso nostro programma 2019/2020, che per le note vicende pandemiche non
ci è poi stato possibile tenere, che lo avrebbe affrontato nei suoi risvolti ambientali,
economici, sociali, politici e culturali. In questa occasione lo facciamo
guardando invece a quelli specificatamente nutrizionali e alimentari seguendo
l’analisi che Tim
Spector (docente di epidemiologia genetica al King’s College di Londra, autore
di numerose pubblicazioni scientifiche e di interessanti saggi, coordinatore,
in collaborazione con la Standford University, di uno studio, forse il più complesso finora
svolto, che si propone, nell’ambito della scienza dell’alimentazione, di
studiare i fattori complessi che influenzano il nostro rapporto con il cibo) ci propone con il suo ultimo
saggio con titolo “Presi per la gola”. Scorrendolo si avrà modo
di passare da conoscenze già abbastanza diffuse, quantomeno fra chi a questi
temi presta del suo un poco di attenzione, ad alcune sorprese e novità. Tutte fra
di loro legate dalla critica che Tim Spector fa di molte delle convinzioni
nutrizionali ed alimentari che, seppur fondate su basi analitiche alquanto
fragili, sono assurte a livelli di dogmi, di “miti”. Il quadro d’insieme che
emerge è interessante e conferma, oltre allo stretto collegamento con tutti i
risvolti legati al cibo, i l’inderogabilità, per una umanità sempre più vicina
agli otto miliardi di individui in un pianeta con risorse limitate, di
interrogarsi a fondo su un “cibo buono, salutare e sostenibile”.
Introduzione
La scienza
dell’alimentazione è una disciplina recente nella storia della medicina,
essendo nata negli scorsi anni Settanta, che deve fare i conti con la sua
intrinseca complessità di ricerca e di analisi, in buona misura basate su studi
osservazionali spesso condotti in modo non sufficientemente codificato, se non
influenzati da “altre” finalità. Nonostante le crescenti perplessità al
riguardo prevale inoltre un fraintendimento vecchio di secoli, la divisione
schematica del cibo nei tre canonici grandi gruppi: carboidrati, proteine e
grassi. Ma …….dividere
gli alimenti in tre gruppi è come classificare gli umani in africani, europei
ed asiatici e su questa base consigliare trattamenti standard con differenze
riferite solo a queste tre categorie grossolane….. La verità è che i
cibi, tutti i cibi, contengono migliaia di sostanze chimiche il cui impatto
sulla nostra alimentazione è quanto mai complesso, specie per le intricatissime
loro interazioni. A questa difficoltà si aggiungono ulteriori complicazioni
legate alle specifiche modalità di risposta del nostro organismo a queste
migliaia di sostanze chimiche assimilate con il cibo. Solo di recente, dopo
decenni di attenzione concentrata unicamente sugli organi “classici”, si è
scoperto il ruolo fondamentale di un “nuovo” organo fin qui sottovalutato: il
microbioma intestinale (a maggior ragione rinnoviamo il ringraziamento per
l’ottima relazione che anni addietro il nostro socio e sostenitore, Renzo
Suriani, ci tenne proprio per farci scoprire questo “organo” ed il suo
importantissimo ruolo). Il microbioma è una comunità di minuscoli
organismi, che pesa nel suo insieme quanto il nostro cervello, composta da decine
di migliaia di miliardi di batteri, funghi, parassiti vari, e da altrettanti
miliardi di mini virus. Ed è, aspetto decisivo, assolutamente unica per
ciascuno di noi, basti pensare che persino due gemelli monozigoti, pressochè
simili per molti altri aspetti, hanno sicuramente un microbioma diverso. Ed è ormai
accertato che è l’organo che di più incide sulla nostra risposta al cibo che
assumiamo rendendola quindi altrettanto unica. La comparsa in scena del
microbioma sta quindi rivoluzionando la scienza dell’alimentazione aprendo
scenari fin qui del tutto sconosciuti ed in continua evoluzione. In questa
sintesi, stante l’enorme complessità del tema, ci limiteremo a seguire
pedissequamente l’esposizione di Tim Spector riassumendola per punti che
mettono in luce le sue evidenze più rilevanti lasciando indietro, giocoforza,
la trattazione più strettamente scientifica. L’obiettivo, in linea con quello
dello stesso Tim Spector, non è certo quello di farci diventare esperti in
scienza dell’alimentazione, ma semplicemente quello di farci meglio intuire la sua
complessità e la conseguente “provvisorietà” di molti degli assunti sin qui
troppo spesso presentati come dogmi nutrizionali. (Un’ultima
indicazione metodologica: tutte le affermazioni di Spector si basano su studi
osservazionali, test di laboratorio, screening di massa, effettuati negli
ultimi decenni che, per identica comodità di sintesi non verranno citati. Chi
fosse interessato alla lettura integrale del saggio li ritroverà debitamente
citati nel testo oppure in nota).
Capitolo 1 = E’ una faccenda personale
Mito = Le linee guida nutrizionali e i piani
dietetici valgono per tutti
·
Per orientarci nel complicato mondo dell’alimentazione sembrerebbe
logico dare credito alle regole “ufficiali”, quelle emanate da una pletora di
organismi ed istituzioni, peraltro non di rado fra di loro in conflitto, dando
per scontato che poggino, come dovrebbe essere, su consolidate basi analitiche
e su adeguate verifiche sul campo, e che quindi abbiano titolo per essere
indicazioni valide.
·
Secondo Tim Spector sembra invece che sussistano sufficienti
evidenze per dubitarne!
·
Per la semplice, ma fondamentale ragione che è ormai dato
acquisito, e consolidato da studi e test su ampi campioni di popolazione, che
gli individui hanno, rispetto ad una identica dieta o alimento, risposte
nutrizionali diverse, con variazioni così ampie da togliere valore alla stessa
idea di diete “universali
·
Come anticipato nell’Introduzione il ruolo preponderante del “microbioma”,
il nostro personalissimo organo, ci rende
molto diversi nel rapporto con il cibo, caratterizzando in modo decisivo
i nostri personali metabolismi già ampiamente differenziati per l’influenza del
contesto in cui viviamo, del nostro patrimonio genetico, del nostro stato di
salute generale, dell’età, del sesso, dell’esperienze passate, della cultura
del cibo in cui siamo nati e vissuti, delle condizioni sociali ed economiche.
·
Se non è certo esclusa la possibilità ed il valore di messaggi
salutistici validi per tutti, come ad esempio quello di mangiare più fibre ed
alimenti vegetali, immaginare che esistano “diete universali” è quindi un
evidente errore
·
Il primo messaggio di Tim Spector, quello fondamentale per tutto
quello che seguirà, è pertanto che ….. non esiste un solo modo giusto di mangiare
…….
Capitolo 2 = Rompere il digiuno
Mito = La colazione è il pasto più importante della
giornata
·
E molto difficile capire cosa si debba intendere per colazione. Gli
storici dell’alimentazione si dividono al riguardo ma sembra prevalere l’idea
che l’usanza di “fare colazione”, qualunque essa sia, è relativamente recente, di
qualche secolo addietro, e in effetti diffusa a livello di massa nel solo mondo
occidentale
·
Ciò nonostante tutte le regole nutrizionali sembrano convergere su
una raccomadazione: bisogna farla, e deve essere abbondante, perché…. dobbiamo rompere il digiuno…..
·
A sostegno del “farla ed abbondante” ci sono alcune idee ormai
entrate nel “buon senso comune”: la colazione mette in moto il metabolismo,
evita di arrivare troppo affamati al pranzo, ci dà la benzina utile per la
giornata che inizia. Ma soprattutto quella che non è bene prorogare il già
lungo digiuno dalla sera prima.
·
Peccato che non ci siano adeguate prove scientifiche a sostegno di
queste idee e che nessun studio abbia dimostrato che saltare pasti, colazione
compresa, faccia ingrassare e incida negativamente sul “metabolismo basale”, (il dispendio
energetico per assicurare le funzioni metaboliche vitali, respirazione,
circolazione sanguigna, attività sistema nervoso e cerebrale, che, in sintonia
con quanto prima, varia tantissimo da individuo a individuo). Questi
stessi studi hanno inoltre evidenziato la fragilità anche della collegata raccomandazione
di suddividere il cibo in più pasti di ridotta entità al fine di risparmiare
all’organismo un possibile stress metabolico, aspetto che non emerso dagli
studi osservazionali su campioni di massa.
·
La presunta importanza della colazione si basa sulla possibilità
che il saltarla favorisca il rischio di sovrappeso. Un rischio evidenziato da
alcuni studi che hanno però colpevolmente sottovalutato l’incidenza di alcuni
fattori correlati: chi salta la colazione mediamente rientra nelle fasce della
popolazione a basso reddito, meno istruite, meno in salute e con una dieta
complessiva più scadente
·
Queste crescenti perplessità attorno sulla esaltazione dell’importanza
della colazione consentono una collegata riflessione sulla ricaduta sul nostro
metabolismo del “digiuno”, questione che è oggetto di infinite diatribe nella
comunità scientifica
·
Rientra in scena il microbioma, il quale ha un ritmo di vita
circadiano di ventiquattro ore simile al nostro e, sempre sulla base di alcuni
dati ricavati da studi recenti, sembra che effettivamente possa soffrire lunghi
periodi senza cibo, ma al contrario che tragga buoni vantaggi da brevi fasi di
digiuno, per esempio proprio quella che si potrebbe ottenere aggiungendo alla
pausa notturna un prolungamento di alcune ore
·
Sono tutte valutazioni in corso di studio a conferma della limitatezza
delle nostre conoscenze nutrizionali. La consapevolezza di ciò dovrebbe
quantomeno indurci, per restare in tema, ad essere meno categorici nell’esaltazione
della colazione, la cui presenza nelle nostre personali abitudini resta del
tutto individuale.
·
Non è comunque male, come regola valida per tutte le scelte
alimentari, essere diffidenti verso certi proclami considerando il peso delle
strategie di marketing che li sostengono, nel caso specifico quelle dei
produttori di cereali e dei cibi “da colazione”, ben sapendo che sono molto
spesso i finanziatori di ricerche di mercato “pro domo loro”
Capitolo 3 = I conti non tornano
Mito = Le calorie dicono con precisione quanto un
cibo faccia ingrassare
·
……per
ogni caloria che entra una caloria esce…….. è ancora questa la regola
aurea che ispira molti dei consigli nutrizionali e che poggia sull’assunto che
l’energia che assorbiamo dovrebbe essere pari all’energia che consumiamo. All’apparenza
è un’indicazione chiara, semplice e che si presume corretta. Peccato solo non
sia così facilmente praticabile se si fa riferimento alle stesse indicazioni ufficiali
· Secondo le “universalistiche”
linee guida dell’OMS un maschio adulto può assumere 2.500 calorie al giorno,
mentre una donna adulta dovrebbe fermarsi a 2.000. Ebbene studi accurati hanno
attestato che Il “metabolismo basale” (di cui si è
detto nel precedente Capitolo 2) mediamente si assesta in un range che va da 1.450 a 1.900 calorie,
al di sotto dell’assunzione calorica raccomandata, imponendo conseguentemente
il problema del consumo del surplus delle calorie assunte (aspetto
su cui si tornerà nel successivo Capitolo 16)
·
Ed è inoltre quanto mai difficile il calcolo calorico. Per quelle
in entrata incide la grande varietà di apporto calorico delle sottospecie di
uno stesso alimento, e per quelle in uscita l’analoga grande differenza di
consumo calorico individuale per la stessa azione. Non solo: se da una parte alimenti
diversi, ma con lo stesso valore calorico teorico, hanno effetti diversi sul
metabolismo e quindi producono un apporto calorico altrettanto diverso,
dall’altra è autenticamente impossibile misurare con esattezza il nostro
specifico consumo calorico nella vita di tutti i giorni, con la sua enorme
varietà di situazioni
·
Queste difficoltà di calcolo rendono quindi molto approssimativa
la valutazione del nostro reale metabolismo rischiando così di fornirci errate
indicazioni per una corretta e calibrata alimentazione.
·
E non bisogna mai dimenticare che, sulla base di un conteggio
calorico puramente matematico, cento calorie fornite da un cibo “sano” valgono,
ahi noi, come le cento ricavate da un cibo industriale.
·
E non è un caso che la pressante indicazione della regola aurea
delle calorie abbia fatto felici le multinazionali che vendono miliardi di
confezioni di prodotti “ipocalorici”
Capitolo 4 = Un grosso grasso dibattito
Mito = I grassi saturi sono tra le cause principali
di malattie cardiovascolari
·
Circa cinque anni fa è comparso sulla rivista scientifica “British
Medical Journal” il resoconto di un ampio studio osservazionale di massa che
metteva in discussione l’imperativo sin lì indiscusso di evitare rigorosamente l’assunzione
del diavolo alimentare del XX secolo: i grassi, e soprattutto quelli “saturi”
·
Ne è inevitabilmente seguita una accesissima discussione fra
esperti, con al centro della discussione la preliminare ipotesi che le malattie
cardiovascolari dipendano in misura determinante proprio dall’assunzione di
cibi grassi e dal loro apporto di colesterolo cattivo. Un’idea a lungo in auge
che è stata in buona misura ridimensionata dalla accresciuta consapevolezza del
peso del ruolo fisiologico del nostro fegato che produce in modo endogeno una
gran parte del colesterolo che circola nelle nostre arterie riducendo di molto
l’incidenza di quello assunto per vie esogene
·
Ciò ha comportato una sorta di “assoluzione per insufficienza di
prove” per una lunga serie di alimenti in precedenza demonizzati come subdoli
creatori di colesterolo. Si parla di tutti i prodotti di origine animale quali
carni, uova, pesci oleosi, latte intero e suoi derivati, persino il famigerato
burro non è un killer spietato delle nostre arterie
·
Se una dieta salutare non può ovviamente basarsi su un consumo
massiccio ed incontrollato di queste famiglie di alimenti molti recenti studi
su ampia scala hanno confermato, stante il ruolo del fegato, il
ridimensionamento della loro incidenza sui nostri livelli di colesterolo
·
Il loro ingiustificato totale ostracismo è inoltre la
testimonianza più rilevante, sia dal punto di vista nutrizionale che da quello
dell’impatto sui comportamenti dei consumatori, di come l’attuale scienza
dell’alimentazione si stia sempre più orientando a valutare ogni cibo non per la
sua appartenenza ai tre grandi gruppi di cui si è detto, carboidrati proteine e
grassi, ma come uno specifico insieme di migliaia di sostanza chimiche, in
buona misura non categoricamente riducibile a questa classificazione, che interagendo con il nostro specifico
microbioma determina la nostra personale risposta alla sua assunzione
Capitolo 5 = Gli integratori non funzionano
Mito = Assumere
integratori di vitamine migliora la salute
e previene le malattie
·
Gran parte del pianeta, quella con più benessere diffuso, ospita
ormai un’umanità di “impasticcati”. In questi ultimi decenni il consumo di
integratori alimentari è schizzato alle stelle, diventando una incredibile
fonte di profitto per le multinazionali che li producono
·
Eppure è ampiamente dimostrato che una dieta sana ed equilibrata,
insieme all’esposizione quotidiana alla luce solare, fornisce le dosi
necessarie di vitamine e minerali per il 99% della popolazione. Solo per il
restante 1%, ovvero coloro che per specifiche personali problematiche
metaboliche non riescono a sintetizzarne in misura adeguata, ha senso il
ricorso a specifici integratori
·
Tra gli integratori più di moda compaiono: quelli proteici e quelli
a fini sportivi a base di vitamine idrosolubili, che spesso assunti in dosi
eccessive il nostro corpo semplicemente espelle con un inutile aggravio di
lavoro per fegato e reni - quelli di vitamina D, che dovrebbe essere riservata
solo a chi davvero non riesce ad assimilarne a sufficienza dalla dieta e dal
sole - e quelli di calcio presente in una vasta gamma di alimento ancorche di
non facile metabolizzazione. In tutti questi casi gli studi hanno comunque attestato
non solo l’inutilità dell’integrazione ma addirittura il rischio che sia causa
di malattie
·
Eppure la fama del benefico effetto degli integratori non sembra
diminuire. Sicuramente contribuisce a ciò la massiccia campagna pubblicitaria
che li propone come benefica e salutare soluzione per “lo stare bene” per
“essere in forma”
·
Aiutata poi dalla erratissima convinzione dei consumatori che tali
integratori siano ingredienti “naturali e biologici”, mentre al contrario sono
per lo più prodotti sintetici che nascono in enormi fabbriche, spesso in Cina,
che appartengono a quattordici multinazionali, tra cui le prime sono la Nestlè,
la Bayer, la P&G
Capitolo 6 = Il piano segreto dei dolcificanti artificiali
Mito = Cibo e
bevande senza zucchero sono
un modo sicuro per perdere peso
·
Se conforta il fatto che progressivamente in molti paesi siano state introdotte tasse
sui prodotti zuccherati, la cosiddetta “sugar tax”, l’incidenza dei cibi e
delle bevande con dolcificanti artificiali resta un problema di enorme impatto
sulla nostra salute
·
Il bando, per certi aspetti condivisibile, verso lo zucchero
“classico” è divenuto di fatto il cavallo di Troia per il massiccio ingresso
nelle nostre diete dei dolcificanti artificiali, sucralosio e aspartame in
primis, usati per produrre una vasta gamma di alimenti industriali, come in
molte medicine “al gusto di” e negli stessi dentifrici
·
Ovviamente anche per i dolcificanti incide la forte pressione, non
solo pubblicitaria, dei produttori. La sola Coca Cola tra il 2010 ed il 2017 ha
speso 140 milioni di dollari per finanziare ricerche che “casualmente”
attestano l’innocuità alimentare dei dolcificanti artificiali
·
A fronte invece della crescente evidenza scientifica che non solo
i dolcificanti artificiali, pur contenendo pochissime calorie (per lo più
“vuote”), non aiutano a perdere peso, che anzi sul lungo periodo tende a crescere,
ma che il loro consumo, in connubio con
una alimentazione in generale non sana, può essere alla base di problemi come
diabete ed obesità che non a caso, ancora e sempre, colpiscono soprattutto la
parte della popolazione a più basso reddito “obbligata” al ricorso a cibi
industriali.
·
Un campagna di rieducazione alimentare parte ovviamente in salita,
ma un primo importante passo, in aggiunta alla sugar tax, può essere quello di
vietare le diciture “light” o “con poche calorie” perché inducono a pericolose
convinzioni. E questo porta al problema delle etichettature dei prodotti
alimentari
Capitolo 7 = Sull’etichetta non c’è scritto
Mito = Le etichette
nutrizionali ci aiutano a compiere scelte più sane
·
Le diciture sulle etichette dei cibi non sono un aspetto
secondario dell’ignoranza alimentare, ed anzi di molto contribuiscono ad
alimentare errate convinzioni strumentalmente create ad arte dai produttori
·
Se è vero che ben pochi consumatori le esaminano, e che anche
coloro che più o meno abitualmente lo fanno non riescono a destreggiarsi in diciture,
a caratteri minuscoli, confuse, non traducibili nel linguaggio corrente, non
omogenee, è purtroppo ancora più vero che un confezionamento ed una
etichettatura all’apparenza scientifica possono indurre a ritenere quel prodotto
più controllato, meno ricco di calorie, grassi e zuccheri, e quindi ad
incentivarne il consumo proprio perché ritenuto più sano e più “povero”. Non
solo quindi le attuali etichette nutrizionali non aiutano a capire, ma i loro
contenuti, non a caso quelli più visibili, incentivano comportamenti alimentari
scorretti
·
In alcuni paesi sono allo studio leggi per normare l’etichettatura
di alimenti semplificandola e rendendola visivamente più chiara, ad esempio con
un sistema di gradazione dal rosso al verde per i componenti fondamentali stampata
in grande sul fronte del prodotto. E se l’intera popolazione, ad iniziare dalle
scuole primarie, ricevesse una migliore educazione alimentare, forse le
etichette nutrizionali nemmeno servirebbero
Capitolo 8 = La fobia del cibo industriale
Mito = Tutti gli alimenti lavorati fanno male alla
salute
·
No non è sempre così, la lavorazione del cibo non può essere sempre
ridotta ad una truffaldina manipolazione alimentare, ma può semplicemente
consistere nel surgelare, inscatolare, tostare, essiccare, tutte operazioni
ormai ineliminabili in una filiera che deve produrre e trasportare il cibo per
alimentare una popolazione mondiale sempre più vicina agli otto miliardi di
individui che non sempre può rifornirsi di cibi freschi e naturali
·
E’ stato quindi correttamente introdotta una classificazione dei
cibi lavorati che al suo vertice ha quelli “ultra-lavorati” ossia quelli che
effettivamente attuano una manipolazione totale del prodotto e dei suoi
ingredienti
·
Per i cibi lavorati che non rientrano in questa definizione,
ancorchè non raramente adattata e aggiustata dalle multinazionali del cibo, non
è giustificata una sorta di snobismo gastronomico. Non sempre un cibo
“lavorato”, e che magari costa anche poco, è un prodotto che fa male alla
salute. Ad esempio: legumi inscatolati, verdure surgelate, latticini
confezionati, sicuramente non reggono il confronto con i loro corrispondenti
freschi ma non sono assolutamente dannosi e, se affidati a mani sapienti nel
metterli in tavola, possono essere non meno accattivanti
Capitolo 9 =Troppa carne al fuoco
Mito = La carne fa sempre male alla salute
·
La carne è stata per molti secoli un consumo riservato ad una
parte ristretta della popolazione, ovviamente quella più ricca e potente, fino
a d assurgere a cibo simbolo di un certo benessere. In Occidente solo nel corso
del Novecento è progressivamente divenuta un alimento diffuso e presente su
tutte le tavole, ma al tempo stesso tanto consumato quanto discusso e criticato
·
Ed in effetti se si considera la sua prepotente invadenza nelle
diete di quasi tutto il pianeta coniugata con l’impressionante impatto della
filiera della sua “produzione” non mancano ragioni, sempre più pressanti e
valide, per auspicare una drastica riduzione del suo consumo. Gli allevamenti
intensivi sono infatti ormai ritenuti una fonte di inquinamento ambientale di
enorme impatto
·
Costituita da acqua, proteine e grassi, più moderate quantità di
minerali, sorattutto ferro, e vitamine del gruppo B, la carne, valutandola dal
punto di vista nutrizionale, non è per nulla un alimento pericoloso per la
nostra salute. Che sia rossa, perché contenente una quantità elevata di
mioglobina, una proteina ricca di ferro dal colore rosso, o bianca, perché meno
ricca di mioglobina, la carne è un alimento che, consumato nelle giuste dosi,
fornisce un importante contributo nutrizionale
·
Molte delle prevenzioni nei suoi confronti si collegano con quelle
verso i grassi esaminate nel precedente Capitolo 4, ed allo stesso modo vanno
quantomeno ridimensionate perché, ancora una volta, studi osservazionali più
accurati hanno evidenziato che un collegamento fra consumo di carne e
l’insorgenza di malattie cardiovascolari è evidente solo a fronte di una sua
eccessiva percentuale nella composizione della dieta abituale.
·
Vale a dire che dosi limitate di carne, per certi aspetti meglio
se bianca, possono arrivare di tanto in tanto sulle nostre tavole abbinandole
in modo corretto con gli altri alimenti. Secondo alcuni studi questo suo
limitato utilizzo non solo non è in generale di danno alla nostra salute, ma è
stata accertata, grazie ad alcune sostanze in essa contenute, una sua influenza
benefica su quella psichica.
·
L’altra faccia della medaglia è però la scarsa qualità di molta
della carne che arriva sulle nostre tavole: gli allevamenti intensivi fanno ampio
uso della “chimica” i cui residui, decisamente poco positivi per la nostra
salute, inevitabilmente finiscono nei nostri piatti. Carne sì, quindi, ma che
sia di buona qualità. Il che, come sempre in una economia di mercato, significa
anche di maggior costo, e quindi non da tutti sostenibile.
·
Non sono comunque considerazioni nutrizionali che devono portarci
a intervenire drasticamente sulla filiera di produzione, trasporto e consumo di
carne. In tutto il mondo il suo prezzo è crollato a fronte di una incessante e
diffusissima offerta a prezzi bassi. Tutto questo ha un costo spaventoso per il
nostro pianeta, tanto da rendere sempre meno provocatoria l’idea di una “meat
tax”, tenendo sempre ben presente il rischio che si accentui in questo modo la
sua accessibilità di mercato. Anche il cibo buono e sano richiede quindi una
maggiore giustizia sociale
Capitolo 10 = Una faccenda che puzza
Mito = Il pesce è sempre una scelta salutare
·
Anche il pesce è un tipo di carne, eppure tanto questa è ormai
demonizzata (anche se gran parte dell’umanità continua a consumarne quantità
eccessive) tanto il pesce è circondato da una aureola salutista. Meritata?
·
Molto meno presente sulle tavole di buona parte del mondo, il
pesce, alcuni tipi di pesce ricchi di grasso omega 3, si è guadagnato una
giusta considerazione grazie al suo fondamentale apporto nella lotta al
rachitismo, un grave problema di salute pubblica in molti paesi fino a pochi
decenni fa
·
Non è quindi un caso se ancora ai giorni nostri gli integratori a
base di omega 3 sono molto reclamizzati e molto utilizzati come fonte di grassi
“salutari”, anche se gli studi al riguardo non evidenziano un così certo
ritorno benefico a fronte invece dei possibili rischi legati ad un loro consumo
eccessivo
·
Tornando al pesce, ed ai suoi vantati benefici, è però difficile realizzare
studi osservazionali di massa perché il suo consumo in dosi significative è
limitato a non molti paesi e ad una percentuale non altissima di popolazione. Non
sempre ciò che vale per una ristretta comunità umana può avere valore
universale, microbioma docet, e quindi non deve stupire se agli arzilli
centenari giapponesi, presentati come la testimonianza certa del buon valore
nutrizionale del pesce, corrispondono altrettanti anziani non meno arzilli
sulle montagne della Grecia e della Sardegna che al contrario di pesce ne
consumano proprio poco
·
Sulla base delle attuali conoscenze possono essere considerate corrette
le indicazioni che fissano in un massimo di due – tre pasti a settimana il
livello ottimale di consumo di pesce. Stando però molto attenti ad alcune
controindicazioni
·
Anche il pescato è, come tutte le cose su questo pianeta, una
risorsa limitata che la crescita mondiale del suo consumo alimentare sta
mettendo a forte rischio di rinnovo naturale. Ormai la maggior parte del pesce
che arriva sulle nostre tavole proviene quindi da allevamenti che, non diversamente da quelli
di animali da carne, rispondono alle imperanti logiche di ottimizzazione dei
profitti. In questi allevamenti, nonostante proclami rassicuranti, continua ad
essere massiccio il ricorso ad antibiotici, utili a fronteggiare le possibili
malattie del patrimonio ittico e a combattere insidiosi parassiti,
·
Il pesce inoltre è forse il cibo che di più si presta a inganni
commerciali. Sono ben pochi d consumatori capaci di riconoscere con sicurezza il
tipo di pesce in offerta, che, fresco o surgelato che sia, molto spesso è invece
di specie diverse da quelle vantate, e ovviamente di ridotto valore
·
Vanno quindi bene i due, tre pasti settimanali a base di pesce ma
a patto di trovarne, sapendolo riconoscere, di buona qualità. Ed è ovvio che
anche se il pesce “sano” è un buon alimento, ben difficilmente da solo può
salvarci salute e vita
Capitolo 11 = La mania del veganesimo
Mito = La dieta vegana è la più salutare
·
Nessun dubbio sul fatto che la dieta vegana sia divenuta di gran
moda, le prove? Il numero dei suoi aderenti è in continua crescita, la dieta
vegana è sempre più attrattiva e ricca di opportunità anche esotiche, e dulcis
in fondo di loro si è prontamente accorta l’industria alimentare che ha di
molto ampliato l’offerta ad hoc
·
E del veganesimo si è altrettanto prontamente occupata la scienza
dell’alimentazione ed ormai esistono numerosi studi con risultati, come regola
comanda, tutt’altro che uniformi
·
In generale se esiste un significativo accordo sulla migliore efficacia
di una dieta vegana rispetto ad una standard di contenimento calorico per
problemi di sovrappeso ed obesità, se sono ampiamente onfermati tutti i
benefici derivanti dal consumo di alimenti vegetali, se sono state in buona
misura superate le perplessità sui possibili problemi legati all’apporto
ridotto di calcio (che pare non essere così decisivo per la salute delle ossa) e di
proteine nobili (quelle fornite da alcuni vegetali sono un buon sostituto), restano però
molto forti le perplessità sulle possibili carenze di alcuni nutrienti
essenziali, in particolare ferro e vitamina B12, fondamentali per evitare il rischio
di pericolose anemie.
·
Inoltre, a dispetto di una immagine stereotipata, non tutti i
vegani sono in forma perfetta, perché non tutti si nutrono con alimenti
ottimali. L’industria alimentare ha, come si è detto, coperto il mercato
“vegano” con una miriade di prodotti che presentano le stesse identiche problematiche
di quelli standard (additivi, zuccheri, grassi). E restano comunque molto forti
le perplessità dell’estensione di una dieta vegana rigorosa ai bambini, che di
più degli adulti necessitano di tutti i nutrienti necessari
·
Va però riconosciuta al veganesimo una grande e giusta attenzione
ai problemi della sostenibilità ambientale, che può essere però altrettanto condivisa,
se non si hanno contrarie motivazioni filosofiche ed etiche, concedendosi di
tanto intanto un qualche piatto a base di carne o pesce di qualità, piuttosto
che un formaggio prodotto a regola
Capitolo 12 = Un pizzico di sale
Mito = dobbiamo
tutti ridurre il consumo di sale
· Un altro
demone si aggira sulle nostre tavole, il sale! Guai a consumarne più di cinque/sei
grammi al giorno, cioè un cucchiaino! Questo almeno dicono concordemente le
prescrizioni alimentari per evitare problemi di pressione, ictus e malattie
cardiovascolari
· Eppure il
comune sale da tavola, composto al 40% di sodio ed al 60% da cloro, entrambi
importanti per la nostra alimentazione e salute, è un alimento insopprimibile
per la semplice ragione che, usato nella giusta misura, rende più buono il cibo
· Se quindi
farne proprio a meno sembra quantomeno difficile la domanda è se faccia davvero
così male da doverlo ridurre ai cinque/sei grammi indicati. Ed ancora una volta
gli studi si sono divisi, ma quello più recente del 2018, condotto studiando
per otto anni un campione di centomila individui sparsi per tutti i continenti
ha evidenziato che tale soglia può essere tranquillamente elevata al doppio, a
circa 12 grammi, oltre la quale restano confermati i rischi di cui sopra
· Sembra quindi
possibile alzare la soglia, mentre invece analoghi studi hanno bocciato il
ricorso a sostituti del sodio, l’indiziato più pericoloso, quali il potassio e
la lisina
· La
demonizzazione del sale (del sodio) appare quindi eccessiva, ed il suo utilizzo
eccessivo non consiste tanto nell’apporto che se ne fa nella preparazione
casalinga del cibo, ma piuttosto nelle incontrollabili quantità presenti in
moltissimi cibi industriali essendo un componente essenziale per la loro
conservazione (e per la nostra abitudine alla sua presenza gustosa). Una
alimentazione che riduca il più possibile questi prodotti sarebbe decisiva per
contenere entro limiti ragionevoli l’ostracismo verso un alimento che è parte
integrante della storia del cibo
Capitolo 13 = Il caffè può salvarvi la vita
Mito = bere caffè fa
male alla salute
·
Si dice caffè ma bisognerebbe dire caffeina, un’altra sostanza
messa sul banco degli imputati non sempre a ragione
·
Se è vero che la caffeina è una sostanza potente che negli
individui ad essa più sensibili può provocare seri disturbi intestinali, o
comunque in molti complicare il sonno, blocca infatti un neurotrasmettitore,
l’adenosina, che rilassa il cervello e induce il sonno, è altrettanto vero che
proprio per questo favorisce i meccanismi della concentrazione e dell’attenzione,
fino al punto di avere un positivo effetto di contrasto all’Alzheimer e al
Parkinson, e di supporto all’attività fisica
·
Nel caffè, più che nel tè, si associa inoltre a buone quantità di
polifenoli, validi antiossidanti, ma è bene non assumerla insieme a nicotina ed
alcol perché ne intensifica gli effetti negativi.
·
Come per il sale attenzione poi alla caffeina nascosta in molti
prodotti alimentari, specialmente le bibite energetiche o light
·
Si può certamente sostenere che in quantità moderate caffè e tè
non anno male e anzi pare sempre più dimostrato che facciano bene alla salute. E
allora quante tazzine al giorno? Come sempre ogni individuo fa storia a sé,
l’indicazione generale che gli studi osservazionali consentono è quella di un
massimo di 3 – 4 tazzine al giorno e, visto che la caffeina viene smaltita dal
fegato mediamente sei ore dopo l’assunzione, per chi ne patisce l’influenza sul
sonno è bene non consumarne più dopo le diciotto
·
L’allarmismo eccessivo attorno al caffè consente una precisazione
su un’altra esasperata fobia creata da allarmismi eccessivi: quella
dell’acrilammide, una sostanza giudicata cancerogena che si genera durante la
combustione, ad esempio per il caffè durante la tostatura, e che è quindi
presente sulle carni grigliate e sui prodotti da forno (pane, pizza, etc). Come
per altre sostanze l’acrilammide è stata giudicata cancerogena perché associata
all’insorgenza di cancro in roditori da laboratorio. Il fatto è che le doti
assunte dai roditori sono davvero massicce, al punto da poter sostenere una sua
rilevanza non significativa per gli esseri umani in una alimentazione
normalmente corretta
Capitolo 14 = L’epidemia di allergie
Mito = tutti hanno
almeno un’allergia alimentare
·
Le allergie sono un fenomeno ecslusivamente moderno, fino al
Novecento in campo medico non ne avevano mai sentito parlare. Si fa poi una
gran confusione fra allergie e intolleranze. Di norma un’allergia alimentare, la
risposta del nostro sistema immunitario verso un determinato cibo, si manifesta
entro pochi minuti dall’ingestione, una intolleranza alimentare provoca
risposte dilatate nel tempo spesso non così evidenti.
·
Ancora oggi per entrambi non si conoscono appieno cause e sintomi
anche sa da tempo circolano diverse tipologie di test, in gran misura “artigianali
e quindi inaffidabili, che gonfiano i dati e portano a diagnosi sbagliate. Per
chi manifesta una reale sintomatologia allergica l’esame più indicato resta
quello del sangue per la ricerca di specifici anticorpi (IgE), per le
intolleranze invece non esistono metodologie diagnostiche certe, l’unica consiste
ancora in diete che escludano progressivamente gli alimenti fino a individuare
quelli incriminabili.
·
Peccato che il contemporaneo eccesso di salutismo, unito all’ossessione
per l’igiene e la sicurezza, siano terreno fertile per improvvisati dietologi e
allergologi che hanno un evidente interesse di mercato ad enfatizzare
l’incidenza di queste possibili patologie, diagnosticabili solo da medici
specialisti, e spesso riconducibili ad altre cause
Capitolo 15 = La moda del cibo senza glutine
Mito = il glutine è pericoloso
·
Il glutine è ormai diventato il re delle sostanze che provocano
allergie o intolleranze. Negli ultimi anni il mercato dei prodotti alimentari
“senza glutine” è letteralmente esploso
·
I fornai di tutto il mondo invece continuano ad adorare il glutine
che, presente in molti dei cereali commestibili, è la sostanza che rende l’impasto
plastico ed elastico. Mentre è maledetto, giustamente, da una minoranza molto
ristretta della popolazione, meno dell’1%, che soffre di “celiachia” una
genetica allergia al glutine, la cui ingestione provoca sintomi debilitanti e
spiacevoli
·
Come spiegare questa convinzione di massa di un glutine “cattivo”?
Tutto nasce dall’ennesimo studio su roditori che, nel 2013, avrebbe evidenziato
una correlazione tra una dieta ricca di glutine e aumento di peso e sintomi
allergici. I radar sempre funzionanti dell’industria alimentare hanno subito
individuato l’opportunità e abili campagne mediatiche hanno enfatizzato, anche
grazie a testimonial famosi, il ruolo da “cattivo” del glutine creando nel giro
di pochi anni il ricchissimo mercato mondiale del “senza glutine”
·
A nulla sembra valere il fatto che studi più recenti su vasta
scala, condotti su umani e non su roditori, abbiano evidenziato che il glutine
non è così responsabile di tutti i misfatti che gli sono imputati, e che la
fobia che a catena è stata indotta verso i cereali in genere può essere al
contrario causa di insufficienze alimentari
·
E’ possibile che alcuni, convertiti al “senza glutine” stiano
effettivamente meglio, ma ciò, al di là dell’immancabile effetto placebo, si
spiega con i vantaggi per chi soffre di colon irritabile, diffusa patologia che
in effetti consiglia un ridotto uso di cereali, o anche semplicemente perché la
conversione al “senza glutine”, del suo tutt’latro che decisiva, quasi sempre è
coincisa con una maggiore attenzione generale all’alimentazione
·
Al contrario per molti, non celiaci, c’è il rischio reale di
soffrire sul lungo periodo di carenze di vitamina B12, di folato, di zinco, magnesio, selenio e calcio,
senza sottovalutare poi le pesanti lavorazioni a cui sottoposti i cibi per privarli
di una sostanza che è davvero dannosa solo per una piccolissima minoranza
Capitolo 16 = In sella e pedalare
Mito = l’esercizio fisico fa dimagrire
·
……per
ogni caloria che entra una caloria esce…….. la regola aurea
dell’alimentazione, che abbiamo già visto avere molte controindicazioni, incide
anche sul lato delle calorie in uscita, e quindi delle attività “brucia
calorie”, fisiche e mentali, che dovremmo calibrare per pareggiare il conto con
quelle in entrata.
·
Il moderno mito della “attività fisica” nasce proprio da questa
indicazione puramente matematica che ancora una volta gli studi dimostrano
poggiare su fragili basi
·
Esistono infatti una miriade di studi osservazionali che
evidenziano che una regolare attività fisica di certo male non fa, ma è una
pratica che da sola non può assolutamente garantire un corretto bilanciamento
calorico per un insieme di ragioni
·
La prima, e la più importante, consiste nel fatto che il fattore
che di più incide sul nostro dispendio energetico, il nostro personale
“metabolismo basale” (vedi Cap. 2,) è fisiologicamente predeterminato, e su di esso quindi poco
possiamo incidere, che da solo assorbe mediamente circa il 70% della calorie
assunte con il cibo
·
Un altro 10% se ne va poi per la digestione, e quindi l’attività
fisica può di fatto incidere solo sul 20% del nostro dispendio energetico. Non
è poco, ma neppure un margine così ampio da illuderci di risolvere eventuali
problemi di bilanciamento energetico lavorando solo su questo margine
percentuale
·
Se però l’attività fisica non è così decisiva in questo senso
diventa un fattore molto importante,per
risolvere altri problemi, perché, se ben condotta, aiuta tantissimo a rendere
più efficiente il metabolismo dell’insulina, ad ottimizzare la frequenza
cardiaca, ad abbassare il livello dei grassi nel sangue, a ridurre le
situazioni di stress psichico
·
E quindi è assolutamente necessario ed utile fare una corretta
attività fisica, che come tanti aspetti fisiologici deve essere
“personalizzata”, ma non sulla base del mito che da sola “faccia dimagrire” perché
“brucia” le calorie
·
Un mito, anche in questo caso molto moderno, creato e sostenuto da
incessanti promozioni di vario genere, ma tutte finalizzate a sostenere
l’enorme mercato di articoli sportivi e di prodotti nutrizionali “studiati per
lo sport”, tutti assolutamente industriali e tutti con possibili problemi di
sovraccarico di componenti nutrizionali
Capitolo 17 = Cibo per la mente
Mito = lI cibo non
incide sulla salute psichica
·
“fa che il cibo sia la tua
medicina e la medicina sia il tuo cibo” così diceva Ippocrate, un messaggio
che con il tempo si è purtroppo in buona misura perso per strada.
·
E guarda caso la conseguenza è che, soprattutto per la nostra
salute psichica, farmaci ed integratori chimici sono divenuti ormai
insostituibili, anche nei casi di importanti malattie come la depressione,
l’antica “malinconia”,
·
Stiamo parlando di malattie complesse e delicate, certo non
affrontabili in questa sede, ma in estremissima sintesi è ormai accertata la
limitatezza delle risposte puramente “chimiche” ed il ruolo positivo di una
alimentazione sana sul nostro “umore”, e la chiave di questa incidenza positiva
è stata individuata nel ruolo del nostro personale microbioma.
·
I pazienti depressi presentano infatti in alta percentuale una
gamma di specie microbiche meno diversificata, con una carenza importante dei
microbi che producono dopamina, un neurotrasmettitore fondamentale per la
salute del sistema neuropsichico. Ed allo stesso modo è stata attestata
l’importanza della dieta come possibile alto fattore di rischio, se
sbilanciata, per malattie come l’Alzheimer e il Parkinson per la sua diretta
incidenza sulla salute del sistema immunitario che, come recenti scoperte
dimostrano, interviene nell’insorgere di tali malattie
·
Altri paralleli studi, mirati alla cura di malattie infantili
dello spettro autistico, hanno evidenziato il loro collegamento con specifiche
anomalie della composizione microbiotica intestinale, al punto da indurre, per
una sua ricostituzione ottimale, al ricorso mirato di “trapianto microbico
fecale”, letteralmente una trasfusione di feci (ricordiamo bene lo stupore, solo in parte divertito,
provocato dal rilievo che l’amico Suriani usò, nella sua conferenza citata in
Introduzione, per spiegarci l’efficacia di questa “terapia”)
·
Se è lecito sperare di non doverne mai avere bisogno, non è
comunque male introdurre nella nostra alimentazione prodotti naturali, quali
yogurt e kefir, che aiutano ad equilibrare il nostro microbioma. Farlo aiuta la
nostra salute fisica ed anche quella psichica
Capitolo 18 = L’affare sporco dell’acqua
Mito = Bisogna bere
otto bicchieri di acqua al giorno
·
Non è certo in discussione l’importanza di mantenersi idratati, ma
non esiste alcuna evidenza scientifica che giustifichi la soglia degli otto
bicchieri, ovvero dei due litri, al giorno indicati da molti voci autorevoli
come quella minima da rispettare. La verità è che, come per i cibi, la
necessità di liquidi, di acqua, è molto individuale
·
Acqua si, bevendone una buona misura e assecondando i segnali che
il nostro corpo ci manda, stando attenti al tipo di acqua visto l’inspiegabile diffusissimo
moderno ricorso a quella “in bottiglia”.
Un mercato mondiale che vale cifre impressionanti, nato, e da subito molto
pilotato dagli immancabili interessi privati, in tempi lontani quando le
condizioni degli acquedotti in alcuni paesi e regioni “facevano letteralmente
acqua”. Una situazione in costante miglioramento che permane in forma rilevante
solo in alcuni paesi africani e asiatici, mentre paradossalmente lo
stratosferico consumo di acqua in bottiglia riguarda soprattutto i paesi in cui
l’acqua di rubinetto è più sicura, più testata, più controllata
·
Un secondo cavallo di Troia astutamente usato dalle ditte
imbottigliatrici è stato, ed ancora è, quello dei possibili effetti negativi
del cloro, usato per sanificare l’acqua potabile
·
Se è teoricamente vero che il cloro può danneggiare il nostro
microbioma è altrettanto vero che le dosi normalmente presenti nelle reti idriche sono ridotte, pressochè
omeopatiche, e che, a buon pro, l’utilizzo di filtri è ormai molto diffuso
·
Sono altre le sostanze potenzialmente pericolose per la nostra
salute presenti nell’acqua potabile (ibuprofene, estrogeni, antibiotici), ma lo
sono in tutte comprese quelle in bottiglia! Mentre in compenso l’acqua di
rubinetto contiene maggiori percentuali di fluoro, un minerale benefico per la salute
dei nostri denti
·
Non solo il ricorso alle acque in bottiglia non è per nulla
giustificato da ragioni sanitarie ma è anche devastante come impatto
ambientale. Ci vogliono quattro litri di acqua per produrne uno purificato, e
altri dieci litri almeno per produrre la plastica della bottiglia che lo
contiene. Per non dire degli spaventosi, per quanto risaputi, problemi di
smaltimento dei rifiuti in plastica per
i quali l’acqua in bottiglia concorre per oltre 500 miliardi annui di
contenitori
Capitolo 19 = Solo un goccetto
Mito = gli alcolici
fanno sempre male
·
Il classico caso in cui la quantità fa la qualità: numerosi studi
hanno concordemente sancito da tempo che consumare alcolici in quantità lievi,
moderate, (uno, due bicchieri al giorno) riduce il rischio di mortalità per
malattie cardiovascolari (rispetto a chi è completamente astemio di circa il
20% in meno).
·
Anche per l’alcol vale la regola che per ogni individuo
l’assimilazione è diversa. Incide moltissimo il suo metabolismo, se veloce nel
flusso sanguigno entra meno alcol. Di conseguenza incidono molto fattori
difficilmente controllabili come etnia, età, peso corporeo, e forse sesso
perché alcune prove sembrano suggerire che le donne siano più sensibili agli
effetti dell’alcol
·
Non tutto l’alcol vale alla stessa maniera, è stato infatti
accertato che un corretto consumo di vino rosso, già più ricco di polifenoli
con ricadute positive per il sistema cardiocircolatorio, produce un
significativo aumento del microbioma, maggiore di quello ottenibile con vino
bianco, mentre birra e superalcolici non sembrano produrre gli stessi effetti
positivi
·
Restano indubitabili le gravi conseguenze di un consumo esagerato
di alcol in termini di salute del consumatore e dei problemi sociali collegati.
Per contrastare questa situazione, in pericolosa crescita in molti paesi
occidentali specie nella fasce giovani della popolazione, non occorre però criminalizzare
ingiustamente l’alcol in quanto tale, ma semmai intervenire in modo appropriato
sulla filiera di produzione e offerta con provvedimenti mirati, quali
tassazioni che colpiscano in modo selezionato i prodotti alcolici più
pericolosi aumentandone il prezzo disincentivando così il consumo
Capitolo 20 = I chilometri del cibo
Mito = i prodotti
locali sono sempre migliori (per l’ambiente)
·
Sono molte le ragioni che sostengono, correttamente, l’indicazione
del “cibo a chilometro zero”, anche se sono opportune alcune precisazioni
·
Ad esempio non è vero che l’acquisto di prodotti locali riduca
sempre e comunque i chilometri del cibo e che quindi contenga le emissioni. Per
realizzare questo obiettivo non basta comprare prodotti locali, questi devono
essere “di stagione”. E’ infatti dimostrato, dati alla mano sul totale
dell’energia richiesta, che comprare quelli fuori stagione comporta lo stesso
dispendio energetico al chilo di un cibo importato.
·
Ad esempio secondo queste stime tutto il cibo consumato in Gran
Bretagna produce una percorrenza globale di 30 miliardi di chilometri, dei
quali ben l’82% si genera all’interno del paese. Vale a dire che tutte le
questioni che riguardano i nostri stili di vita sono maledettamente complesse e
che le pur corrette indicazioni di massima devono essere tradotte in soluzioni
e comportamenti che tengano conto di questa complessità
·
Le nostre abitudini alimentari molto di rado e in misura
insufficiente si interrogano sulla provenienza del cibo, e sulle modalità della
sua produzione e del suo trasporto, è sempre più necessario un cambio di
paradigma che presuppone però una conoscenza diffusa ed un equilibrio delle
scelte che ne conseguono. Un esempio fra i tanti: l’80% del succo d’arancia
bevuto in Europa viene dal Brasile, il maggior produttore del mondo. E’ quindi
una voce importante per l’economia brasiliana ma la sua importazione implica
trasporti inquinanti. A fronte di ciò è giusto mantenere l’’abitudine di consumarlo?
·
Sempre più serve, per una buona e sostenibile produzione
alimentare, una prospettiva globale, non immediatamente traducibile in slogan
che troppo semplificano, basata su cinque fattori decisivi: cambiamento
climatico, perdita della biodiversità, corretto utilizzo del terreno, quantità
di acqua dolce impiegata, apporto di fertilizzanti. La giusta misura dei
chilometri del cibo discende, oltre che dall’energia consumata e dall’emissioni
prodotto, dall’ottimizzazione di questi fattori
Capitolo
21 = Spruzzare il pianeta
Mito = pesticidi e
diserbanti sono sicuri per l’uomo
·
Nei cinque fattori indicati per una produzione alimentare compare,
inevitabilmente, l’uso intensivo dei fertilizzanti chimici, sempre più, e
giustamente, osteggiati ma strenuamente difesi dalle multinazionali che li
producono, spesso ricorrendo alla ricattatoria evidenziazione della loro
incidenza per migliorare le rese agricole e per mantenere prezzi bassi dei
prodotti
·
Le ricerche sul campo non lasciano però dubbi: molti fertilizzanti,
diserbanti e pesticidi, sono dannosi per la salute, in alcuni casi, come quello
del glifosato ormai presente in oltre 750 prodotti alimentari di grande
utilizzo, sono stati classificati come cancerogeni. Eppure proprio per la loro
difficile sostituibilità continuano ad essere largamente utilizzati
·
Le tranquillanti rassicurazioni, spesso degli stessi enti
governativi, continuano a sostenere la validità dei controlli, ma nessuno
studio è stato finora intrapreso per analizzare i cambiamenti sul lungo periodo
che queste sostanze chimiche possono provocare alla composizione del nostro
microbioma. Mentre alcuni studi hanno evidenziato che la pur corretta
indicazione di privilegiare alimenti vegetali sta implicando una crescente presenza
di alti livelli di pesticidi e fertilizzanti nel sangue e nelle urine
·
Non è facile immaginare una via di uscita a breve per una umanità
di otto miliardi di persone da sfamare, ma è doveroso smentire le strumentali
rassicurazioni che difendono l’uso intensivo della chimica in agricoltura.
L’alternativa è il cibo biologico? Lo è di certo dal punto di vista della
salute, lo attestano studi di qualità, ma la sua adozione su vasta scala non è,
purtroppo, così facilmente applicabile nel breve periodo
Capitolo 22 = Non fidatevi di me, sono un dottore
Mito = i medici
hanno sempre ragione
·
…………. Questo
libro vuole essere un antidoto a tutte le favole che ci propinano sul cibo,
vuole farvi capire che ognuno di noi è un individuo, non la persona “media” a
cui si rivolgono le linee guida, quella persona non esiste
…….
Così afferma Tim Spector in questo ultimo capitolo, ed aggiunge subito dopo che
il fatto di essere un “dottore” non è sufficiente per dare valore certo alle
indicazioni “mainstream” che arrivano dal campo medico in merito alla corretta
alimentazione
·
La scienza dell’alimentazione è ancora ai primi passi, è poco
accattivante come prospettiva di mestiere, non rientra con il giusto peso ed
approfondimento nei programmi universitari di medicina, e quindi, come il
grande pubblico, non c’è da stupirsi se anche i dottori possano essere influenzati
dall’industria alimentare
·
E allo stesso modo non deve meravigliare la lentezza con la quale
i consigli nutrizionali vengono modificati e migliorati, solo recentemente si
stanno adeguando alle tante novità sopraggiunte i programmi delle facoltà di
medicina ma anche questi cambiamenti
sono di una lentezza esasperante
·
Molti dei miti qui presi in esame sono quindi alimentati, in
assoluta buona fede dagli stessi medici a causa della loro insufficiente
preparazione specifica in materia di cibo
·
E quindi il fatto che molte indicazioni nutrizionali ci arrivino
da qualcuno che indossa un camice bianco ed uno stetoscopio non è condizione
sufficiente per considerarle certe
Conclusioni: come mangiare
Sarebbe una
inaccettabile contraddizione se Tim Spector fornisse, a chiusa di questo
saggio, una “dieta” buona per tutti noi. E questo infatti non fa, limitandosi
ad alcuni consigli generici, questi si validi per tutti. Ad iniziare da uno di
carattere metodologico che riassume la filosofia di base del suo saggio: la
scienza del cibo è una materia molto complessa, in continua evoluzione e
fortemente condizionata dagli interessi del settore, che pertanto non si presta
a dogmi inviolabili. Questo non significa che tutte le raccomandazioni
nutrizionali sono sbagliate, ma per capire meglio ed orientarsi è necessario
informarsi e conoscere meglio senza affidarsi ad occhi chiusi alle mode del
momento. Essere consumatori attenti e il più possibile informati è il primo
consiglio.
Quelli più
specifici, in coerenza con quanto illustrato nel saggio, possono quindi essere
quelli di:
Seguire una dieta varia, prevalentemente vegetariana
Ridurre il consumo di carne e pesce controllando la loro qualità e
la sostenibilità della loro origine
Prestare attenzione ai picchi di glucosio limitando di conseguenza
eccessi di carboidrati di immediata metabolizzazione
Contenere i grassi ma senza ostracismi particolari
Introdurre nella alimentazione quotidiana cibi che mantengano una
buona varietà dei microbi intestinali
Evitare i prodotti ultra-lavorati con più di dieci ingredienti
Consumare cibo vero non integratori
Non farsi ingannare dalle etichette e dal marketing
Non cadere nella routine, ma diversificare e sperimentare
prestando attenzione alle reazioni del proprio corpo e rimodulando su queste la
propria personale dieta, provando anche a cambiare orario dei pasti e sperimentando
brevi periodo di digiuno giornaliero
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